Informazioni storiche

Informazioni storiche artistiche sul monumento

★ ☆ ☆ ☆ ☆

Codice identificativo monumento: 12189

Cronologia

17/4/1907

Scavi nel settore meridionale del palatino, portano alla scoperta di alcune tombe arcaiche e di un tratto di un muro di cinta:

"Lo scavo fu iniziato sul lato meridionale del colle Cermalo, una delle tre vette del colle Palatino, dove la roccia scende in declivio, alle così dette Scale di Caco.

I risultati furono immediati, si scoprirono delle tombe in discreto numero, a fossa ed a pozzo, constatandosi quindi che la necropoli del Cermalo sorgeva già a metà del colle e che quindi l'acropoli, la rocca, la città primitiva non ne oocupava che il cocuzzolo.

Per la storia fu d'importanza capitale la scoperta di una cinta della città, che attraversa la necropoli e che subito apparve di costruzione recente. E la conferma se n'ebbe esplicita: questo muro di cinta copre in parte una tomba a fossa, nella quale era conservato ancora un vaso del quarto secolo avanti C., trascurato, siccome di poco prezzo, da quelli che avevano depredato la tomba, sollevandone il coperchio.

Ne risultò anzitutto che nel quarto secolo si seppelliva ancora sul Palatino: poichè i Romani non seppellivano in città, quella parte del. colle era ancora fuori dell’imbito urbano.

Proseguendo lo scavo della necropoli è tornata poi ora in luce una grande tomba a camera, in origine certamente coperta da un tumulo di terra, cui più tardi (quando il terreno fu livellato) stituì una capanna di semplice tessuto di canne, della quale nel terreno si conservano le impronte.

Questa tomba a camera per le sue dimensioni e per la forma dovette certamente essere destinata ad un grande personaggio, probabilmente un re. E non sarà meraviglia, se dimenticato l'originario sepolcro, la capanna divenne nella tradizione popolare la casa Romuli, la capanna dove il leggendario fondatore della città aveva vissuto la sua vita semplice di pastore. Questa capanna di Romolo, è noto, si conservò fin nel IV secolo a.C."

Fonte: L'Illustrazione Italiana. 28 luglio 1907.

5/1907

I Relazione di Dante Valieri sullo scavo della necropoli del Cermalo al Palatino.

I nuovi scavi del Palatino ebbero per scopo la ricerca della sua configurazione naturale e delle opere anteriori all'Impero. Si dovettero quindi iniziare in quell'angolo occidentale volto al Velabro, che non fu mai Ta occupato dalle fabbriche imperiali.

Per la conformazione topografica in massima, basta considerare che lo strato di tufo litoide, ossia dei fanghi eruttivi maggiormente consolidati, si trova alla massima altezza dal lato Nord del Palatino e discende, assottigliandosi, a ponente, per persuadersi che quel lato dovesse avere in origine e mantenere in seguito una posizione elevata sulle alture adiacenti. Quale poi fosse la conformazione primitiva delle alture i minori, non è facile oggi determinare per essere queste ricoperte dalle costruzioni dell'impero e ingombre inoltre di alti strati di terra.

Le ricerche quindi si restrinsero al Cermalo, il colle occidentale del Palatino, quello appunto cui si connettono le più antiche tradizioni, il vero colle romano, s | siccome quello più prossimo al fiume, che come diede la vita, così diede il nome a Roma. Prima ancora d'iniziare gli scavi e dal semplice esame della cisterna, già messa ‘in luce in prossimità della casa di Livia, si potè facilmente rendersi conto di due fatti importantissimi: che cioè quel tratto del colle fu sopraelevato per l'altezza di circa otto metri, e che il materiale adoperato per questa sopraelevazione fu estratto da una zona perimetrale del colle stesso, formandosi così una grande spianata per l'abitato ed un pomerio che la circuiva dal lato di ponente. L'esame del materiale adoperato per la sopraelevazione e la profondità del cavo, in rapporto con la terra di riporto, reintegrando l'altezza della cisterna, formavano la prova di questi due fatti fondamentali.

Da questi due elementi di fatto, dall'indizio di fosse sepolcrali lungo le così dette « scalae Caci » e da un cippo pure sepolcrale, in parte visibile, l'ispettore Cozza intuì le linee generali di quella parte del colle e la esistenza di un sepolcreto, fuori l’acropoli, dentro il pomerio su detto. Le induzioni del conte Cozza erano tanto esatte, che solo due ore di ricerche con un solo operaio, il giorno 14 gennaio, sulla via su detta portarono alla scoperta dei primi indizi della necropoli: una tomba a fossa (fig. 2, n. 11), vuota, tagliata in tempo posteriore per metà da un taglio perpendicolare eseguito nella rupe e la parte inferiore di un sepolcro a pozzo (fig. 2, n. 13); e nella tomba un piccolo frammento di bucchero del VII sec. av. Cr., riferibile ad un manico di tazza. Nel semplice taglio che recideva la fossa, avvertì il Cozza l'indizio di opere di difesa posteriori È nei VII secolo.

Fu cominciato il 17 aprile un sterro più ampio in prossimità di quel luogo, entro quell'area circondata da tre lati (fig. 2, GII, JQ, NO) da muri costituiti di blocchi squadrati di tufo. Venne immediatamente in luce, sotto uno strato di scarico di vasellame etrusco-campano del II sec. av. Cr., un muro di simili blocchi squadrati di tufo (fig. 2, n. 4: fig. 4, 5), largo sei piedi, piantato nel vergine (fig. 2, n. 2, 5; fig. 3; C).

La fossa 3 (cfr. fig. 3, E), che si ritenne da principio scavata per permettere ai costruttori del muro di collocare a posto i massi, risultò poi per il blocco 3 a aver contenuto una terza fila di blocchi. Taluni di questi parallelepipedi presentano la marca E (fig. 6).

Parve questo un muro di cinta, per la perfezione tecnica, non anteriore al V sec. av. Cr., opera probabilmente di operai etruschi qui chiamati per l’esperienza peculiare loro, il perfetto combaciamento dei blocchi, la conservazione degli spigoli, il posamento accurato e sistematico sul piano di fondazione dimostrando all'evidenza non trattarsi di rifacimenti, ma di un muro conservato nella sua forma originale e con massi estratti dalle cave espressamente per questa costruzione. A giudicare che facesse parte di un sistema di fortificazione, contribuì, oltre lo spessore suo, anche il fatto che si riconobbe come esso si interrompa sulla via delle scale di Caco, dove 3 i massi penetrano nel suolo in fondazione.

Continua poi il muro stesso sul lato nord della via (fig. 2, n. 23; fig. 3, 4; fig. 6). Tornò poi in luce più a sud un secondo muro corrispondente (fig. 2, n. 10), egualmente di blocchi con la stessa marca; esso sembra coordinato al primo, pur esistendo fra loro una notevole convergenza, che dimostra come dovessero ad una data distanza riunirsi. In prossimità del passaggio alle « scale di Caco » essi avevano quindi maggiore resistenza. Quando presso a poco sia stato distrutto, risulta dal materiale di cui era ricoperto, a specialmente da ciò, che i blocchi, che ne vennero tolti, sono quelli adoperati nei muri circostanti, piantati tutti su materiale di scarico di eguale vasellame etrusco campano del sec. II av. Cr. (fig. 2, VO, RSTV; fig. 3, A).

Forse non sarà ipotesi azzardata quella di riconnettere la distruzione di questo muro con la sostruzione del tempio della Mater Magna. Nel 205 av. Cr. fu portato l'idolo della dea da Pessinunte, deposto anzitutto nel tempio della Vittoria, antichissimo, preromuleo secondo la tradizione, che qui prossimamente sembrami essere sorto. Nel 204 si cominciò il nuovo tempio, che fu finito nel 191. Innanzi al tempio dovè essere una platea ben grande se su di essa in ipso Matris magnae conspectu sì facevano i solenni ludi megalensi. Lo Pseudolo di Plauto, come è noto, fu appunto rappresentato quando fu inaugurato il tempio.

Qualche piccolo frammento di bucchero rinvenuto nella terra a maggiore profondità accennava però alla vicinanza di tombe. Infatti il giorno 20 venne in luce un pozzo per grande dolio scavato nel vergine (fig. 2, n. 1; fig. 4). Sembrò ormai tolto ogni dubbio. Presso a questo pozzo si scoprirono alcuni buchi nel terreno, i quali per la loro forma non parvero destinati a contenere doliola, ma pali, forse per una tettoia straminea o una copertura a forma di capanna, la quale doveva coprire quella tomba. La quale sembrò più venerata anche per il fatto che solo ad una certa distanza da essa apparvero altre fossette per piccole olle sepolcrali (fig. 5, 7). È notevole il fatto che le fosse sono protette dall'invasione delle acque. mercè canaletti e cunette.

Nacque naturalmente subito anche il dubbio che quei pali accennassero forse ad una stazione anteriore alla necropoli, ed avessimo innanzi a noi delle abitazioni. Il dubbio però fu escluso dal fatto che non si rinvennero traccie di ceneri, di carboni combusti, di vasellame infranto d'uso domestico, nessuno insomma di quei dati che denotano un abitato. Laddove a sostegno dell'ipotesi opposta si offriva una massa di vasellame d'uso funebre. Tra i due muri su citati esisteva un riempimento di terra, molto tenace nella parte inferiore e disgregato nella superiore. La parte inferiore conteneva frammenti di vasellame evidentemente funebre non escludendosi qualche frammento d'uso privato, mentre la parte superiore, con riempitura posteriore al III sec., non conteneva che oggetti d'uso privato.

Togliendo la terra nel lato sud-ovest del primo muro, si è notato come questo posasse in parte su una tomba a fossa (fig. 1, n. 6; fig. 2, G), cui serve di coperchio una lastra di tufo che era stata perfettamente squadrata con uno strumento potente. Tale forma di copertura fece dichiarare subito al Cozza non trattarsi di seppellimento fatto in tempo molto antico, cioè non anteriore al IV sec., non conoscendosi nell’ Italia centrali sepolcri a fossa coperti di lastroni, anteriori a quell'età. Senonchè, al di sopra di questa tomba, sopra al solito materiale di scarico riposavano taluni blocchi di tufo (fig. 3, L; fig. 8), tolti evidentemente dal muro su detto e ivi collocati non si comprende ancora bene per quale ragione. Sostenuti questi blocchi con un’impalcatura, si procedette allo scavo.

