Codice identificativo monumento: 12536
Da una lettera del sig. Luigi Ceselli al ch. conte Gozzadini, in data del 12 passato agosto, pubblicata nel giornale il Buonarroti (serie II. vol. XI), ebbe conoscenza il Ministero di una scoperta di anticaglie appartenenti ad una necropoli presso Grottaferrata. Interpellato a tal proposito il ch. cav. Michele Stefano de Rossi, il quale potè raccogliere le maggiori informazioni su tale trovamento, si ebbero subito dalla gentilezza di lui le seguenti notizie.
Nel podere Giusti limitrofo all'abitato di Grottaferrata, nella regione di levante non lungi dal casale così detto del Fico, e precisamente a destra della via scorciatoia che da Grottaferrata mette al suddetto casale, nell'inverno decorso 1876-77, facendosi i consueti lavori di scassato, apparve fra la terra in molta quantità vasellame antico assai rozzo. La niuna apparenza estetica di questo vasellame non fece sospettare ai proprietarî, fortuiti scopritori, che in quelle stoviglie si celasse veruna importanza archeologica. Infatti la massima parte di quelle terrecotte, che già compariva molto frammentata, fu anche inavvertitamente ed ignorantemente dagli stessi lavoranti mutilata. Alcuni vasi furono anche donati a qualche passante; e circa altri trenta dei medesimi furono ricoverati presso i proprietarî, i quali se ne servirono a collocarvi dei fiori ad ornamento della casa. Dopo parecchi mesi, cioè nella primavera del 1877, io venni fortuitamente in cognizione vaga di questo trovamento; e perciò nell'interesse della scienza mi recai presso i signori Giusti, richiedendo notizie precise del fatto. I suddetti signori gentilmente mi mostrarono i vasi, che tenevano coni fiori ed acqua ad ornato dell'abitazione; ed allora soltanto dietro le mie indicazioni .conobbero d'avere in mano monumenti archeologici. In seguito di ciò io potei fare tutte le indagini per assicurare i dati scientifici circa il trovamento, intorno al quale pubblicherò una illustrazione.
Conchiusi con i proprietarî l'acquisto delle stoviglie salvate dalla completa distruzione; le quali stoviglie si aggiunsero alla mia ben nota collezione di oggetti spettanti alle arcaiche antichità latine.
Senza entrare nei particolari illustrativi della scoperta, accenno in generale che il suddetto vasellame: apparteneva a sepoleri arcaici latini, ed è della famiglia detta laziale, rozzissima; e più particolarmente della specie rinvenuta sotto gli strati del peperino nel pascolare di Castel Gandolfo nel 1817, che fu illustrata da Alessandro Visconti. Fra questo vasellame vi è anche un'urna cineraria di terracotta in forma di capanna.
Ho motivi per congetturare, che î suddetti sepolcri possano appartenere ad una necropoli finora ignota, corrispondente ad un villaggio designato nella vicina Valle Marciana.
Giuseppe Fiorelli.
Scoperta del Sepolcreto di villa Cavalletti a Grottaferrata.
A circa un chilometro e mezzo da Frascati, sulla destra della strada rotabile che poi, biforeandosi, conduce a Marino e a Rocca di Papa, trovasi la villa dei sig. marchesi Giovanni e Pietro Cavalletti. Essa è addossata al versante orientale di un poggio poco elevato, dalla cui vetta si domina gran parte della pianura laziale che il Tirreno limita ad occidente, e la vista si spinge fino alla fose del Tevere e fino a Roma che appariscè a nord-ovest, sullo sfondo dell'ampio orizzonte.
Dalla via pubblica si giunge alla villa seguendo un viale rettilineo e quasi pianeggiante, lungo circa 350 m. A destra del viale e poco oltre l’incrociamento di esso con uno stradone campestre trasversale, nello scorso inverno si eseguì un profondo scassato per piantagione di viti. Durante l'escavazione furono messe in luce parecchie tombe a cremazione (vedi pianta topogr., fig. 1). Informato di ciò il Ministero della Pubblica Istruzione, c'incaricò di recarci sul luogo per assistere ai lavori e prendere in esame il materiale archeologico scoperto.
