Data scatto: /11/1892
Notizie degli scavi di antichità, 1892. Le crepidini (scalino del marciapiedi), lato castello, costituite da grandi massi di travertino, di differenti dimensioni, collegati con robuste grappe di ferro rivestite di piombo, della forma così detta a coda di rondine.
I lavori per la sistemazione del tronco urbano del fiume hanno rivelato, in modo chiaro e preciso, dati importantissimi sul ponte e sull'attiguo mausoleo, siamo in grado di tornare sull'argomento, correggendo anche talune inesattezze che dal limitato scavo e dall'angustia di tempo derivarono.
I lavori in corso, avendo tagliato e sezionato le varie parti del ponte, ci hanno permesso di rilevarne ogni più minuto particolare, sia dal lato tecnico, sia da quello storico-archeologico.
Rimane solo a conoscere la lunghezza totale del ponte, non essendo ancora tornata a luce la testata dalla parte del Campo Marzio, la quale celasi al di là dei cavi aperti per le nuove costruzioni, in parte sotto l’attuale piazza di Ponte, in parte sotto le case che prospettano la detta piazza.
Ma anche ignorandone la lunghezza, può intanto sicuramente stabilirsi il numero dei fornici, dei quali alcun altro non può trovarsi tra la testata sinistra ed il primo fornice minore, poichè, tanto la piccolezza di questo arco, quanto la forte pendenza della rampa escludono tale possibilità.
Gli archi erano adunque in numero di otto, decrescenti in ampiezza man mano che si accostavano alle sponde; ed il ponte, contando un arco di più dalla parte del Campo Marzio, non presentava un insieme architettonico, simmetrico e regolare.
Era interamente costruito con travertini, tranne gli intradossi degli archi, formati con blocchi di pietra gabina, congiunti con perni rettangolari di ferro, rivestiti di piombo, affinchè la dilatazione del ferro non producesse la rottura dei blocchi. All'istesso modo erano collegati i travertini che formavano le armille. Le fondazioni erano in calcestruzzo, fatto con scaglie di tufo.
Degli otto archi ora riconosciuti, sei solamente erano prima visibili; altri due minori erano rimasti sepolti sotto la moderna rampa sinistra e la piazza adiacente.
Per tutta la lunghezza corrispondente alle tre grandi arcate centrali, il piano del ponte si mantiene perfettamente orizzontale; gli altri due tratti che costituivano le rampe, avevano forte inclinazione, con pendenza del 15°.
Questo indica a quale basso livello si trovassero le parti adiacenti al ponte, e come facilmente andassero soggette ad essere inondate, tanto che si indicava nel medio evo, col nome di Canale di Ponte, l’attuale via di Banco Santo Spirito.
La parte della rampa sinistra, ora disseppellita, quella a valle, misurava m. 26,40 di lunghezza ed accennava, come si è detto, a proseguire fin sotto le case che fronteggiano la piazza.
Due fornici aprivansi in questa rampa: l'uno di m. 3,50 di larghezza e m. 1,27 di freccia; l'altro, minore, largo m. 3, con m. 1,40 di freccia. Le fondazioni posavano su di una platea di calcestruzzo, alla quota di m. 9,78 sull'idrometro di Ripetta.
La costruzione è identica tanto nella facciata a monte, quanto in quella a valle. Tre pilastri, o contrafforti, formati con blocchi di travertino, aggettavano sulle fronti, due dei quali trovavansi ai fianchi del fornice minore; il terzo più verso la sponda. Questo, nella parte rivolta a monte, era meglio conservato.
La rampa era coronata in alto da un fascione, pure di travertino, alto m. 0,74 e sporgente dalle fronti per m. 0.30. Questi piccoli fornici, assai superiori di livello agli altri, erano destinati passaggio alle acque, soltanto in occasione di grandi piene.
L'eccellente conservazione di questa rampa è dovuta al fatto dell'esser stata per qualche secolo sotterra; non ci si trovarono infatti modificazioni od alterazioni apportatevi col volger del tempo, come riscontrasi invece essere avvenuto sulla rampa destra, la quale, come vedremo, è sempre rimasta parte integrante del ponte.
La larghezza totale e costante, computata tra i due fascioni, può calcolarsi di di m. 10,95 circa, dei quali, m. 4,75 per la carreggiata e m. 6,20 per le due crepidini. Queste, erano costituite da grandi massi di travertino, di differenti dimensioni, collegati ‘con robuste grappe di ferro rivestite di piombo, della forma così detta a coda di rondine.
I massi più lunghi, che giungono sin quasi a metà delle crepidini, aggettando per m. 0,30 fuori dalle fronti, ne formavano anche i fascioni. Dai massi minori era ricavato lo scalino pel quale scendevasi al piano carreggiabile, il cui pavimento Spa formato su Polli poligoni di lava basaltina. Questi poligoni non furon però trovati al posto primitivo, ma riportati, sin dai tempi medioevali, ad un livello superiore all'antico di circa m. 0,30, ottenuto con uno strato di semplice terra. ed in qualche punto anche con muratura.
Il selciato, fu impostato al piano delle crepidini, sopprimendosi così lo scalino; e tale dovette mantenersi sino alla fine del secolo XV, come più sotto diremo. Lo stesso riscontrasi dal lato opposto del ponte, ove abbiamo conservati anche i parapetti, dei quali non un frammento si rinvenne sulla rampa sinistra, dove invece, sui travertini delle crepidini si notarono solamente gli incastri dei perni che ne tenevano ferme le lastre o specchi.