Immediatamente al di sopra della tomba notò l'operaio Fiorini che la terra non era la consueta, che forma il primo strato di riempimento (terra nera, compatta, riportata, in cui abbonda l'humus, misto a frammenti di vasi anteriori al sec. VII), ma terra della roccia locale, proveniente dal cavo stesso in cui fu praticato il sepolcro e senza alcun frammento di oggetti. Si mise in luce la tomba, il cui coperchio appariva essere stato gia mosso in antico (fig. 9), spostato, aperto e poi rinchiuso imperfettamente prima che il muro si costruisse o meglio durante la costruzione di questo, altro indizio forse che costruttori dei muri non furono romani. Il coperchio non fu da noi potuto rimuovere se non rompendolo, perchè stante la pressione delle mura soprastanti vi si notò una fenditura obliqua che segnò il distacco della parte rimanente.

Scoperchiata la tomba, si videro gl'incavi fatti sul terreno per collocarvi i paletti, cui si fece servire di punto di appoggio, per sollevare il coperchio, degli angoli di tegola, trovati nella tomba e provenienti da qualche edificio diruto del VI sec. av. Cr. L'opera dei depredatori apparve evidente: le ossa si trovarono spostate su un lato e nella tomba nulla di prezioso: uno skypkos (fig. 10), troppo misera cosa per essi, preziosissimo per noi, era soltanto rimasto abbandonato (fig. 11), un vaso di arte locale, attribuibile, pare, al IV sec. av. Cr. Esso ci indicava come ancora in questo tempo si seppellisse in quest'angolo del Cermalo e come il muro di cinta fosse, al più presto, di quel periodo.

Altre tombe tornarono in luce sotto la via detta delle Scale di Caco, fiancheggiata nel lato occidentale da un muro identico al su citato e che deve appartenere ‘al medesimo sistema di difesa (fig. 12). Queste tombe consistono in pozzi e fosse di forma molto antica, perchè appartenenti a quel periodo in cui il cavo centrale dove era deposto il cadavere, era fiancheggiato da piccoli loculi che servivano per deposito del corredo funebre (fig. 2, fi: n. 17).

Anche nella breve area di forma triangolare a nor-est del muro NO (fig. 2) si trovò l'impronta di un sepolcro a pozzo di tale larghezza da contenere olla o vaso cinerario, ed altri sepolcri minori. Lo scavo non ha potuto proseguire con l'istessa alacrità, in quanto che verso occidente non solo si ha una platea che convenne sorreggere per lavorare al di sotto, nulla volendosi distruggere di quanto nei vari secoli si è colà costruito, ma specialmente perchè vi erano sicuri indizî di un franamento (v. fig. 6).

Procedendo con cautela si riconobbe come questo fosse prodotto da una cava che largamente si estende, cava fatta forse in epoca recente per estrarre cappellaccio di tufo. E fu provvidenziale quest'opera nostra, perchè si constatò il pericolo che correvano muri pesanti piantati su scarico posato sul vuoto (fig. 13) e blocchi di tufo del muro, semplicemente spostati dalla loro direzione primitiva, che si reggevano per contrasto su terra smossa, penetrata lentamente dal di sopra. Pilastri da noi costruiti impediranno che essi precipitino. La pianta (fig. 2), eseguita dal sig. Edoardo Gatti, chiarirà meglio la disposi zione delle tombe e dei muri e permetterà lo studio delle necropoli:

1. Fossa circolare scavata nella roccia tufacea, diam. m. 1,00, prof. m. 0,90; nella parte superiore è un poco allargata. 1a. Fossa rettangolare, lunga m. 2,60, larga m. 0,58, prof. m. 0,87;

2. Piano leggermente inclinato di tufo, reso piano ed abbassato in epoca più recente; vi sono scavate delle piccole fosse : a, fossetta circolare, diam. m. 0,17, prof. m. 0,40; b, id., diam. m. 0,17, prof. m. 0,58; c, fossetta quadrangolare, larga m. 0,35 X 0,86, prof. m. 0,18; d, fossetta ovoidale, lunga m. 0,19, larga m. 0,17, prof. m. 0,32; f, fossetta circolare, diam. m. 0,20, prof. m. 0,29; 9g, id., diam. m. 0,25, prof. m. 0,15; î, fossetta circolare, diam. m. 0,18, prof. m. 0,26: I, fossetta ovoidale, lunga m. 0,19, larga m. 0,14, prof. m. 0,90; m, fossetta circolare, con piccolo incavo verso sud, lunga m. 0,29, larga m. 0,25, prof. m. 0,34; n, fossetta ovoidale allungata, lunga m. 0,20, larga m. 0,07, prof. m. 0,07; o, fossetta circolare, diam. m. 0,14, prof. m. 0,20; p. id., con incavatura verso nord, lunga m. 0,24, larga m. 0,20, prof. m. 0,25; q, id., diam. m. 0,31, prof. m. 0,18; r, id., diam. m. 0,30, prof. m. 0,40; s, id., diam. m. 0,08, prof. m. 0,08.

3. Incavo nella roccia largo m. 0,60, alto m. 0,57.

3a. Parallelepipedo di tufo.

4. Muro costituito da due filari di parallelepipedi di tufo, dello spessore di _m. 0,60, alto m. 0,60, poggiato sulla roccia (v. fig. 3, F).

5. Roccia tufacea.

6. Fossa rettangolare scavata nella roccia, lunga m. 2,05, larga m. 0,80, profondità media m. 0,75 e coperta con lastra di tufo lunga m. 2,28, larga m. 1,00, alta m. 0,20 (v. fig. 3, G). Il coperchio era intero, ma incrinato nel; senso della larghezza, onde si spezzò lungo l'incrinatura.

7. Fossetta circolare, diam. m. 0,25, prof. m. 0,20;

8. Fossetta ovoidale, lunga m. 0,19, larga m. 0,13, prof. m. 0,05; in essa immette un piccolo canaletto scavato nella roccia, largo m. 0,12.

9. Canaletto scavato nella roccia, largo m. 0,12 nella direzione da nord a sud, che prosegue sotto un muro di parallelepipedi di tufo.

10. Muro costituito da parallelepipedi di tufo a un solo filare, disposti nel senso della lunghezza: misura m. 1,20.

11. Fossa rettangolare scavata nel tufo, larga m. 0,60, per una lunghezza di m. 1,00 circa.

12. Fossa rettangolare scavata nel tufo, larga m. 1,20, che va al di sotto del muro a scaglie di selce.

13. Fossa circolare scavata nel tufo, diam. m. 0,40, prof. m. 0,30.

14. Fossa rettangolare scavata nel tufo, larga m. 1,00; continua sotto il muro a scaglie di tufo.

15. Fossetta rettangolare, lunga m. 0,63, larga m. 0,14, prof. m. 0,12.

16. Fossetta circolare, diam. m. 0,43, prof. m. 0,42.

17. Fossa rettangolare, che continua sotto il muro a scaglie di selce; misura m. 0,78 di larghezza, m. 0,24 di profondità; ai due lati ha due piccole fosse rettangolari, quella ad est di m. 0,28 di larghezza e m. 0,18 di profondità, quella ad ovest di m. 0,19 di larghezza e m. 0,16 di profondità.

18. Fossetta ovoidale, lunga m. 0,25, larga m. 0,21, prof. m. 0,23.

19. Id., lunga m. 0,34, larga m. 0,25, prof. m. 0,28.

20. Id., lunga m. 0,50, larga m. 0,51, prof. m. 0,32.

21. Fossa rettangolare, tagliata dal muro n. 23 verso nord.

22. Fossa circolare, tagliata dal muro in iscaglie di selce; diam. m. 0,86, È prof. m. 0,17.

23. Muro costituito di parallelepipedi di tufo, disposti nel senso della lunghezza, e poggiati ed incassati in questa.

24. Fossa di forma irregolare, di m. 0,50 X 0,55; profondità media m. 0,24.

25. Fossa rettangolare, lunga m. 1,90, larga m. 0,90. È tagliata da una fogna a cappuccina. | | i La sezione (fig. 3), fatta sulla linea «2 della fig. 2, chiarisce l'andamento del terreno: A, l. Muri a parallelepipedi di tufo giallo, visibili prima dello scavo; B. Strato di terra, alto m. 0,30, riportato sopra la roccia tufacea C; C. Roccia tufacea; D. Fossette scavate nella roccia; E. Incavo nella roccia, largo m. 0,60, alto m. 0,57; F. Muro costituito da due filari di parallelepipedi di tufo, dello spessore di m. 0, 60, poggiato sulla roccia. E; G. Fossa rettangolare scavata nella roccia, lunga m. i ,05, larga m. 0,80, coperta con lastrone di tufo rotto in due pezzi; H. Muro costituito da parallelepipedi di tufo ad un solo filare, disposti nel senso della lunghezza, largo m. 1,20; I. Mura parallelepipedi di tufo giallo, visibile antecedentemente allo scavo.

Il materiale fittile rinvenuto si può così classificare:

1. Avanzi di vasi cinerari di tipo Villanova più antico (v. fig. 14) (c. sec. X av. Cr., per quanto la classificazione per secoli non possa essere che approssimativa). La decorazione constatata è la svastica nella forma più elementare. Che il frammento 3 (fig. 15) appartenga veramente al collo di un vaso è dimostrato dalle striature fora mate nell'interno dalla mano che lo ha fatto senza il concorso di un mezzo qualsiasi, ma sovrapponendo l'un sull’altro pastelli d'argilla, ripianandoli dapprima in senso circolare e poi nel verticale all’esterno. Qui l'artefice ha adoperato l'argilla plastica e non quella impastata con frammenti silicei applicati nel composto costituente il corpo del vaso e specialmente la parte inferiore, le cui pareti essendo più massiccie e più suscettibili a fondersi, non si sarebbero potute cuocere a fuoco libero e senza l'impiego dei mezzi ordinari di prosciugamento.