Per la conoscenza del sepolcreto gli studiosi debbono essere grati al marchese Giovanni Cavalletti, il quale non solo si è preso cura di raccogliere e conservare il materiale archeologico venuto in luce, ma ci è stato altresì largo di aiuti e di cortesie perchè le nostre ricerche fossero condotte a termine con profitto.
Lo scassato si eseguì in un'area rettangolare di mq. 2184 circa, coi lati più lunghi quasi paralleli alla strada rotabile. Il terreno era già coltivato a vigna, ma i sepolcri nella maggior parte, per quanto ci fu riferito, erano rimasti intatti, perchè le fosse, in cui anteriormente si piantarono le viti, erano state scavate a poca profondità e ad una certa distanza l'una dall'altra.
Quando ci recammo sul luogo, il lavoro dello scassato era finito e restava soltanto in parte da scavare un fosso in contiguità del viale e parallelo ad esso, per lo scolo delle acque e per costruire un muro a secco a sostegno della vigna. Pertanto quasi l’intero sepolcreto, e certo la parte più importante e che meglio sì prestava ad uno scavo sistematico e ad osservazioni rigorose, era stato esplorato prima del nostro arrivo. L'area sulla quale doveva aprirsi il fosso, essendo limitata da una parte dal viale e dall'altra dallo scassato, lasciava inoltre poca speranza di rinvenire un terreno intatto per nuove osservazioni. Nonostante ciò, avemmo la fortuna di assistere alla scoperta di tre tombe relativamente in buona condizione, ma due soltanto si poterono osservare con qualche diligenza.
La prima, venuta alla luce al principio di febbraio, nell'ultimo tratto del fosso a valle, era stata tagliata sopra un lato dai lavori di scassato, tuttavia fu possibile di riconoscere un pozzetto cilindrico con l'ossuario nel fondo, intorno al quale si rinvennero ammucchiati i vasi accessorî, in mezzo a terra fina che riempiva il pozzetto fino presso alla bocca. Sopra la riempitura di terra, a quanto si vide, si erano gettate alla rinfusa, scaglie e sfaldature di pietra basaltica che Pre sulla superficie tracce di essere state esposte al fuoco.
Da questa tomba sì estrassero l'ossuario e cinque vasi fittili del corredo, ma è probabile che parte della suppellettile siasi guastata o estratta già durante i lavori dello scassato.
L'urna funebre, oltre alle ceneri, conteneva soltanto tre anellini di filo di bronzo. Ha il corpo piriforme rientrante nella parte superiore ove si unisce al collo, lasciando una risega in giro: il labbro è largo e rovesciato all'infuori. Misura cm. 21 di altezza e 14 di diametro alla bocca. È chiusa da un piattello a segmento sferico e a base conica, rinvenuto sopra l'ossuario, non caporolto a modo di coperchio, ma dritto col piede in basso.
Del corredo fanno parte: 1) una tazzina a cono tronco, simile alla fig. 7, alta cm. 5 con cm. 9 di diametro nella bocca, munita in luogo dell'ansa, di un'orecchietta rettangolare impervia, che si eleva dall’orlo; 2) una ciotola, alta cm. 8 e larga 12 alla bocca, a labbro rientrante e con una linguetta di presa, impostata orizzontalmente nella parte superiore del corpo; 3) una coppa ovoidale, simile alla fig. 10, alta cm. 6 con cm. 5 di diametro alla bocca, provveduta di tre bugnette e di un piccolo appoggiamano rettangolare, attaccati sulla spalla a distanze eguali; 4 e 5) due olle a corpo piriforme, quasi simili per la foggia all’ossuario, con orlo largo e sporgente all’infuori, diviso dal ventre per mezzo di profonda gola. Una è. in pezzi, l'altra misura em. 13 di altezza e 9 di diametro alla bocca. Questi vasi, compreso l'ossuario, sono di argilla mescolata a sabbia vulcanica, al pari di tutti gli altri oggetti fittili del sepolcreto.
La seconda tomba rinvenuta l'8 febbraio, si trovò intatta e in tali condizioni da potere raccogliere con la maggiore precisione le particolarità relative alla forma del seppellimento, alla giacitura degli oggetti e al rito funebre. Sì scoprì a circa m. 3 dalla siepe fiancheggiante il viale di accesso alla villa e quasi a m. 69 dallo stradone trasversale campestre.