È facile lo intendere, che soppressa la rampa sinistra, in seguito all'accorciamento del ponte, ne furono smontati anche i parapetti.
Sopra il selciato, che abbiamo detto costruito nei tempi di mezzo, ne fu poggiato un terzo, circa al livello odierno, che stimo debbasi attribuire alla metà del XV secolo, ai tempi di Nicolò V, e ciò per le ragioni seguenti.
È noto anzitutto il tremendo disastro descritto dall'Infessura, avvenuto l'anno 1450, allorchè centosettantadue persone perirono per essersi rotti, per la calca, i parapetti del ponte. Nicolò V fece allora riparare il ponte, ed aprirvi un nuovo accesso dalla parte del Campo Marzio, spianando tutte le case prossime alla testata del ponte stesso. innanzi alla quale fu fatta la nuova piazza, detta allora di S. Celso.
Tutte queste opere portarono di conseguenza, l'innalzamento dei piani stradali; tanto che il nome di Canale di Ponte fu surrogato da quello di via del Banco di Santo Spirito; e col nuovo piano stradale dovea necessariamente esser coordinato anche quello del ponte.
Ciò ottennesi facilmente con la soppressione della rampa sino al terzo arco (il primo ch'era sino ad oggi visibile); di guisa che il ponte, così raccorciato, venne ad avere la testata presso quel terzo arco.
Pel livello della carreggiata si costruì una muratura a tufi e calce, ed a questo lavoro pel nuovo selciato, devesi riferire la nota del 1450 che salda il selciato del ponte Agniolo (di Iachomino) Lombardo; ed altra nota, del 1451, salda, a m° Antonio di Pietro Iohanni romano, il pagamento per acconcione allo sperone (?). A garantire la nuova piazza fu provveduto con una sostruzione, o meglio, con un muraglione, di notevole spessore, costruito tumultuariamente coi materiali che trovavansi sul posto, compresivi varî frammenti di sculture marmoree.
Dalla parte del Trastevere il ponte ha mantenuto la lunghezza che aveva in antico, quasi coincidendo la testata originaria con l’attuale; vale a dire, terminava poco al di là del fornice minore, al quale congiungesi il bastione esterno fatto costruire da Urbano VIII. Anche questo ultimo fornice presenta la medesima costruzione, cioè intradosso di peperino, chiave ed armille di travertino.
Le crepidini, formavano una curva alla testata del ponte, accennando a continuare lungo il margine della strada parallela al corso del fiume, la quale servì a mettere in comunicazione i quartieri transtiberini col ponte.
Lo scalino, dal quale scendevasi alla carreggiata, porta le traccie del grande attrito prodotto dalle ruote dei veicoli, nell’ istessa guisa che le crepidini, assai logore, fanno conoscere la continua frequenza della gente che valicava il ponte. La conservazione di questa rampa è in generale meno buona di-quella della rampa opposta; la costruzione originaria, tranne in qualche parte, vedesi alterata dai successivi restauri.
La testata aveva termine con due pilastrini, poggiati sugli estremi massi delle crepidini, di forma rettangolare, alti m. 1,32 compreso lo zoccolo e la cornice superiore. Che in origine questi pilastrini sorreggessero statue decorative, non stenterei a credere, poichè, in quello situato alla sinistra di chi accede al ponte, è ricavato superiormente un incastro quadrato, di m. 0,30 di lato, del quale non saprei altrimenti indicare l'uso. Tolte, o meglio cadute ed infrante le statue, fu soppresso l’incastro, mediante un tassello marmoreo.
A questi pilastrini (altri dei quali ricorrer dovevano per tutta la lunghezza del ponte) resta ancora congiunto, da ambo i lati, un lastrone scorniciato, di travertino, dello spessore di m. 0,24, alto quanto lo stesso pilastrino, e terminato da una base di m. 0,42 di altezza.
Questi avanzi relativi agli specchi o lastre che formavano i parapetti, sono di non poca importanza per lo studio dei particolari tecnici ed architettonici del ponte. La struttura e forma dei parapetti ci era però nota e per disegni e per documenti.
Questi parapetti, in parte già restaurati sotto Nicolò V, furono grandemente danneggiati in seguito alla spaventevole inondazione del 1598 la quale, secondo le notizie contenute nel codice vaticano 8259, carte 342-349, fece cadere « al ponte di San Angelo quasi tutti li parapetti d'ambe le parti che erano fatti di grossissime pietre travertino ». A questi danni riparò subito Clemente VIII.
Alla testata antica, ora esattamente riconosciuta, faceva capo il muraglione di sponda, che conteneva le acque del fiume e proteggeva la via che metteva agli accessi del ponte. La scoperta di questo muraglione è della massima importanza, e ne debbo la notizia all'assistente sig. Andrea Cuboni, cui sono debitore di altre sagaci osservazioni. Il muraglione, come rilevasi dai pochi avanzi rimasti, era a scarpa, rivestito esternamente di opera reticolata, in tufo ed era munito di banchina alla base della scarpata.
La presenza di questo muro d'ala è una conferma che, nel punto ove sono stati trovati i due pilastrini era precisamente la testata del ponte, oltre la quale, come gli odierni lavori hanno in modo positivo fatto conoscere, niun altro fornice esisteva.
Luigi Borsari.