2. Frammenti di altri cinerari tipo Villanova, ma di forma e tecnica progredita (c. IX sec. av. Cr.). I tre frammenti qui pubblicati (v. figg. 16, 17) appartengono certamente a tre cinerarî differenti. I primi due sono perfettamente eguali nella tornitura, il terzo può riferirsi ad un periodo di transizione fra il primo ed il secondo «periodo. Il collo non è formato da un cono rigido, ma si compone di due curve, l'una sporgente, e l'altra rientrante. Il labbro è pure plasmato con senso d’arte, onde questo vaso va attribuito ad artefici più esperti, se non addirittura ad importazione.

3. Il terzo gruppo (fig. 18) ci riporterà ai sec. VIII e VII, al periodo in cui sorgono le grandi città dell'Etruria marittima. Corrispondono.a questo periodo nell'Etruria Je tombe a camera di forma trapezoidale con un letto in fondo, e i sepolcri a fossa con due grandi loculi laterali: negli oggetti di corredo in Etruria predominano le ambre, i grandi vasi e le rispettive olle ad ingubbiatura rossa sono largamente decorati con borchie e strie imitanti le ‘forme metalliche, le armi sono in generale di ferro. Il frammento riprodotto nella fig. 19 è un coperchio di vaso di tipo protocorinzio, proveniente di certo dal commercio con l'Etruria.

4. Orlo di un cratere a colonnette (sec. V av. Cr.) (fig. 20). Per questo Periodo. scarseggiano anche i buccheri.

5. Skyphos trovato nella tomba a fossa (fig. 10). La forma di esso è comune nel secolo V, ma per la sua tecnica rozzissima, per il colore rossastro della terra, per la vernice opaca ed assorbente, per la forma goffa con cui sono innestati i manici e la loro sproporzione, per il ricordo di vasi simili molto diffasi nelle necropoli etrusche, però assai migliori di tecnica, ‘non gli si può assegnare un'età anteriore al sec. IV, nè può farsi discendere al III, perchè allora l’arte locale si era migliorata per l'influenza dell’Italia meridionale. Con più probabilità si può attribuire alla seconda metà del secolo IV. Giudicando dall'impasto della terra e dagli altri caratteri tecnici si può ritenere quel vaso siccome proveniente da qualche piccola fabbrica molto prossima a Roma.

6. Due frammenti di vaso (fig. 21), di impasto identico a quelli con iscrizioni latine ed etrusche del territorio falisco, simili nelle decorazioni, con la greca trascurata, le palmette al di sotto del manico, la mollezza con cui è mosso il piede di un putto alato e la forma del calzare. Si tratterà di prodotto di fabbrica locale (fig. 22 e 23)

7. I vasi del III-II secolo possono dividersi in tre gruppi: a) vasi prettamente campani a vernice nerissima brillante (fig. 24). Uno di questi porta nel collo un tralcio dorato: il resto è vasellame con a meandri a colori bianchi e giallastri sovrapposti alla vernice in seconda cottura; b) vasi etrusco-campani a vernice nera tendente al violetto con corpo minore, consistenti per lo più in ciotole larghe e profonde. Si sono rinvenuti solo frammenti molto piccoli; c) vasi detti etruschi, ma certamente di fabbrica laziale, che sembrerebbero piuttosto appartenenti a corredo funebre, anzichè uso privato; d) piccole coppe comunissime nelle tombe etrusche del III sec. a. C. Vi è per lo più rappresentata la testa di Venere circondata da onde marine o i raggi con puntini interposti (fig. 24 e 25).

Si trovò insieme una serie grandissima di vasi fatti al tornio, cotti a fuoco chiuso, neri di fuliggine, collocati sopra la cenere, di epoca non certamente definibile, ma forse dal IV al III secolo.

Trarre molte conclusioni da uno scavo appena iniziato, per quanto con risultati superiori all’aspettativa, potrà sembrare azzardato. Questo sembra però di poter dire: Una prima stazione fu collocata sulla cima del Cermalo in epoca molto antica, senza che nulla o quasi nulla fosse fatto per modificare le condizioni naturali del suolo; ad essa apparterrebbero i più antichi sepolcri a pozzo. Tale stazione molto stretta, era forse semplicemente difesa da uno steccato. Durante il periodo in cui durò questa stazione avvenivano le più importanti modificazioni negli scali della parte più addentrata dell’estuario tiberino, perdendo essi le loro antiche qualità nautiche, sopraffatti dai porti che Etruschi e Volsci costruivano in prossimità dell’estuario tiberino, attivandovi più larghi commerci.

Una seconda (romulea?) ci è rappresentata da opere migliori. In questo periodo, che è quello in cui sorgono le grandi città dell'Etruria marittima, furono adoperati i conglomerati tufacei por pianeggiare la parte più elevata: alcuni frammenti uscirono per caso in luce ora intorno alla cisterna presso la casa di Livia, facendosi dei buchi per pali. Che sì sia raso allora il terreno della necropoli appare evidente perchè i pozzi più lontani sono più superficiali. Allora probabilmente, essendosi per necessità troncati questi pozzi, furono fatte le fossette per salvarli dall'acqua e furono costruite sopra di essi le tettoie. In questo periodo (sec. VIII-VII) che ci è rappresentato efficacemente nella pittura pompeiana rappresentante gli inizi di Roma (v. Notizie 1905, pag. 93 segg.), ed a cui apparterrà la cisterna, possiamo supporre all’acropoli una cinta più solida, composta di piccoli massi e terra argillosa, che speriamo di poter incontrare nella prosecuzione degli scavi. È questo il periodo del sistema misto dei pozzi e delle fosse riunite.

La necropoli, qui costituita già almeno nel sec. IX av. Cr., continuò ad esistere sino al sec. IV: però è da notarsi che non si sono ancora trovate traccie del V. Parrebbe anzi che nel VI-V sec., quando maggiormente fiorivano le città etrusche, in questo centro abitato si sia arrestato lo sviluppo ed insieme il progresso. Una cinta solida fu costituita sul Cermalo appena nel sec. IV, se non più tardi, con opere che richiamano l’Etruria. Quest'è quanto appare di poter dire sin d’ora. Si potrebbe forse aggiungere che la costruzione di questo muro fu appunto determinata dall'invasione dei Galli (a. 390 av. Cr.), i quali poterono facilmente occupare il Palatino mal difeso, mentre i Romani si rifugiarono sul Campidoglio. E fors'anco nei vasi rozzi, neri di fuliggine ancora rimasti sulla cenere, noi potremmo vedere un avanzo del bivacco dei Galli, i quali evidentemente si accamparono in questo posto, dove il colle era facilmente accessibile. Dalla distruzione unica rimase, secondo la leggenda, la casa di Romolo, che non sorgeva a molta lontananza. E fors’anco al triste ricordo di questo periodo si potrà attribuire il fatto del rispetto avuto per questa località in tempi posteriori, rispetto dovuto ai loca religiosa. Ma con ciò si entra già nel campo delle ipotesi più ardite. Laddove lo scavo ha dato e meglio darà in avvenire elementi per giudicare con sicurezza della primitiva storia di Roma.

Fonte: Notizie degli scavi di antichità

6/1907

II Relazione di Dante Valieri sullo scavo della necropoli del Cermalo al Palatino.

Lo scavo sul Cermalo per la ricerca delle antichità preimperiali procede in due direzioni, l'una ad occidente fra il tempio di Cibele ed il perimetro esterno del colle con lo scopo di disseppellire il sepolcreto, l'altra a nord-est verso l'alto dell'acropoli.

Diamo anzitutto i risultati di quest'ultimo scavo. La via (scale di Caco) che sale verso l'acropoli, è in fondo intercettata da una parete in blocchi di tufo (v. fig. 2), sostruzione di un edificio (v. fig. 8, A); il muro a parallelepipedi di tufo, che ne fiancheggia il lato sinistro (fig. 3 A) continua verso nord-est; il muro in calcestruzzo (fig. 3 c d), che la fiancheggia nel lato destro, finisce sotto all'imposto della porta che qui dovette sorgere nell’ epoca imperiale (fig. 3 B), e ripiega ad angolo retto (v. fig. 3. A).

Continuato lo sterro, seguendo il risvolto del muro a calcestruzzo, si è incontrato in fondo uno sbarramento formato da una parete di opera incerta (fig. 3 e f), la quale sostruisce l'altopiano. In questo rettangolo, come nella prosecuzione degli scavi verso nord-est, non si sono avute più indicazioni di sepolcri, ciò che costituirebbe una prova, che la porta qui abbia avuto principio il più antico abitato, la scomparsa di ogni indizio di sepolcri potendosi, dovendosi anzi piuttosto, attribuire al ripianamento del suolo, avvenuto tra l'VIII ed il VII secolo, ripianamento che nella zona più elevata si ‘spinge Dm fino sotto il livello, cui potevano giungere le tombe più profonde.

Il limite della zona di una recinzione meniata ci è attestato anche dalla presenza di un pozzo a sezione circolare (fig 3 C), non ancora spurgato. È importante l'esame delle chiaviche qui incontrate, perchè questo e per la forma del colle e più ancora per la disposizione dei fabbricati è il solo punto, a cui dovevano convergere tutte le vie. I sistemi delle cloache possono dividersi in tre gruppi secondo i loro successivi periodi:

1. Al più antico, anteriore al quarto secolo, interamente scavato nella roccia, appartengono i cunicoli fig. 3 i l. Il primo (i) sembra seguire rigorosamente l’asse stradale; il secondo (l) si perde fra cavità sotterranee.