Nulla era apparso fino alla profondità di m. 0,70 sotto la superficie del suolo, cioè in corrispondenza del terreno vegetale che era stato rimescolato profondamente dai lavori agricoli anteriori. Soltanto quando lo scavo fu approfondito di altri m. 0,20, sì scoprirono pezzi informi e schegge di lava basaltica, formanti uno strato che occupava uno spazio quasi circolare, di m. 0,75 o 0,80 di diametro. Procedendo con le dovute cautele, si constatò che tale strato irregolare e spesso cm. 0,25 in media, era limitato dalle pareti di un pozzetto cilindrico scavato entro un banco di sabbia vulcanica conglomerata, di non molta consistenza, al quale serviva di riempitura.
Tolte le pietre si rinvenne un disco di tufo vulcanico irregolarmente tagliato, di m. 0,45 di diametro e dello spessore medio di circa cm. 8, che copriva la bocca di un grande dolio fittile, deposto entro il pozzetto che si restringeva in basso-a guisa di tronco di cono, cosicchè la base del dolio vi era stata esattamente incassata (fig. 3). Si accertò che le schegge e i pezzi di lava della riempitura, almeno in parte, erano coperti di uno straterello di una sostanza nera carboniosa e sopra alcuni si trovarono tracce quasi evidenti dell'azione del fuoco. Il dolio ha il labbro svasato in gran parte rotto, breve collo a tronco di cono, ventre rigonfio e due anse piatte impostate orizzontalmente, delle quali, però, non restano che gli attacchi.
L'altezza è di m. 0,425, il massimo diam. del corpo di m. 0,460 e il diam. interno della bocca di m. 0,272. È formato con impasto rossolano ed ha pareti spesse e cotte al rosso anche esternamente, ma in modo regolare. Conteneva fra un terriccio leggero e nerastro, i seguenti vasetti, tutti di impasto grossolano e fatti a mano: lucerna a quattro piedi con una. piccola cavità ovale nel mezzo e provveduta di ansa ad anello, e con due alette trapezoidali all'estremità dell'asse maggiore, impostate orizzontalmente molto al di sotto dell’orlo; tazzetta a cono tronco rovesciato, con labbro spianato ed orecchietta forata ed arrotondata che si eleva dall'orlo in luogo dell’ansa; tre olle ovoidali a labbro sottile e con reticolato in rilievo ; tazzina a corpo ovoidale ed orlo svasato, munita di ansa biforata verticale, impostata sull'orlo e sulla sommità del corpo . Inferiormente ai detti vasi giaceva nel dolio un ossuario dello stesso impasto a superficie bruna o nerastra, chiuso da un coperchio conico di uguale fattura, con presa ad anello sul vertice (fig. 11). L'ossuario ha il corpo piriforme rigonfio nella parte superiore, con gola larga e profonda e con labbro riversato all'infuori ed espanso.
È provveduto di anse verticali opposte, ciascuna delle quali è costituita da due cilindretti avvicinati e attaccati tra il labbro del vaso e le spalle. Nello spazio compreso fra la parete interna del dolio e quella esterna dell'ossuario si rinvennero altri due vasetti, cioè: una ciotola a forma di tronco di cono depresso e labbro rientrante, e provveduta di ansa orizzontale piatta, impostata poco sotto l'orlo; una piccola coppa ovoidale con tre bugnette ornamentali e una linguetta di presa, equidistanti sulla spalla. Entro l'urna funebre, insieme coi residui del rogo si scoprirono un grano di ambra in frammenti e una fibula di bronzo, a corpo leggermente ingrossato e larga staffa semicircolare decorata con puntini a sbalzo. Nell'arco sono ancora infilati due anelli di filo di bronzo del diametro di cm. 3 e si raccolsero i frammenti di un terzo anello. Gli ornati del corpo consistono in zone a tratteggio spinato, tramezzate da fasce di linee rette, le une e le altre eseguite in giro mediante il bulino.
