Il Complesso del Vittoriano presenta la grande mostra “Musée d’Orsay. Capolavori”. L’esposizione porta per la prima volta a Roma straordinarie opere realizzate tra il 1848 e il 1914 dai grandi maestri francesi, Gauguin, Monet, Degas, Sisley, Pissarro, Van Gogh, Manet, Corot, Seurat e molti altri, proponendo un percorso artistico che – attraverso una selezione di settanta opere – parte dalla pittura accademica dei Salon e attraversa la rivoluzione dello sguardo impressionista fino ad arrivare alle soluzioni formali dei nabis e dei simbolisti.
La storia delle avanguardie e della modernità sarà preceduta dall’inedito racconto di come una ex stazione ferroviaria nel cuore di Parigi sia divenuta uno dei musei più importanti al mondo. Dalle diverse origini delle sue collezioni alla costruzione dell’edificio per l’Esposizione Universale del 1900 fino alle trasformazioni successive, con una particolare attenzione al fondamentale lavoro di allestimento e museografia realizzato nel 1986 dall’architetto italiano Gae Aulenti, scomparsa l’anno scorso.
“Musée d’Orsay. Capolavori”, curata da Guy Cogeval e da Xavier Rey, è articolata in cinque sezioni: la prima è incentrata sull’arte dei Salon, nucleo originario della collezione, che viene posta a confronto diretto con l’allora emergente arte realista, al tempo disprezzata; il rinnovamento della pittura accademica da parte di artisti come Cabanel, Bouguereau ed Henner, che ottennero grande successo tra il 1860 e il 1870, si svolge parallelo alla nascita e all’affermarsi della pittura realista di Courbet.
La seconda sezione illustra i cambiamenti apportati alla pittura di paesaggio dalla Scuola di Barbizon, che danno inizio allo studio impressionista della luce. I pittori che popolano la foresta di Barbizon aprono la strada, attraverso le loro ricerche atmosferiche, al paesaggio impressionista, pur mantenendo nelle loro opere una certa poesia. È infatti proprio a Barbizon che Monet e il suo amico Bazille realizzano i loro primi capolavori e sperimentano quella decisiva frammentazione della pennellata che sarà a fondamento della resa della luce realizzata dagli impressionisti.
Seguirà quindi la sezione dedicata alla modernità ritratta dagli impressionisti. Malgrado il loro interesse per la resa degli effetti della luce en plein air, le loro opere non si limitano ai paesaggi di campagna e ai suoi piaceri. Al contrario, gli impressionisti cercano una corrispondenza tra la modernità della loro tecnica e i soggetti rappresentati. Parigi, simbolo d’eccellenza della trasformazione operata dall’industrializzazione e dal progresso della tecnica, offre loro molteplici e nuovi soggetti pittorici. “La nuova pittura”, come viene chiamato l’impressionismo, deve abbandonare i modelli antichi ereditati dal passato per stare al passo con l’accelerazione storica della civiltà del xix secolo.
La mostra seguirà poi l’evolversi del linguaggio pittorico della seconda metà dell’Ottocento nella sua declinazione simbolista. Questo movimento, difficile da descrivere potendo assumere numerose forme e occuparsi di diversi generi, come ritratti, scene di costume o paesaggi, testimonia un sentimentalismo insistito. Dopo aver a lungo meditato sulla lezione impressionista, i pittori che seguirono Gauguin a Pont Aven, in una Bretagna allora percepita ancora lontana dalle grandi trasformazioni del secolo, come il gruppo dei nabis, inventarono un nuovo registro di forme, dando alle loro opere un particolare contenuto emotivo.
Ed infine la mostra si concluderà con l’eredità lasciata dall’impressionismo, il cui valore postumo è immenso e quasi immediato. A partire dagli anni 1880 i pointillisti spingono al limite la separazione delle macchie cromatiche portata avanti dagli impressionisti. Alcuni impressionisti abbandonano il realismo, come Monet, i cui colori sono sempre più indipendenti dalla natura e stesi con un numero crescente di pennellate. L’abbandono della prospettiva è ormai definitivo e le sperimentazioni si moltiplicano, dal cloisonnisme di Gauguin ai nabis, che riaffermano la dimensione decorativa della pittura in opere di grande formato. In un certo senso si ritrova, grazie alla complessità delle nuove tecniche, la maestà e la grandezza della pittura classica e, allo stesso tempo, un’apertura alle avanguardie del XX secolo.