2. A questi cunicoli, e specialmente al primo, spettano le chiaviche di due ordini superiori, che sono posteriori alla costruzione delle grandi mura e seguono la colmata rimasta tra l'antico piano della roccia e la terrazza su cui furono ricostruiti templi dopo il disfacimento della grande fortificazione (circa nel 250 a. C). Una (fig. 3 i) viene dal lato settentrionale e penetra nel cunicolo protetto superiormente da tre lastroni addossati a cappuccina (fig. 4); che questa, ad onta del suo aspetto, arcaico, sia opera posteriore alle mura, lo prova il taglio fatto nelle mura stesse. Una seconda chiavica, costruita nel modo istesso, è visibile nel lato sud-ovest . (v. fig. 3 2, fig. 5). Di questa non appaiono che alcuni lastroni addossati ad altri più interni, che non poterono essere esaminati, perchè inclusi nel muro di calcestruzzo. Questo cunicolo si sovrappone al muro formato di piccoli blocchi, di cui v. sopra. La % erza chiavica si apre nella parete formata di piccoli massi a destra del grande muro che fronteggia la via (fig. 3 n, fig. 6).

3. Il terzo gruppo di chiaviche è superficiale e riferibile agli ultimi sopraelevanenti di suolo (tra la fine della repubblica ed i primi dell'impero). Una, che funzionò fino al tardo impero, corre sul lato orientale del tempio che taglia la via e | sostituisce l'altra che correva più in basso (fig. 4). Si congiungeva al cunicolo mediante tubi formati da anfore tronche ai due estremi e imperfettamente connesse (fig. 3 nel punto o). In uno di questi tubi furono rinvenute alcune monete (un medio bronzo di Antonio (Cohen 6), un gran bronzo di Claudio (?), un medio bronzo di Vespasiano (?) e cinque altre imperiali irriconoscibili), le quali, sebbene cadute dentro la chiavica, erano ancora contenute in un vasetto di vetro. La posizione molto elevata del tratto superiore di questa chiavica indica l'ultimo livello del piano, su cui si alzarono i più tardi rifacimenti di questi edifizii. La chiavica di sinistra, diretta parallelamente alla fronte del tempio di Cibele non doveva avere rapporto che col sacello laterale alla gradinata di questo tempio.

Esaminando il muro formato dalla parete che fronteggia la via, vi si rilevano tre distinti tipi costruttivi.

Il primo, verso destra (fig. 3 p q, fig. 6) è molto singolare: è formato di piccoli blocchi e di materiale molto friabile. Non si conosce per ora il suo spessore nè si sa se e quanto si prolunghi. Per la sua struttura sembra anteriore al sistema di difesa adottato nel quarto secolo: ma è d'altronde possibile che si siano adoperati materiali più antichi in una costruzione più recente, tanto più che esso non riposa sul vergine. È poco resistente, perchè forse non doveva sostenere se non una terrazza dell'area circuente il tempio.

Procedendo verso sinistra (fig. 3 r s, fig. 2) il muro appare costruito in modo perfettamente organico e con materiali preparati per ciò, non tratti da altri edifizii. Questa sezione di muro forma quindi parte del sistema di fortificazione, la cui scoperta si deve al nostro scavo. Questo muro è quello che prosegue in direzione di nord-ovest, il quale, dopo avere attraversata la cisterna presso la casa di Livia, si avanza fin sotto le fondazioni della casa di Tiberio, fiancheggiando dal lato orientale un lungo corridoio.

Il terzo tratto, più verso occidente (fig. 3 t u, fig. 7), è formato con massi di . differenti provenienze, scalpellati negli orli per‘ trovare la linea di posa delle diffe| renti assise, sistema caratteristico per i romani. Esso, che sbarra la via, fu costruito | per servire come sostruzione all'edifizio soprastante (fig. 3 A), per la quale sostruzione a destra, fu adoperato il muro suddetto. Il muro, che corre sul fianco sinistro della via (42), prosegue fino all'alto di | questa, dove forma con essa un angolo leggermente ottuso.

Il rettangolo b e g (fig. 3) è, come si è veduto, chiuso da tutti i lati, onde si è passati a sterrare dal lato opposto al muro di sinistra, riprendendo poscia l'ascesa verso il centro dell'acropoli, attraverso i templi paralleli A, D,E figura 3). Si è riconosciuto un muro (fig. 3 v x) di materia e tecnica differente e di carattere più antico degli adiacenti. È formato con massi estratti dalla roccia sottostante. Sulle prime potrebbe produrre l'impressione di un antichissimo muro di cinta, ma, considerando l'estrema debolezza del materiale, si dovrà pensare ad una sostruzione.

In questo sterro si sono scoperti gli avanzi di un muro formato di ben sedici filari di blocchi (fig. 3 t, u, z, 2 cfr. figg. 8 e 9) collocati nella direzione del basamento dell'edifizio A, ciascuno di due piedi di larghezza: Questo muro riposa sopra ripianamenti o gradoni, di cui tre sono tornati in luce (fig. <9), ricavati nella roccia e comprendenti quattro filari ciascuno. Abbiamo quindi la base di un edifizio costruito con il disfacimento o l'abbassamento delle mura di difesa, edifizio di poi abbandonato e sostituito con altro basamento, forse quello che attraversa la via.

Un muro di tufo però, formato con due soli filari di blocchi, perfettamente orientato ad ovest (fis. 3 a' b'), accenna ad un edificio ancora più antico, anteriore alle grandi fortificazioni. Esso si ritrova anche più ad oriente, ma in parte non ancora esplorata, onde a più tardi deve essere riservato il giudizio.

Quelle ampie fondazioni includevano parte di una grande cisterna (fig. 3 F cif: fig. 10). con rivestimento esterno di argilla, nella quale furono rinvenuti dei vasi (figg. 11, 12,13, 14), non sappiamo per quale ragione ivi collocati. Sono di forma elegantissima, e dipinti. Ricordano la prima influenza .protocorinzia e si debbono attribuire al sesto secolo, epoca quindi della cisterna stessa. I caratteri costruttivi variano notevolmente dalla cisterna già nota e visibile in alto; e tutto dimostra nella presente un progresso nei caratteri costruttivi stessi.

In quella, scoperta nel 1897, i massi che formano il cilindro interno hanno un piano di posa molto largo rispetto alla loro altezza; in questa, ora scoperta, essi posano con la sezione minore e non hanno altro scopo se non di mantenere a posto l'anello di argilla e non di sorreggere la volta, come nella prima, dove 1 massi accennano già a ravvicinarsi formando la volta di tipo miceneo.

Il diametro interno di questo pozzo è veramente grande, misurando sei metri circa, e male si comprende come sopra pareti così esili siasi potuto innalzare la cupola, che sorreggeva il puteale; la volta forse si reggeva con ampia base sulla colmata. Certamente però la terrazza su cui sorgeva l’acropoli anche prima della cinta del quarto secolo, doveva essere molto alta e molto potenti dovevano essere i muri, comunque costruiti, che ne sostenevano la spinta. Supponendo infatti che direttamente sopra quanto ci resta della cisterna si innalzasse la cupola, la quale doveva essere almeno alta una volta e mezza il suo diametro, saliremmo già a circa 12 metri dal piano della roccia.

In questo scavo sono tornati in luce alcuni frammenti architettonici fittili, attribuibili a tre epoche diverse. Al sesto secolo si debbono attribuire un frammento di un'ala appartenente certamente adun acroterio, perchè dipinto da ambo i lati, e tre frammenti di un fregio, su uno dei quali è rappresentato. il corpo di un cavallo, su un altro il collo di un cavallo e le mani di un auriga, sul terzo i piedi sottili ugnalmente di un cavallo. Sono tutti dipinti con colori applicati in fornace e composti con tinte ocracee, che si conservano nettissimi. Alla medesima epoca appartiene per lo stile e la tecnica il frammento di antepagmento, rappresentante una processione di' fanciulle (fig. 15) era mancante di colore.

Al terzo secolo circa appartiene un'antefissa su cui si vede un piccolo fauno, che suona la doppia tibia ed una ninfa tutta ammantata che danza (fig. 16). È dipinta in encausto; il colore è poco penetrato nel coccio. Al secondo secolo appartiene un'altra antefissa ornata di bellissima testa di baccante incoronata di edera (fig. 17). Non reca traccia di colore, perchè questo, in calce, è scomparso. È tornato pure in luce un frammento di un coronamento fittile di fastigio che, per la rappresentanza bacchica, può avvicinarsi a quest'ultima antefissa, non per l'epoca, essendo di età più recente. Vi è rappresentata una maschera scenica (fig. 18).

L'altro scavo, destinato a mettere in luce la prosecuzione della necropoli, è stato fatto internandosi verso occidente al di sotto del pavimento tufaceo, che, a quanto pare, si estendeva ai piedi della gradinata del tempio di Cibele. Questo pavimento, che si è voluto conservare, è tutt'altro che sicuramente autentico, specialmente nell'ordine superiore, messo a calce d'impasto non antico. Anche il suo piano non è concordante con altro in situ, che non potè subire spostamenti, trovandosi connesso con una sostruzione organica del terreno vergine alla sommità, nè con altro frammento di lastra pavimentale conservata a posto in prossimità del grande pozzo sepolcrale scoperto il 20 aprile, pag. 188. Altre ragioni ancora fanno dubitare che quel pavimento sia veramente in situ.

Si trovò infatti al di sotto di quel pavimento un copiosissimo scarico tardo (dal periodo sillano al primo sec. dell'impero) (fig. 19). Consisteva in anfore quasi intere, in vasi da conservatissimi, in vasi di tipo aretino con le marche C. I. L. XV, 4998 h, 5027 d, 5277, 5309 a, 5387, 5394 e è GRAID (cf. 5234); NIGE (2 es. cf. 5375 b); HSANTI (in giro) una trilichne con rappresentanza di Medusa con sopra e sotto la scritta: IVNI ed altri frammenti. Proseguendo verso ovest, si incontrò un pavimento in calcestruzzo e sopra a questo una specie di botola ricavata nel pavimento e circoscritta in mattoni d'opera recente (farnesiana). Sul lato nord-est una nicchietta (fig. 20), incavata nella terra di scarico e rozzamente intonacata attesta il disordine portato quivi in epoca tarda.