Un terzo sepolcro si scoprì vicino e a monte del primo, ma trovandosi sotto le piantagioni che fiancheggiano il viale, non fu possibile condurvi uno scavo sistematico e non si potè nemmeno metterlo per intero all'aperto. Non abbiamo potuto accertare se le sfaldature di pietra basaltica in mezzo alle quali giacevano l’ossuario e i vasi del corredo, rivestissero le pareti del pozzetto, o servissero a riempirlo, come avveniva comunemente. Gli oggetti estratti dagli operai, in pezzi, hanno notevole importanza, e sono i seguenti: 1) tazzetta ad ansa biforata di argilla figulina, a superficie giallo-crema e fondo rilevato nell'interno, ornata con bugnette nella parte più sporgente del corpo; 2) frammenti di una o due ciotole d’impasto artificiale, a cono tronco e con labbro rientrante, accuratamente ingubbiate e lucidate; una di esse almeno aveva l'ansa orizzontale; 3) manico quadrangolare di un vaso fittile; 4) pezzo di un vaso di forma non definibile con traccia dell’attacco dell'ansa; 5) frammenti di un sostegno di vaso o di base di calefattorio, consistente in uno zoccolo basso e in un tratto delle pareti traversate da aperture circolari e ad angolo e con listelli quadrangolari attaccati verticalmente, che sembrano dividerle in varî scomparti; 6) frammenti dell'ossuario a corpo rigonfio (fig. 164 e 16), con alto collo a cono tronco e labbro largo e rinversato all'infuori; è munito di anse opposte, quadrangolari e rientranti nella parte trasversale, ad imitazione dei manici simili metallici, uniti ai vasi di lamina.
Ha ornati eseguiti accuratamente a conchiglia o mediante istrumento dentato sulla base del collo e sotto la spalla, i primi a guisa di denti di lupo col vertice all’ingiù, i secondi a quadri disposti regolarmente con svastica nel mezzo. Questi sono limitati da zone formate da due rette parallele e congiunte da fasci di linee spezzate. Tanto l’ossuario, quanto i vasi accessorî, ad eccezione del primo, si modellarono, come tutti i prodotti fittili del sepolcreto, con argilla mista a sabbia vulcanica e dopo una cottura non molto intensa, si ricoprirono, alla superficie, d'’impasto più fino e si lucidarono con cura. L'importanza di questo sepolcro dipende dallossuario che per la foggia e per gli ornati si avvicina più degli altri ai tipi villanoviani, dalla forma tondeggiante della base del calefattorio, rara, ma non sconosciuta nelle necropoli laziali (cfr. fig. 26), essendosene trovato un esemplare intero I: anche negli scavi del 1816 o 1817 nel Pascolare di Castel Gandolfo, e dalla tazzetta di argilla figulina, che è il solo prodotto di questa classe rinvenuto nella necropoli. Questa ha pareti sottilissime e leggere, fu cotta certamente alla fornace ed è di argilla così depurata, che non esiteremmo a ritenerla d'importazione.
Oltre ai sepolcri ricordati, ci fu assicurato dai lavoratori che nello scavare ILS fosso di scolo si erano pure scoperte altre tre tombe, due a monte delle precedenti e l’ultima fra la seconda e la terza, e ne trovammo, infatti, le tracce. Ci furono mostrati, come provenienti da esse, un ossuario ovoidale con coperchio a guisa di tetto di capanna, un'urna funebre a capanna e quattro fibule di bronzo, poste entro una ciotola.
L'ossuario, di forma comune in questa e nelle altre necropoli laziali del primo periodo, è notevole pel coperchio a segmento di sfera e liscio, che ricorda il tetto della capanna soltanto per la cresta trasversale, molto pronunziata, esistente sul vertice, destinata all'evidenza a riprodurre il comignolo, con incavature circolari ai due capi, per indicare le aperture per l'uscita del fumo e pel rinnovamento dell’aria.
