Informazioni storicheCodice identificativo monumento: 12300
CronologiaL'imperatore Augusto organizza una battaglia navale, per inaugurare il nuovo acquedotto dell'Aqua Alsietina, realizzato apposta per alimentare la nuova Naumachia: «Allestii per il popolo uno spettacolo di combattimento navale al di là del Tevere, nel luogo in cui ora c'è il bosco dei Cesari, scavato il terreno per una lunghezza di milleottocento piedi e per una larghezza di milleduecento; in esso vennero a conflitto trenta navi rostrate triremi o biremi, e, più numerose, di stazza minore; in questa flotta combatterono, a parte i rematori, circa tremila uomini.»
L'imperatore Traiano inaugura il decimo acquedotto di Roma, per l'approvvigionamento idrico della regione urbana di Trastevere. Viene riutilizzato parzialmente il condotto dell’Aqua Alsietina. Le sorgenti sono collocate sui monti Sabatini, presso il lago di Bracciano. La lunghezza complessiva di circa 57 km e la portata giornaliera di 2.848 quinarie (118.200 m³).
Nel punto più alto della ex-villa Sciarra al Gianicolo, a poca distanza dall'antico cancello della villetta Spada, sono stati scoperti: 4) un muraglione ornato di nicchie a simiglianza di un ninfeo; 4) lo speco sotterraneo dell'acquedotto Traiano, largo m. 1, alto m. 1,90; c) una antica strada, perfettamente conservata, larga m. 4, lunga, nel tratto scoperto, m. 24; 4) un masso di marmo con le sigle di cava.
Rodolfo Lanciani.
Nota del prof. Felice Bernabei su di un'epigrafe dell'acqua Augusta Alsietina.
Una importantissima scoperta è avvenuta di recente nelle adiacenze della via Clodia; e ne abbiamo notizia per lo zelo del sig. marchese Alberto del Gallo di Roccagiovine, ispettore degli scavi, assai devoto alla tutela delle memorie patrie.
Presso il Casale di Galeria, a circa 15 miglia fuori di Porta del popolo, sulla via Clodia, nella tenuta di proprietà del Gallo, fu trovata, come coperchio in una condottura di acqua che viene dal lago di Bracciano, una lastra di travertino, alta m. 0,63, larga m. 0,61, con un cpigrafe frammentata, della quale si ebbe un calco cartaceo, Vi si legge in belle lettere di età augustea:
AVGVSTVS
NTIF MAX
MAM MENTIS ATTRIB
IVO AQVAE AVGVSTAE
VAE PERVENIT IN
NEMVS CAESARVM
EX EO RIVALIBVS QVI
VCCINAM ACCIPIEB
Quale fosse l'aqua Augusta, di cui è parola nella nostra pietra, possiamo riconoscere assai facilmente, sia tenuto conto del territorio in cui avvenne la scoperta, sia di ciò che nella lapide stessa è detto.
Trattasi dell'aqua Augusta quae pervenit in nemus Caesarum, come suona l'iserizione, acqua che scendeva pel territorio sabatino, corrispondente al moderno agro di Bracciano, e serviva pel Trastevere, dove erano il nemus Caesarum e la naumachia di Augusto, luoghi ricordati dal monumento Ancirano. Chiamavasi anche aqua alsietina dall'Alsietinus lacus, oggi detto di Martignano, da cui Augusto la trasse. E se si riflette che di tale acqua nessuna memoria epigrafica si conosceva prima di quella ora trovata, certo non piccolo è il pregio della pietra, che dalla solerzia del marchese del Gallo ci venne offerta.
...
Le offese arrecatevi per adattarla al nuovo uso ignobile, in cui venne adoperata. non sono tali che impediscano riconoscere quanta parte ne cadde, così nel lato superiore come a sinistra di chi riguarda. Nel lato destro non sembra che parte alcuna della leggenda fosse stata tolta; ed inferiormente ben si può supporre, che solo un verso fu perduto. Lo studio poi di confronto con altre lapidi acquarie di questa età, porge anche esso aiuto nella reintegrazione del titolo, dove il centro di versi superiori è occupato dalla parola Augustus, che prima comparisce nel frammento.
Trattasi adunque di supplire solo ciò che riguarda il nome dell'imperatore a cui è da riferire l’opera, prestandosi quanto ci rimane in questa parte del titolo così per Augusto medesimo, come per Tiberio o per Claudio. Se non che, tenuto conto dello spazio e del modo con cui la leggenda nella lapide superstite fu spaziata, non mi pare vi si riescirebbe bene a collocare quanto necessita alla indicazione di questi due ultimi imperatori, oltre i quali non mi sembra che ci si possa allargare con le congetture. Inclinerei quindi a riferire la cosa ad Augusto, e leggerei:
Imp. Caesar. divi. f.
AVGVSTVS
pONTIF MAX
for MAM MENTIS ATTRIB
in rIVO AQVAE AVGVSTAE
qVAE PERVENIT IN
NEMVS CAESARVM
elEX EO RIVALIBVS QVI
per bVCCINAM ACCIPIEB
Cioè: (Impr[erator] Caesar Divi f[ilius])| Augustus |(p)ontif(ex) maximus) | (for)mammentis attrib(uit) | (in r)ivo aquae augustae | (g)uae pervenit in | nemus Caesarum | (et) ex eo rivalibus qui | (per b)uccinam accipieb(ant) | (aquam perennem dedit).
Resterebbe la difficoltà pel supplemento (for)mam mentis attrib(vit); ma che la parola me2/um sia usata nel senso di gocezolatoîo o di gronda, si dimostra con l'autorità di Vitruvio, nè credo si possa opporre dubbio intorno a ciò.
Nè anche reputo possa spiegarsi diversamente da quello che ho creduto, la forma (per b)uccinam accipieb(ant). È noto in fatti che fu usata la parola buccina, non solo a denotare le vigilie nella vita militare, e quindi le varie ore della notte anche fuori della milizia, ma eziandio ad esprimere le varie ore del giorno (Senec. hyest. 709).
I rivales in conseguenza che, prima di questa nuova opera idraulica augustea, ricevevano l’acqua in ore assegnate solamente (qui {per d]uecinam accipieblant]), vennero a godere di beneficio continuo; la ‘quale ultima indicazione è appunto quella, che nella rottura della lapide inferiormente venne a mancare.
Stampe antiche