Nello strato più profondo si sono trovati frammenti di vasi troppo grandi per essere contenuti in una delle solite fosse, che non avesse dimensioni tanto grandi quanto le hanno talvolta quelle di passaggio tra i due sistemi di seppellimento. Che si sia prossimi ad un sepolcro di primo ordine è dimostrato pure dall’esservi una fossa circolare molto profonda. Di questa parte dello scavo sarà pubblicata relazione più ampia e la pianta nei prossimi rapporti, quando lo scavo sarà più inoltrato.

In una caverna informe, in parte vuota in parte ingombra di rottami del periodo imperiale, la quale si apre sotto la gradinata del tempio di Cibele, fu riuvenuto il frammento marmoreo riprodotto a fig. 21, su cui riferisce il conte Cozza: « Parrebbe alla prima dover appartenere ad un capitello che per stile si ravvicini all'arte della Campania. Tale lo caratterizzerebbe la nessuna asprezza del modo con cui è trattato il fogliame, e più ancora la tecnica esecutiva, ottenendosi in esso una modellatura chiara e morbida con un solo scalpello magistralmente mosso nella direzione dello svolgimento vegetativo, la qual cosa caratterizza molto l'arte del mezzogiorno. Senonchè questo fogliame non ha quei rovesciamenti in dentro e in fuori, che sono caratteristici dei capitelli di Pompei.

Ci rappresenterebbe quindi quell’anello di congiunzione fra l’arte augustea e quella italiota, passaggio di cui sentiamo assoluta deficienza. Ma ben esaminato, il frammento non può attribuirsi che ad un acroterio di quella forma di cui ci restano tardi ricordi nei motivi ornamentali di coronamento esistenti nel Musco capitolino, da riferirsi a qualche edificio del periodo traianeo. Per questi indizi potè appartenere benissimo alla ricostruzione del tempio di Cibele fatto da Augusto, tanto più che il marmo appare un poco calcinato.

Tutto infatti tende a dimostrare essere avvenuto un grande incendio in prossimità di quel tempio poco dopo il periodo augusteo, come parrebbe provarlo il materiale fittile rinvenuto in quel cavo, che si apriva nel pavimento prospiciente la fronte del tempio, materiale frammisto a colaticcio di ferro liquefatto e scorso in rivi nelle cavità come avverrebbe da un forno di fusione. Serviva probabilmente quel ferro a consolidare le compagini lignee del tetto ed è quindi facile rendersi conto dell'alta | temperatura a cui fu portato trovandosi immesso nelle enormi cataste di leone resinoso precipitati sul pavimento dall'alto fastigio del tempio ».

Con una piccola squadra di operai si è fatto un giro di ricerche intorno al Cermalo partendo dal lato meridionale e terminando all’orientale, girando in direzione sud-ovest. Il primo saggio ebbe per iscopo di accertare il taglio perpendicolare della roccia a valle della porta dell’acropoli, constatata nel primo giorno di scavo. Quel taglio fu perfettamente constatato per la profondità di circa m. 3,50, a due metri dalle murà perimetrali. Il secondo fu fatto ad oriente in corrispondenza dell'angolo formato da questo | lato delle supposte mura della Roma quadrata. Si riconobbe che il tracciato delle antiche mura seguiva un angolo più acuto dell'attuale. In questo punto tanto importante ci proponiamo di eseguire di poi una trincea tanto profonda da raggiungere e determinare le falde del colle, aprendo così uno scolo alle acque in direzione del Velabro. Probabilmente si rintracceranno antiche fognature rispondenti a questo scopo.

Il terzo fu fatto per renderci conto di alcuni tagli nella roccia in direzione nordnord-ovest. Uno di questi più ad ovest ci apparve in forma di un'edicola incavata nel masso ad una notevole altezza, a un dipresso come si rinvengono in talune parti dell'Etruria, dove attestano la presenza di un ipogeo sepolcrale. Questa supposizione è convalidata dall'aver constatato come sulla fronte e per la larghezza dell’edicola il taglio cadesse a piombo. Senonchè questo scavo, che probabilmente condurrà alla scoperta di qualche sepolcro, cui si legano tradizioni religiose o storiche, non può eseguirsi che con opera laboriosa lungo le falde del colle, onde deve rimettersi ad altro tempo.

Il quarto saggio mise in luce un pozzo, in cui si attingeva l'acqua dall'alto e ad una media altezza. Queste pozzo, unitamente con altri visibili all'esterno delle mura, i quali accennano a mettere capo sull’alto del colle, concorrono a confermare quanto si constatò nel primo saggio, che cioè le mura più antiche seguivano una linea corrispondente ad un dipresso alla strada che ora mette ai due lati del Palatino. Le costruzioni più tarde impedirono di proseguire per ora saggi in tutto il cerchio che gira il lato nord-ovest e nord-est, ma non sarà impossibile di proseguire in avvenire utili ricerche attraverso le fondazioni dei palazzi imperiali.

Sul lato orientale non si fece che ritornare su saggi già fatti in epoca precedente, sia per metterli meglio in luce, sia per seguirli un po' dove parve facile l’opera e di molto interesse il risultato. Uno, fatto innanzi alla casa dei Flavii. dove si trovano mura antiche, ha accertato che queste non hanno recinto il Cermalo, ma il Palatino, il quale sarebbe sorto dove oggi sorge la vigna Barberini, s. Sebastiano e s. Bonaventura: dal colle va escluso tutto il tratto in origine vallata su cui sorgono la casa dei Flavii, la così detta casa di Augusto e naturalmente lo stadio e gli edifizî severiani.

Saggi perimetrali per ora sono sospesi, limitandosi tutto il lavoro presso le scale di Caco. Questo scavo, la cui continuazione è stata assicurata dall’on. ministro della pubblica istruzione e che ha ogni appoggio dalla direzione generale per le antichità e belle arti, ha già dato, come si è visto, risultati eccellenti e altri molti ne promette. Nè io posso chiudere questa relazione sugli scavi palatini, senza ricordare l’opera dell’ispettore conte Adolfo Cozza, la cui esperienza ed il cui occhio sono coefficienti troppo preziosi.

Fonte: Notizie degli scavi di antichità

8/1907

III Relazione di Dante Valieri sullo scavo della necropoli del Cermalo al Palatino.

Gli scavi sono stati continuati verso est e verso nord-ovest. Poichè nella prima direzione poco si è proceduto, e di minore importanza furono le scoperte, ci limitiamo per ora a riferire sul secondo scavo (fig. 7), veramente importante.

La scoperta di un grande sepolcro destò in noi molta commozione. Il tumulo, che doveva coprire una tomba a camera, alto almeno m. 9, quasi all'angolo occidentale del Palatino, visibile dall'Aventino e dal Campidoglio e dall’altra parte. del Tevere, destinato a coprire una tomba di famiglia, non può non far pensare alla sepoltura di un personaggio, rivestito di grande autorità, e probabilmente di un capo, di un rex o della tribù dei Ramnes o di più largo dominio.

L'esame del monumento ci permette, credo, di arrivare a queste conseguenze. La camera sepolcrale era in parte scavata nella roccia ed in parte ‘costruita in muratura. Difatti, esaminando i sepolcri adiacenti (v. la sezione in fig. 8), riconosciamo come cessi non potessero essere così alti (') da comprendere nel cavo l'altezza di una camera sepolcrale e quella della vòlta, che, data la friabilità del materiale e l'ampiezza del sepolcro, non doveva aver meno di un metro di spessore.

Facendo un confronto approssimativo dell'altezza, cui poteva giungere il piano di campagna della sua elevazione originaria, la tomba avrebbe dovuto essere ricavata dalla roccia fino all'imposta della volta e questa costruita in materiale. Questo computo è anche confermato dall’'immaginato prolungamento del piano di campagna del colle dal punto dove non fu fatto il ripianamento, ma appunto conservato nella sua maggiore altezza.

Qui, come sempre in casi simili, un tumulo di. terra ricopriva le pietre della vòlta ed un giro di pietre od un vero muro circuiva questo tumulo. Senonchè, quando della casa degli estinti non rimase se non una traccia nel suolo e, per il ripianamento del terreno, le reliquie dovevano di necessità essere conservate sotto uno strato uniforme e sottile di terra, non tumuli terrei nè edificî grandiosi in pietra sostituirono la gravità costruttiva ed il fasto dell’antico sepolereto, ma povere capanne.

Ammettendosi che la memoria di quel sepolcro si tramandasse nella forma di una capanna, non farebbe meraviglia che il muro venisse man mano trasformandosi e che alla memoria del sepolcro si sostituisse la casa Romuli, trasformandosi nella forma di un'abitazione che potrebbe aver dato origine al mito della casa Romuli la quale era ad supercilium scalarum Caci (Solin., 1, 18; cfr. Plut. Rom., 20); ivi terminava la Roma quadrata (Solin., loc. cit.), era volta al circo (Dionys., 1, 79, 11; Plut., loc. cit. e Dionys., loc. cit.).

Ma una così fragile memoria doveva essere troppo suscettibile ai deperimenti naturali e straordinarii. Onde ricostruzioni di essa, che pur durò sino al tempo dei regionarii si ricordano anche per epoche storiche (Dio Cass., 48, 43, 4 a. 716 u. c.; 54, 29,8 a. 742 u. c.): egualmente dobbiamo supporre per epoche anteriori rifacimenti e spostamenti.

Lo scavo ulteriore darà su ciò altri schiarimenti. Che se in realtà si potrà accertare che questo sepolcro ha dato origine alla leggenda della casa di Romolo, la sua importanza sarà grandissima. A confermare l’ardita ipotesi potrebbe addursi un fatto nuovo offertoci dallo scavo.