L'urna a capanna posa sopra uno zoccolo alquanto ovale e relativamente basso, dal quale si elevano verticalmente le pareti a superficie continua, che sostengono il tetto inclinato e a gronda non molto larga. Nel prospetto un’ apertura trapezoidale, larga cm. 10,5 e 11 e alta 10, rappresenta la porta, a ciascun lato della quale si eleva dallo zoccolo, aderendo alle pareti, un pilastrino o tronco d'albero che termina nell'estremità superiore in una forca, uno dei cui capi sporge al di sopra della gronda e l'altro si perde sotto il tetto come se lo sostenesse. Questi pali di sostegno hanno, circa a metà, un anello per introdurvi i capi di un'asticella di bronzo che teneva ferma la chiudenda della porta, passando per un appendice forata che sporge circa a metà di essa. L’ossatura del tetto è rappresentata da tre listelli verticali e rettilinei, sopra ciascuno dei lati più lunghi, che s'incontrano inerociandosi sul comignolo, e da quattro costole meno pronunziate esistenti circa nel mezzo dei lati minori corrispondenti ai frontoni del prospetto e della parte opposta, che si riuniscono a due a due sul vertice formando un angolo acuto.
È stato impossibile accertare se veramente la ciotola con le quattro tibule siasi trovata nel luogo e nella posizione che ci fu riferito e se questa suppellettile abbia appartenuto ad una o a parecchie tombe sconvolte. Devesi quindi accettare la notizia con molte riserve. La ciotola (fig. 18) è a cono tronco, molto depresso, con fondo rilevato nell'interno e largo orlo rientrante. La sua singolarità dipende dall'ansa impostata obliquamente sotto l'orlo e costituita da due bastoncelli quadrangolari a spigoli arrotondati, che s'incontrano ad angolo in modo da dare al manico la forma triangolare. Sono ornati con una serie d’incavi circolari su tutte le facce. Le pareti della ciotola, relativamente sottili, si rivestirono di finissimo impasto nero e si lucidarono, cosicchè essa ha la superficie esterna nera, tendente al bruno.
Sull'orlo, poco sotto al labbro, ricorrono due linee incise in giro, che servono di base ad ornati triangolari col vertice all’ingiù ed empiti di linee parallele ai lati, che alternandosi con altri lisci, formano un bellissimo effetto. Le quattro fibule, tutte della medesima foggia ad arco ingrossato e lunghe mm. 55 e 60, hanno decorazioni eguali consistenti in fasce di linee rette separate da zone a tratteggio spinato, eseguite le une e le altre finamente a bulino. La staffa, larga e semicircolare, è ornata con puntini sbalzati.
In una di queste fibule è infilato un anellino di filo cilindrico di bronzo, in una seconda ve ne sono inseriti quattro, due semplici e due formati da un'asticella quadrangolare piegata a due spire. È conveniente per la cronologia di questo sepolereto fermare l’attenzione su questo tipo di fibule, perchè è il più comune in questa e nelle altre necropoli del primo periodo laziale, e risale ad una remota antichità, essendo già comparso nei ripostigli di Piediluco (Terni) e del Goluzzo presso Chiusi, che sogliono attribuirsi alla fine dell'età del bronzo, o all'inizio dell'età del ferro, e nella necropoli di Cassibile, di transizione fra il secondo e il terzo periodo siculo.
Le informazioni raccolte dai lavoratori aggiunsero poco di nuovo alle nostre osservazioni sul rito funebre, sulla forma delle tombe e sopra altre particolarità relative alla necropoli. È accertato che si rinvennero soltanto sepoleri di cremati. Le tombe consistevano in buche o pozzetti, riempiti prima di terra, e nella parte superiore di scaglie e ciottoli di pietra che presentavano quasi constantemente alla superficie straterelli anneriti dal fuoco. Altre volte la bocca del pozzetto era chiusa da una sfaldatura o lastra di lava basaltica, o di roccia tufacea, che a giudicare dai pezzi da noi veduti, doveva essere di notevole grandezza e pesante.
L'ossuario e i vasi accessorî giacevano sul fondo del pozzetto, o erano deposti entro un dolio o vettina, chiusa da una sfaldatura di pietra, o da un coperchio di terracotta. Anche in questo caso un mucchio di pietre annerite dal fuoco indicava ai lavoranti la esistenza di un sepolero. I residui della cremazione si rinvennero costantemente entro l’urna funebre, insieme con gli ornamenti personali e coi modellini delle armi e degli utensili di bronzo.
Dati meno certi si ebbero sull'estensione del sepolcreto e sul numero e la disposizione dei sepolcri. A quanto pare, la necropoli si estendeva per l’ intera lunghezza dello scassato, ma in larghezza era limitata alla zona più a monte. Resta però sempre il dubbio che gli strati alluvionali essendo più potenti a valle, i lavori di scassato non abbiano raggiunto la profondità in cui giacevano le tombe. Il materiale conservato dal marchese Cavalletti appartenne certamente a non meno di 30 tombe.
Ma i sepolcri scoperti dovettero essere in numero molto maggiore, perchè al nostro arrivo lo scassato della vigna era cosparso sulla superficie di cocci di vasi rotti durante i lavori e che per questo motivo non furono conservati. In ogni modo è da ritenere come probabilissimo che i seppellimenti non fossero molto discosti fra loro, poichè sopra una zona lunga m. 30 e larga m. 8 in contiguità del viale, corrispondente a parte del fosso di scolo, si rinvennero sei pozzetti a cremazione. Siccome il terreno si estende pianeggiante e uniforme oltre i limiti dello scassato testè eseguito ed anche a sinistra dello stradone che conduce alla villa, così è da supporre che anche quivi si allargasse più o meno il sepolcreto.
I fatti esposti, per quanto incompleti, bastano a mostrarci che a villa Cavalletti esisteva una necropoli del primo. periodo laziale, affine pel rito funebre e per la civiltà che vi è rappresentata, a quelle scoperte nel 1816 e 1817 nel Pascolare di Castel Gandolfo e nella vigna Tomassetti a Monte Cucco, e alle tombe venute in luce, successivamente, sulla sinistra della via Appia, nella vigna adiacente alla cappella di s. Sebastiano (Castel Gandolfo, a Campo Fattore sotto Monte Crescenzio (Marino), e in specie a vigna Giusti poco discosta da villa Cavalletti, e nella contrada Boschetto presso le capanne di Grottaferrata. L'esame del materiale archeologico ci proverà la più perfetta corrispondenza anche nei caratteri accessorî fra questi varî gruppi di antichità.
Il materiale archeologico scoperto prima del nostro arrivo e accuratamente conservato a villa Cavalletti, comprende il corredo di quattro tombe probabilmente completo, o quasi, alcuni dolî, quattordici ossuarî, centocinquanta vasi accessorî ed altri oggetti fittili e parecchi ornamenti personali, arnesi ed armi di bronzo, questi per lo più simbolici e in miniatura. L'impossibilità di determinare in qual modo il maggiore numero di questi oggetti si trovasse associato, ha fatto perdere ad essi molto del loro valore, tanto più che i singoli pezzi non hanno, nè importanza artistica, nè tipologica.
Tuttavia conservano ancora parte del loro pregio per due circostanze di fatto: prima perchè è scarsissimo il materiale, finora esistente, di altre necropoli laziali dello stesso periodo ed è stato rinvenuto nell'eseguire lavori campestri condotti fuori di qualsiasi sorveglianza degli studiosi competenti, ed in secondo luogo perchè le antichità di villa Cavalletti provengono da tombe a caratteri relativamente uniformi e che abbracciano probabilmente, almeno nella maggiore parte, un periodo limitatissimo di tempo e una medesima fase di civiltà. Per questi motivi ci sembrò conveniente studiare con cura questo materiale, tenendo separati nella relazione i varî gruppi di oggetti.
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La necropoli di villa Cavalletti non ci offre molto che non fosse già conosciuto, ma riassume, conferma e completa le scoperte precedenti. Appartiene al primo periodo laziale e si lega strettamente ai sepolcreti trovati durante il 1816 e il 1817 sul Pascolare di Castel Gandolfo e alle tombe venute successivamente in luce presso la cappella di s. Sebastiano sulla via Appia, a Campo Fattore (Marino), nella località Boschetto di Grottaferrata, a vigna Giusti e nella vigna di Adriano di Andrea presso la cantina sperimentale di Velletri. La tomba a dolio scoperta recentemente al Foro Romano e quella segnalata prima a piazza Vittorio Emanuele con cinerario a forma di capanna debbono probabilmente ascriversi alla medesima classe di antichità. Altri dolî a corpo rigonfio ed orlo svasato, chiusi, come a villa Cavalletti, da una pietra piatta e contenenti, oltre all’ossuario, vasellini e qualche bronzo si scoprirono anche in mezzo alle tombe a cassa in via dello Statuto, ma non mi è stato possibile accertare se sieno contemporanei o posteriori a queste, secondo quanto crede il Mariani (*), o risalgano ad un'età più antica corrispondente al primo periodo laziale.