A tutti è nota quella tarda strada selciata, che, passando tra due portici, metteva alla porta di cui constatammo un primo tramite fin dal principio dello scavo. Le condizioni clivometriche di quella strada non facevano supporre un passaggio ad altra porta che mettesse esternamente al clivo della Vittoria; ma non appena, tin dal primo giorno di scavo, si constatò la interruzione brusca del colle, avvenuta appunto colla costruzione delle mura posteriori all'incendio gallico, si dovette naturalmente supporre che le congiunzioni con il lato volto al Velabro, dovessero avvenire in direzione obliqua, ossia costeggiando la rupe e discendendola dal lato di ponente. Questa supposizione era avvalorata dalla concomitanza di altri fatti.

Si era infatti osservato che le mura di tufo, supposte della Roma quad ammettevano un tramite nell'angolo volto al Velabro, e che poteva seguirsi una chiara, impronta di una via scavata nel masso che saliva lungo il lato sud-ovest della roccia:, non era però escluso il caso che questo accesso potesse consistere in un'apertura praticata nella roccia prima di raggiungerne la massima altezza all'esterno. Sin qui sì trattava di indizii, ben lontani dal definire tecnicamente un passaggio dall'alto dell'acropoli verso il clivo della Vittoria, girando in direzione del Velabro.

Senonchè ora lo scavo approfondito ;sino al vergine di fronte al, grande sepolcro ora scoperto, messo in luce sotto la strada selciati suddetta una strada più antica (fig. 9), che rappresentare la congiunzione fra l’acropoli palàtina ed il clivo della Vittoria. I suoi blocchi sono di lava leucitica, ‘poco resisténte, adoperata solo per le vie più antiche. La superficie è veramente intatta, tantochè parrebbe che: sia rimasta per ben poco tempo in uso, ed ad ogni modo è escluso il «passaggio di ruote, il che deve escludersi anche per la fortissima inclinazione. Lo scavo deve continuare lungo il percorso via.

Benchè siano scarsi i frammenti che ci restano degli oggetti che formavano il corredo sepolcrale della tomba a camera, pure sono sufficienti a darcene i carat teri essenziali ed a mostrarci la sua importanza. È cosa nota e naturale, che i sepolcri a camera più antichi si distinguono da quelli a fossa per esservi immessi vasi di grandezza reale, quali si adoperavano nell'uso domestico, anzichè vasi rituali di piccole dimensioni. Ma non può esservi dubbio che si tratti di corredo funebre, perchè i frammenti conservano quell’integrità e quella freschezza che quasi mai posseggono i vasi d'uso comune.

Dei pochi frammenti di corredo che abbiamo sott'occhio, trovati nel terreno e che pare possano attribuirsi alla grande tomba, gli uni ci dimostrano come vi fosse affinità di costumi con la prossima Etruria, ma altri mostrano anche dei caratteri che cì riportano ad altre famiglie di più antica immigrazione e ad altri gruppi sociali. Ai primi ci riportano le magnifiche anse lunate (fig. 12, 13), di cui non si hanno che scarsissimi esempi in Etruria; ai secondi un vaso (fig. 14, 15, 16) di cui vennero ricuperati notevoli frammenti. Esso per tecnica e forma non ha riscontro in Etruria, ma piuttosto trova somiglianza tra i fittili della necropoli della regione pontina. La ricostruzione di questo vaso ci è riuscita impossibile. Esso si risolve in alto con varie braccia convergenti, ed è aperto dai lati.

Comune nella bassa Etruria è una specie di infundibulo (fig. 17), consistente in una semplice tazza, che ha un solo manico da un lato, vaso che poi si modifica acquistando maggiore dimensione, con elevazione di manico e trasformandosi in un simpulum metallico dal manico altissimo. Si è rinvenuto qualche frammento di holmos, cioè parte di due basi e forse un orlo superiore (figg. 18, 19). Tale vaso è molto diffuso nella bassa Etruria, scarso nella media e manca affatto nell'alta. Il poco che se ne è conservato non ci dà idea della forma, conoscendosene esemplari svariatissimi, e mancano le bulle intermedie, che permetterebbero di rannodarlo con i prodotti sepolerali di altre località.

Non mancano, tra i pochi avanzi del corredo sepolcrale della tomba, altri frammenti di quelle piccole olle nere sottili, lucide, con manici formati da una larga fascia, con ventre molto rigonfio e collo conico. Crateri, anfore, olle di grande dimensione dovevano pure fare parte del ricco corredo, come fanno testimonianza i frammenti di manici, che meglio si poterono conservare nei rivolgimenti del terreno mediante lo spessore, e quindi maggiore resistenza delle loro pareti.

Non possiamo chiudere questi accenni sul materiale rinvenuto presso la grande tomba senza richiamare l’attenzione sui frammenti di impasto italico, che è inutile riprodurre, perchè la fotografia non ne riproduce il carattere. Essi segnano il passaggio tra il bucchero italico levigato ed il bucchero sottilissimo nero uniforme e lucido, che precede il bucchero assorbente, con cui si chiude questa forma di vaso sepolcrale. Tutto questo materiale di corredo si trovò infranto e disperso; nessum segno di | rispetto si ebbe per la memoria dei sepolti. Correrebbe il pensiero alla furia dei Galli, ma non è a questi che va attribuito il disordine; esso è anteriore; risale tra il Vedi V secolo. Nello strato infatti di terreno nero e viscoso, in cui si trovarono dispersi i frammenti degli antichi sepolcri, non rinvenimmo avanzi più recenti del VI secolo e quelli dello stesso VI secolo scarseggiano, abbondando invece i più antichi.

Quale popolo nemico ha in quell'epoca lontana invaso il Palatino, abbattendone le non forti difese e devastando le tombe? Forse gli Etruschi, già gelosi dei competitori nei commerci fra il mare e il Tevere ed i suoi affluenti?

Subito all'entrata dell'acropoli dell'epoca postgallica fu costruito un grande tempio sulla fronte dell'antica strada che vi dava accesso (v. sopra, pag. 264, fig. 2). Il tempio, come si è già detto, doveva avere dimensioni assai maggiori degli altri edifici posteriori (eccettuato il tempio di Cibele), giudicando dalle fondazioni co- struite con blocchi tolti dal disfacimento delle mura e disposti a platea completa.

Di questa platea si è rinvenuta una parte ben piccola, perchè in tempo molto più recente furono anche in questo punto estratti i materiali utili per costruzione. Scarso però dovette essere il risultato, perchè gran parte di quei materiali non conservano la loro coerenza per poco che si spostino, onde noi non abbiamo trovato se non una grandissima quantità di tufi disgregati. Alla prima infatti supponemmo che questo lato dell'acropoli fosse ricolmato con detriti tufacei.

Approssimandoci alla cisterna ed esaminando la terra aderente alla cisterna stessa, ci dovemmo persuadere che il riempimento era invece formato con i materiali estratti dalla roccia nel ripianamento della necropoli. Esaminando poi i muri ad emplecton (fig. 20), che furono edificati valendosi dell'appoggio laterale dell'antico imbasamento del grande tempio, di cui era scomparsa ogni traccia esteriore, si è notato come le teste dei blocchi rimasero impresse nel muro stesso. Da quanto rimane ci è impossibile di riconoscere quale dovesse essere la forma di questo edificio.

Intorno a questa fondazione, sia dal lato di ponente sia da quello di mezzogiorno, furono trovati tutti i frammenti fittili relativi a templi anteriori al tempo delle costruzioni in fabbrica, fatta eccezione del frammento pubblicato a fig. 30, rinvenuto presso la grande tomba, e di quello pubblicato a fig. 27, rinvenuto non lontano dalla tomba a fossa contenente lo skyphos.

Dall'esame di questi frammenti e di quelli precedentemente descritti (v. sopra, pag. 273), si rilevano varie ricostruzioni dal VI al TI sec. a. C.; e siccome questi frammenti accennano anche a differenti ricostruzioni e dimensioni, e d'altra parte sappiamo che la fondazione tufacea è posteriore al IV secolo a. C., così noi siamo per ora all'oscuro circa la base di quel tempio che certamente fu qui il più antico, costruito sull'acropoli forse dalle mura trachitiche. Che il tempio del sesto secolo non coincidesse con quello più recente, lo prova la presenza della cisterna, che elimina per tutto il suo ampio raggio ogni altro edificio. Ma non era discosto, forse sul lato sud-est, dove più tardi sorse un tempio minore, un vero piccolo tempio per le parti di cui sì compone, mentre altro edificio sacro, diviso in due platee, sorgeva sul lato occidentale.

I frammenti fittili così sono descritti dal conte Cozza:

Frammento di rappresentanza con cavallo aggiogato ad una biga (fig. 23) del sesto secolo. Nessun dubbio che questo frammento debba riferirsi agli altri contemporanei, precedentemente scoperti, e nessun dubbio sull’arcaicismo non solo per la tecnica della pittura, ma anche per i caratteri stilistici e la forma della biga dal piccolo indizio che ce la caratterizza. In quanto ai non dubbii caratteri stilistici di arcaicismo, è anche da rilevare l'estrema sottigliezza del ventre del cavallo e la robustezza delle gambe posteriori a fronte delle anteriori che sono sottilissime. In quanto poi ai caratteri del carro il poco che ne resta dimostra l'estrema piccolezza della ruota, dall'abbassarsi del timone fino a metà delle tibie del cavallo.

Il frammento a fig. 24 conserva un senso arcaico, ma per tecnica e forma può riferirsi al IV secolo. Rappresenta una Diana persica di tipo non comune, perchè le zampe anteriori dei leoni salgono fino all'altezza delle spalle. Non vi è quasi tempio dal IV al II sec. a. C., nelle cui ricostruzioni non appaia in qualche forma il tipo della Diana persica, tantochè è probabile, che più del rito prevalesse in queste decorazioni accessorie la diffusione delle forme, che: dovevano essere messe in commercio.

Allo stesso periodo deve riferirsi la testa di Fauno barbato (fig. 25), che decorava anch'essa delle antefisse. Non dobbiamo meravigliarci se nello stesso tempo e in prossimità dello stesso tempio appaiono varii tipi di antefisse, perchè in un solo edificio possono comprendersi antefisse che decorano la testata dei canali, altre il colmareccio, altre le travi che collegano i caprioli del timpano nella parte postica e qualche volta anche nell'anteriore, le quali, dovendo essere ricoperte per salvaguardarle dalle intemperie, hanno anch'esse le loro antefisse, che sono in generale più piccole di quelle delle grondaie. C'è poi da notare che nell’area dei templi sorgono sempre edifici minori e semplici porte coperte, di accesso alle aree stesse, le quali esigono a lor volta decorazioni proprie.

I discernimenti di questi varii elementi formano parte di studii che attendono ancora la loro maturazione. Possiamo però in genere affermare che dall'esame delle sole antefisse non si avrebbero fino ad ora che tre fasi costruttive, una al sesto, l'altra al quarto, la terza al secondo secolo a. C., non tenendosi conto del passaggio tra la repubblica e l'impero, quando le costruzioni lignee sono sostituite dalle lapidee. Avremmo cioè un quarto periodo nel primo secolo dell'impero con quella tradizionalità tecnica che si conserva nelle officine plastiche e nelle fornaci.

Il piccolo frammento rappresentato a fig. 26, apparentemente insignificante, permette invece un'importantissima conseguenza. Si tratta della cornice di antepagmento che ricopriva le travi di un tempio. Reintegrandolo, noi abbiamo la dimensione delle travi e per conseguenza quella delle colonne. Riflettendo alla forma avanzata di questo frammento testimoniata dal listello, che invece di essere a sezione curvilinea è rettangolare, noi dobbiamo riportare l’edificio cui apparteneva al secondo secolo a. C. La poca sporgenza del guscio concorda per epoca con la forma piatta del listello e vi concorda anche la tecnica della colorazione. Data così l'altezza delle colonne, la larghezza degli intercolumni, non sarà difficile, quando si conosca la larghezza dell'imbasamento del tempio, dare il numero delle colonne frontali e gli elementi della costruzione generale. Ma prima di venire a queste conclusioni, converrà attendere il pieno svolgimento dello scavo, limitandoci per ora ad affermare che esisteva quivi un tempio di grandezza piuttosto considerevole e tale da occupare tutta la sostruzione formata con massi estratti dalle mura postgalliche, non escludendosi il caso che non si tratti della prima costruzione, ma di un rifacimento non molto tardo.

Gli altri due frammenti (fig. 27, 28) riguardano l'uno la pittura di una sub grondaia e l’altro il coronamento fittile del fastigio.

Lo scavo in genere ci permette di poter tracciare alcune linee generali circa le vicende subite dall’acropoli palatina e di dirigere la nostra opera verso la soluzione definitiva. Sappiamo che l’acropoli si divideva in due ripiani, l'uno che formava una specie di vallo o pomerio, che doveva elevarsi fino alla soglia della porta imperiale (v. sopra, p. 269, fig. 7), e più in alto la grande spianata, che si innalzava fino all'altezza cui dovevano giungere le cupole delle cisterne o per lo meno di quella superiore.

L'altezza della spianata formante il pomerio non poteva essere minore della soglia della porta conducente all’interno dell'acropoli, perchè la strada si sarebbe innalzata senza ripari laterali, laddove, secondo tutte le probabilità e secondo le norme generali di consimili costruzioni, la strada di accesso doveva procedere tra due alte mura, da cui potesse difendersi l'accesso, come oggi direbbesi, con difesa piombante.

Durante il periodo repubblicano si abbassa la spianata dell’acropoli livellandosi alle adiacenze ed acquistando la forma che ora da quel lato si vede. Resta ora a vedersi se il lungo muro che attraversa la cisterna a monte e si dirige lungo il lato occidentale del criptoportico avesse sostenuto una terrazza, una vera acropoli, e se questa sopraelevazione ci fosse stata anche nella prima costruzione QALVITI Su VII secolo) o se fosse opera totalmente dovuta al periodo postgallico.

Lo scavo dovrà pure risolvere la questione della costruzione delle prime cinte, Lo alle falde del colle e l’altra all'altezza del muro recingente il vallo, di cui si vai bero traccie più a levante. Ciò potrà essere dimostrato in tempo assai breve. In complesso ora ci pare potersi riconoscere:

Primo periodo (dal secondo millennio a. C.?). Gruppo di abitazioni stato del Palatino rozzamente recinte con aggere di terra e argilla, del quale forse abbiamo già ritrovato le traccie. Pozzi profondissimi, quanto cioè occorreva per raggiungere le lame acquifere.

Secondo periodo (dall'VIII-VII secolo ?). Costruzione dell’acropoli con muri trachitici, consistente in un recinto inferiore che segue a un dipresso le mura della supposta Roma quadrata ed uno superiore corrispondente alla seconda cinta superiore. La sua costruzione e la sua forma non può essere ancora determinata.

Terzo periodo (VI secolo). Dispersione di tutti gli avanzi della necropoli e abbandono forse della località. Nello strato di terra compatto, viscoso, di colore bruno, che, come un lenzuolo, ricopre la necropoli, non si rinvengono frammenti posteriori al sesto secolo, e rari sono quelli di quest'ultimo periodo.

Quarto periodo. Ricomincia la vita, scarsa ancora nel quinto secolo.

Quinto periodo. Incendio gallico.

Sesto periodo. Ricostruzione solida delle mura inferiori e superiori con l'aggiunta di una seconda cinta sull’orlo delle ripe e di una acropoli maggiormente munita, che corrisponderebbe ad un dipresso all'area occupata dal palazzo di Tiberio ed alla spianata dei templi. La cinta che forma sostruzione pomerio e di cui non si ha traccia anteriore si estenderebbe lungo tutto il lato pe del Palo, comprendendo il palazzo dei Flavii. La cinta che si eleva a mezza costa abbraccierebbe anche il Palatium, il quale avrebbe una sopraelevazione o acropoli propria più bassa della massima che sorgeva sul Cermalo.

Settimo periodo. Settimo periodo. — Abbassamento del Cermalo, distruzione delle mura, e ricostruzione dei templi.

Fonte: Notizie degli scavi di antichità

9/1907

IV Relazione di Dante Valieri sullo scavo della necropoli del Cermalo al Palatino.

Quando apparvero i solchi praticati nel suolo, dei quali si disse nella relazione passata, si pensò che dovessero riferisi ad un grande tumulo o ad una grande capanna. Nondimeno, poichè il piano di posa (L) non aveva forma circolare, ma elittica, convenne anche rinunciare all'idea del tumulo ed ammettere l'esistenza di una grande capanna della forma degli antichi cinerari.

La cavità rettangolare (K) compresa nel perimetro della capanna apparve eccentrica rispetto a questa, onde si dovette dubitare che la cavità e la capanna stessero tra loro in rapporto: difatti della totale indipendenza dell' una dall'altra si ebbero prove evidenti quando si riconobbe che la cavità era circondata da fori destinati a infissioni di pali, che dovevano sostenere una propria copertura; e si constatò che la impronta di questi pali ed una profonda fossa di drenaggio (N), tagliano le traccie della grande capanna elittica. Sembra di dover inferire che questa si debba riportare alla così detta capanna laziale, laddove la cavità rettangolare spetterebbe all'epoca di passaggio tra quella e la casa quadrata.

I frammenti fittili, che venivansi discoprendo man mano che ci avvicinavamo all'area nella quale erano comprese queste opere, si distinguono per due caratteri essenziali: mancano avanzi anteriori all'ottavo secolo e il vasellame accenna ad una maggiore moltiplicità di forme, le quali ci riportano, come si è già detto precedentemente, non a piccoli sepolcri, a pozzo o a fossa, ma a grandi sepolcri a camera. Questi si rinvengono in tutta l'Etruria a cominciare da quest'epoca, e man- cano finora nel Lazio, dove si sono invece rinvenute solo grandi fosse, capaci di contenere anche vasellame copioso e delle dimensioni consuete nell'uso, come si vede nella tomba dell'agro Gabino conservata nel Museo di Villa Giulia.

Estendendosi lo scavo dal lato occidentale, abbiamo rinvenuto altri due cavi simili (inclusi sempre nella grande area elittica l’uno a nord-est, (18-24) l'altro a nord-ovest (9-15). Si tratta dunque di un gruppo di capanne o edicole sepolerali, che si sostituiscono alla grande capanna elittica, escludendosi, come si è detto e come meglio si vedrà, le capanne per abitazione. Delle tre capanne scoperte sino ad oggi nessuna è ancora interamente esplorata.

La prima è interrotta da muri e da un pavimento (H), che, per essere antichi, non credemmo di dover rimuovere stando al sistema di scavo che ci proponemmo ed a cui ci attenemmo scrupolosamente. Le altre due non sono finora messe in luce se non in parte per la grande massa di terra che ad esse si sovrappone, difficoltà molto considerevole per noi, non disponendo per questo lavoro se non di un solo operaio. Senonchè, quantunque lo scavo sia incompleto, pure esso offre elementi che bastano per reintegrare la forma primitiva di queste capanne. Esse hanno forma rettangolare, anzi sembrano comporsi di due quadrati. I rettangoli non sono in isquadra, e dimostrano come quelle costruzioni non appartenessero al vero periodo dell’opera quadrata.

Gli assi lignei che formano l’ossatura delle pareti è della porta (9-12) conservano la forma naturale cilindrica; il loro allineamento è imperfetto, ravvicinandosi ai lati estremi, e rappresentando così il passaggio dalla forma elittica alla rettangolare. Siccome però la lunghezza è maggiore della larghezza, è da supporre che la. i copertura avesse anch'essa perduta la forma elittica per prendere quella dei due spioventi che corrono lungo tutto il fabbricato. Ci troveremmo dunque in quel periodo a. che è rappresentato dai sarcofagi con copertura a due spioventi, ma con il colmareccio arcuato, anteriore alle costruzioni fondate sulle norme dei Greci. La porta è visibile in una sola di queste capanne (11-12). Essa è preceduta dal due assi, i quali ricordano un poco quelle fuque, che prospettano le porte rappresentate dai cinerari laziali.