Le sole differenze fra il sepolcreto di villa Cavalletti ed alcune tombe ricordate del medesimo gruppo consiste in ciò, che a Campo Fattore l'ossuario ed il corredo erano chiusi entro casse di pietra, in luogo del dolio, e che a Velletri, e per eccezione a s. Sebastiano e a vigna Giusti, i pozzetti sepolcrali erano rivestiti di sfaldature di peperino e ricoperti poi da una lastra della medesima pietra. All'infuori di queste differenze parziali nella forma delle tombe, che potrebbero anche scomparire se s' intraprendessero a villa Cavalletti muovi scavi, si osservano dapertutto i medesimi riti funebri, le stesse fogge di ossuarî e la medesima suppellettile fittile ed enea.
Se, però, malgrado la scarsezza dei rinvenimenti fosse lecito fare una separazione cronologica fra i sepolcri del primo periodo laziale, la tomba della contrada Boschetto di Grottaferrata dovrebbe ritenersi la più antica. Essa, infatti, ha completo riscontro, tanto per la foggia ovoidale dell’ ossuario chiuso dal coperchio a pileo, quanto pel carattere dei vasi accessorî, in sepolcri scoperti a Palombara Sabina e ad Allumiere (prov. di Roma), che debbono farsi risalire al chiudersi dell'età enea, o all'inizio della civiltà del ferro. La necropoli di Villa Cavalletti dovrebbe essere l’ultima di questa serie, perchè ha dato una tazzetta di argilla figulina importata e un numero notevole di ceramiche che risentono, nella forma generale e in alcune particolarità delle anse e del corpo, l'influenza dei vasi di lamina metallica, e sono, quindi, comuni nel secondo gruppo di antichità laziali, cui appartengono le tombe a dolio di vigna Meluzzi e quelle a fossa delle vigne Testa e Limiti sul Monte Crescenzio, i depositi sepolcrali di vigna Cittadini sulla via Appia, di rimpetto a s. Sebastiano, e di vigna Caracci al Prato della Corte e la necropoli dell’ Esquilino, almeno la parte principale e più ricca.
I fatti osservati a villa Cavalletti confermano l’ opinione dell’ Undset, dell’ Helbig, del Pigorini, ecc., che la civiltà laziale si svolse da quella del bronzo quale si manifesta nel versante adriatico, che ne costituisce il substrato. Il maggior numero degli ossuarî, infatti, i vasi accessorî più caratteristici e alcuni oggetti di bronzo riproducono forme proprie di quest’ età, o pure, o poco modificate. Non si ebbero, invece, nuovi elementi, oltre a quelli già ricordati dal Pinza, che possano farsi risalire alle popolazioni neolitiche ed eneolitiche. Ma non sono scarsi nella ceramica di villa Cavalletti gli ornati a quadretti e a scacchi, già segnalati come caratteristici di queste civiltà. Anche qui, inoltre, come nelle altre necropoli laziali, le decorazioni si eseguirono con processi tecnici introdotti durante il neolitico, cioè mediante punte, od impressioni a fune, o per mezzo di conchiglia o di ordigni dentati, e si fecero spiccare sul fondo bruniccio o nero mettendo negl’incavi materie bianche.
La necropoli della quale ci occupiamo, ci diede pure prove certe che anche sui Colli Albani furono risentite le influenze delle grandi correnti di cultura, che determinarono la formazione delle civiltà della prima età del ferro, in ispecie di quella villanoviana. Vi si rinvennero, infatti, tazzette di argilla figulina, e nei vasi dei corredi funebri si constatarono numerosi segni della conoscenza dei prodotti importati di lamina metallica, i quali, come dimostrarono il Pigorini, il Ghirardini ed altri, furono la causa principale delle modificazioni che la ceramica locale subì negli ornati e nelle fogge durante la prima età del ferro. Ai rapporti con la Grecia e col Mediterraneo orientale si deve probabilmente altresì l'introduzione nel rito funebre del Lazio, come dell'Etruria, delle urne funebri che imitano la casa dei vivi e contengono la figura del morto coi suoi ornamenti, armi e strumenti di uso in miniatura.