Il punto topografico in cui ci troviamo, corrispondente al lato più interno dell'antico estuario tiberino, doveva essere naturalmente il centro di concorrenza di tutti coloro che per ragioni di commercio avevano interessi con il corso inferiore del Tevere. Questa circostanza porta quella promiscuità di costumi, che si nota sempre nelle popolazioni marittime e che fu caratteristica per Roma antica.

Il vasellame partecipa dei caratteri propri della prossima Etruria, da cui provengono gli holmoi, il carchesion, le cinochoai (fig. 50) col becco allungato e con graffiti, le grandi tazze di alto piede con pareti cilindriche, leggermente svasate, gli infondibuli, ecc. Ma del Lazio sono le forme dei manici attortigliati in modo speciale e certi tipi di piccole anfore.

Oltre al materiale di pretto uso sepolcrale sono tornati in luce anche dei fittili, che hanno riscontro con quelli adoperati nella vita comune. Essi hanno dei caratteri propri locali. Sono questi dei foculi (fix. 51-56) consistenti in un tronco di cono, un po’ rigonfio, con una grande apertura di fianco (fig. 52-53) per immettervi il combustibile. Un orlo piatto e molto sporgente gira in prossimità di un piccolo ripiano superiore, formato dal taglio del cono. Varie aperture sono fatte al di sopra e al di sotto di quest'orlo.

Sopra la parte tronca del cono parrebbe che siasi posata un'olla e forse sull'orlo una lastra fittile, per cuocere focaccie. La materia di questi foculi non è formata col solito impasto di detriti vulcanici, spalmati con argilla ocracea, ma è perfettamente omogenea, quale viene dalla cava, sicchè, se questi oggetti non si trovassero frammisti a materiali certamente anteriori al sesto secolo e la loro forma non accennasse ad un costume primitivo, si dovrebbero ritenere di un'epoca molto più tarda.

Esaminando questi foculi, dobbiamo persuaderci che essi non furono lungamente adoperati e che anzi taluno non ha per nulla sperimentata la finmma, precisamente come non accenna in realtà al contatto del fuoco quanto di riguardante la cucina si rinviene nei sepoleri della Toscana, /oculi, spiedi, alari, ecc. Evidentemente non toccarono il fuoco se non nelle rare occasioni delle cerimonie funebri, quando nell'edicola sepolcrale sì riunivano per celebrarle i parenti, come fu sacro costume degli antichi Romani.

Oltre ai foculi, tornò in luce pure una lastra fittile per focaccia, tutta perforata da grandi buchi, quali si ritrovano nelle capanne di Satricum. È da notarsi però che questa lastra è profondamente compenetrata dall'azione della combustione: fu portata forse nell’edicola con la focaccia gia cotta o in tutto o in parte. La presenza infatti di questa graticola non può distruggere la nostra induzione, che queste capanne fossero soltanto funerarie e non di uso: mancano sul piano di esse quei potenti strati di legna combuste, gli avanzi di pasto, i frammenti di olle in cui il cibo si coceva, che si ritrovano nelle altre stazioni coeve e specialmente in quelle di Satricum.

Traccie di combustione si sono rinvenute però anche nel fondo delle nostre capanne, ma si tratta di uno strato sottile, non alto più di due o tre centimetri, quasi uniformemente diffuso, prodotto certamente da un incendio, per effetto del quale il terreno per una certa profondità si è trasformato. Di questo fatto, che ha notevole importanza per la questione, sì è avuta cura di lasciare la testimonianza sul posto.

È da notare ancora come dall'esame di tutte le capanne risulti evidente che esse sono generalmente in tale ottimo stato di conservazione sino alle traccie meno sensibili del piccone da sembrare che lo scavo loro nel terreno sia avvenuto contemporaneamente alla scoperta: anche ciò conferma, che queste capanne non furono adibite neppure per breve tempo, ad uso domestico.

In esse troviamo quindi i primi saggi di quel costume, per ci più tardi saranno innalzati dai Romani i loro grandi sepolcri a imitazione della casa, le domus aeternae dette proprio casae, in C.I.L. VI, 9659 e 15526 per il riposo del defunto, dove dovevano convenire i parenti per tutte le cenge furedres che il culto dei Mani prescriveva. Questi grandi sepolcri, costruiti per l'eternità come tutte le opere romane hanno sfidato i secoli e non pochi di essi tuttora s'ergono superbi ai lati delle vie: y ma anche le nostre capanne, fatte di materiale marcescibile ed esposte al fuoco, hanno lasciato le loro impronte sicure nel terreno. Perchè fu destino di Roma lasciare attraverso ì secoli anche le più lievi e remote traccie della sua storia.

La continuazione dello scavo, praticato nell'interno della cisterna (fig. 57) ha messo in luce due dati importanti. Il primo si è che nel fondo della cisterna si poteva discendere mediante una scala a chiocciola. Una tale disposizione farebbe supporre che la cisterna non avesse cupola o che alla gradinata sì accedesse da un cunicolo aperto al di sotto della cupola. La struttura delle pareti, i cui massi riposano sulla sezione minore, ci spingerebbe a supporre che si tratti di una vasca, cioè di un lacus presso la porta, costume con sueto delle città romane e medievali. Tale quesito potrà solo essere risoluto dal proseguimento della difficile indagine.

Il secondo dato ci viene fornito da un piccolo frammento di decorazione fittile, murato nell’intonaco, che riveste il fondo della cisterna (A). Esso non ha il carattere stilistico degli ornamenti del periodo prettamente arcaico, rappresentato dai piccoli bassorilievi, su cui appaiono bighe e guerrieri, riferibili indubitabilmente al sec. VI a. C., ma appartiene piuttosto al V.

Se ne dovrebbe dedurre che la cisterna fosse stata costruita dopo questo tempo; ciò che contrasta col carattere dei vasi rinvenuti entro l'anello dell'argilla e che appartengono evidentemente al secolo sesto. Se ne deve dunque inferire che l'intonaco fu applicato in seguito, ovvero che il fondo della cisterna ebbe un secondo rivestimento. «I pozzi più antichi di argilla», siccome avverte il conte Cozza, « non avevano rivestimento interno, perchè non ancora introdotto negli usi costruttivi: l’impermeabilità dell'argilla bastava per contenere l'acqua. Introdotto l'uso dell'intonaco, come si vede dal caso della nostra cisterna, si continuò a costruire cisterne a tenuta esterna di argilla, pur adoperandosi internamente l'intonaco. Anzi cisterne col semplice intonaco senza l'anello esterno di argilla non si costruirono che quando fu introdotto, almeno per le opere idrauliche, il sistema dell'emplecton, fatta eccezione per i pozzi scavati nella roccia, in cui l'intonaco risale al secolo sesto.

La cisterna da noi scoperta parrebbe appartenere a quel periodo di transizione, in cui i due sistemi di tenuta erano associati. Ma l'ufficio dell'argilla non era più essenzialmente quello di contenere l'acqua, per cui l'intonaco sarebbe bastato, ma di costipare il terreno intorno alle pareti della cisterna per renderle resistenti alla spinta dell'acqua. Per accrescere ancora di più il volume della zona argillosa, i costruttori di quel tempo aggiungevano calce viva, badando di non metterla a contatto delle pareti lapidee. Questa disposizione sembra applicata nei casi in cui il terreno adiacente era più compressibile.

Pubblichiamo inoltre la pianta dello scavo sotto alla platea di blocchi di tufo sul lato occidentale della scala di Caco. Presentiamo pure le riproduzioni di frammenti fittili architettonici del VI secolo, qui rinvenuti o nelle vicinanze:

1. Frammento della zampa posteriore di un cavallo (m. 0,18) (fig. 59). Questo prezioso avanzo apparteneva ad un gruppo di tutto rilievo, il quale doveva certamente decorare il frontone di un edificio, di cui dà approssimativamente l'ampiezza, che non potrebbe essere dedotta da altri elementi. E modellato con semplicità arcaica e non è tratto da forma, onde si ricava che fi fatto espressamente per questo tempio. Un particolare tecnico, forse non altrove riconosciuto, si è che i muscoli sono indicati con linee sottilissime nello stesso modo con cui sono accennati nei vasi.

2. Altro frammento appartenente allo stesso gruppo (fig. 60). Consiste in una coda di cavallo sostenuta da un puntello, che doveva trovare appoggio in una delle zampe posteriori, quella maggiormente piegata all'indietro. Le masse dei peli sono indicate con il colore rosso dato col pennello e con i segni sottili del frammento precedente.

3. Altro frammento pure appartenente ad un gruppo frontale del tempio, che per tecnica sembra riferirsi ad una ricostruzione più tarda (fig. 61). È informe e frammentato, sicchè è difficile definirlo.

4-7. Quattro frammenti di sima dritto, sporgente m. 0,06 nella subgrundatio per quanto appare dal dipinto. Vi sono rappresentate, in piccoli bassorilievi, scene di caccia. L'altezza dei cavalli non può essere superiore ai sette centimetri; si tratta quindi di un piccolissimo coronamento di un tempio, che però con le sue dimensioni non dà quelle dell'edificio. Questi frammenti rappresentano: a) parte delle zampe posteriori di due cavalli, attraversate dal timone della biga, e parte di zampa posteriore di un veltro (fig. 62). I colori sono dati a fuoco sopra una preparazione giallastra generale. La decorazione della grondaia è semplicissima, consistendo in strie rosse e bianche a spina con l’asse sull'angolo della grondaia; b) un cervo. Forma e tecnica identiche (fig. 63); c) zampe anteriori di un cavallo e parte inferiore di un guerriero con schimeri (fig. 64); d) ruota e parte superiore di una biga e piede di un guerriero posato sovr'essa (fig. 65).

8. Frammento di una cornice strigilata (fig. 66), che per essere poco rilevata accenna alla ricopertura fittile degli epistilî o dei capreoli. Le sue dimensioni, messe in rapporto con quelle del sima, sono notevolmente grandi e concordanti con quelle del gruppo equestre.

9-10. Frammenti della grande palma concava che coronava le antefisse (fig. 67-68).

Fonte: Notizie degli scavi di antichità

Stampe antiche

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