Il materiale archeologico, inoltre, relativamente copioso uscito dal sepolereto di villa Cavalletti ha aumentato i riscontri e le somiglianze fra le antichità laziali e quelle contemporanee scoperte al di là del Tevere. Come nelle altre necropoli dei Colli Albani, manca anche qui l'ossuario tipico di Villanova, ma si ebbero numerosi vasi del corredo che per la foggia e le decorazioni lo richiamano. Inoltre, a compensarne la mancanza, si rinvennero comuni nel Lazio le urne funebri che imitano la capanna, o che almeno ne riproducono il tetto nel coperchio, secondo un costume seguito anche negli strati paleoitalici dell’ Etruria. Restò pure accertato che tutte le forme proprie della ceramica laziale, come aveva già avvertito il Pinza ('), hanno riscontro al di là del Tevere, ad eccezione forse dei calefattorî. Infine a villa Cavalletti gli oggetti di bronzo si mostrarono meno scarsi che altrove e ciò che più importa, gli arnesi e le armi che vennero alla luce nel Lazio per la prima volta, somigliano a quelli delle più antiche tombe a pozzo di Allumiere, di Vetulonia, di Bisenzio, di Corneto, di Vulci ecc.
Pertanto dalle scoperte di villa Cavalletti, o da quelle precedenti, la civiltà villanoviana e la laziale appariscono come due rami che spuntano dal medesimo tronco, si svolgono sotto le medesime influenze e per l’azione delle stesse cause, e si somigliano nelle manifestazioni principali e più importanti. Ma nel Lazio, a quanto pare, si rinvenne un materiale archeologico più omogeneo e più povero di forme e di ornati, vi prevalsero fogge di oggetti rare al di là del Tevere, si mantennero più tenaci e immutati i vecchi tipi, e gli elementi locali vi sono di gran lunga più copiosi di quelli importati. Ma quand’anche queste differenze restassero confermate da esplorazioni archeologiche estese e sistematiche che finora mancano sui Colli Albani, in ogni modo potrebbero essere facilmente spiegate dalle condizioni geografiche in cui vissero gli abitanti di quei colli, meno soggetti all'influenza delle nuove correnti di civiltà.
Le scoperte di villa Cavalletti accentuano, altresì, i rapporti di somiglianza fra il materiale archeologico del Lazio e quello uscito dalle arcaiche necropoli di Suessola e di Cuma in Terra di Lavoro, in modo che resta quasi provato che in queste è rappresentata una civiltà molto affine alla laziale. Questo risultato è assai interessante e dovrà tenerne conto in modo speciale chi desideri studiare in avvenire i caratteri e l’origine delle antichità laziali della prima età del ferro.
Il sepolereto di villa Cavalletti conferma, finalmente, il fatto già conosciuto che durante il periodo di cui ci occupiamo il Lazio era abitato da una popolazione numerosa, distribuita in piccoli centri, gli uni vicini agli altri e riuniti in gruppi.
Finora i centri più importanti conosciuti erano intorno al lago di Albano, l'uno ad oriente ove avvennero le scoperte di vigna Caracci al Prato della Corte e di vigna Delsette a Capo Croce e l'altro ad occidente del lago medesimo sul Monte Crescenzio, sul Monte Cucco e sul Pascolare di Castel Gandolfo fino alla via Appia. Ora possiamo stabilire un terzo gruppo d'importanza nou minore a Grottaferrata, costituito dai sepolereti di villa Cavalletti e di vigna Giusti, che sono probabilmente reparti di una sola necropoli e della tomba della contrada Boschetto, di fronte alla Mola dei Monaci.
Le abitazioni delle famiglie che lasciarono i loro avanzi nella necropoli di Villa Cavalletti dovettero essere poco lontane, e data la speciale configurazione topografica ed altimetrica della localita, è probabile che sorgessero presso la cima del poggio che si eleva ad ovest del sepolcreto.
Giuseppe Angelo Colini