Codice identificativo monumento: 12631
Come opere antichissime forse riferibili al primo centro abitato, in Ardea, debbono ritenersi quelle grotte che sono incavate al piede della rupe della Civitavecchia dalla parte nord e prossima al primo fossato (fig. 1, e). Non sono grotte sepolcrali come una volta furono giudicate, ma vere e proprie abitazioni, e perciò in tutto eguali a quelle innumerevoli che s'incontrano nella bassa Etruria, e che per la prima volta furono da me riconosciute per tali.
Ciascuna grotta rappresentava la parte più recondita della casa, cioè il talamo; dinanzi elevavasi la capanna, e ciò è dimostrato chiaramente dai segni delle travi che appoggiavano alla rupe e dalla pendenza del tetto a due spioventi, che vedesi talvolta tracciata sulla rupe medesima. Le case ipogee di Ardea sono anche più caratteristiche di quelle dell'Etruria, inquantochè hanno il letto incavato nel masso: del rimanente il fondo della casa è diviso, come di consueto, in due parti; una costitusce il cubiculo, l’altra un piccolo magazzino o ripostiglio per le vesti, il peculio ecc. È singolare la casa di Ardea, il cui fondo è diviso in due cubicoli separati da tramezzo, come viene indicato nel disegno che qui si unisce (fig. 5).
Nel suo prospetto conservasi intatta la traccia del camino, che muoveva dal culimine della capanna costruita nella spianata innanzi ai cubicoli. Il detto culmine è indicato dalle buche di due travicelli. A ciascun talamo si accedeva mediante un gradino tagliato sulla fronte dello scoglio. Il talamo poi era sollevato dal piano della cella quasi mezzo metro, ed era diviso dalla capanna con una spalletta, che doveva avere lo scopo di racchiudere le culcita.
La disposizione dei due letti e il modo di accedervi è manifesto nel disegno che qui si aggiunge e che rappresenta la sezione orizzontale dei due cubicoli (fig. 6 a, b). Nel cubicolo più grande e più regolare (a) è incavato nel fondo una grande nicchia che, in sostituzione del solito vano, che trovasi a lato delle altre case, teneva luogo di ripostiglio o di armadio. Nell'altro cubicolo (b) si vede in basso una traccia orizzontale, che servì per incastrarvi una tavola, e sopra a questa sono praticati due fori per le mensole di legno.
Una delle grotte che costituivano il gruppo di abitazioni rustiche di Ardea, sebbene nell'aspetto esterno abbia tutti i caratteri delle altre, cioè sì componga di una cella grande e di altra piccola, divise tra loro da un tramezzo, nondimeno nei particolari non corrisponde ad un cubicolo, ma evidentemente servì a tutt'altro scopo. La fig. 7, che qui si aggiunge, rappresenta appunto l’aspetto esterno di detta grotta. A nostra richiesta il signor Mancinelli-Scotti per mezzo dei suoi operai sgombrò dal terrapieno l'intera grotta in modo da poterla studiare e disegnare. Il vano più grande rappresentava una vasca chiusa sul davanti con una spalletta smussata e di fianco con altra spalletta ad angolo vivo (fig. 8), la quale divideva una seconda vasca di livello molto più basso della prima (fig. 9). A questa serviva di emissario un grande doccio ricavato nel masso.
Opere simili si riscontrano pure tra i gruppi di case ipogee nella bassa Etruria, e a primo aspetto sembra doversi riconoscere nelle medesime i torculari da vino: ma per gli aiuti che ci vennero appunto da uno scavo regolare, fatto in nostra presenza, si potè constatare che tanto l'una quanto l’altra vasca mancavano di rivestimento qualsiasi, quindi data la porosità del tufo, non potevano essere adatte per torchi da vino; inoltre sulle pareti o sulla volta non appariva traccia alcuna che indicasse l'appoggio di un congegno qualunque, per cui si potesse fare pressione sulle vinacce deposte nella vasca grande. Riconoscerei piuttosto in questo piccolo edificio una fullonica, od anche una concia di pellami, usata in comune dalla piccola tribù che abitava le case ipogee della Civitavecchia.
Vasche in tutto uguali a quelle della nostra grotta si trovano pure incavate a cielo aperto, nei grandi massi distaccati dalle rupi, e quindi presso i corsi di acqua. Basterà indicare gli esempî di due grandi vasche sotto l'Aiella di Civita Castellana, in prossimità del Rio Filetto, e una vasca consimile proprio in vicinanza di Ardea sulla confluenza del fossatello di Casalazzàro col fosso dell'Acquabuona (cfr. fig. 1, f).
Ora vasche simili, così distanti dall'abitato, poste all'aria aperta e sempre in prossimità dei corsi di acqua, non potevano servire per torculari da vino, ma piuttosto dovevano avere uno scopo quasi uguale a quello per cui servivano le vasche, le quali trovansi presso le abitazioni. Così mentre queste potevano essere usate o per fulloniche o per conce di pellami, le altre disperse per la campagna potevano essere usate per farvi macerare il lino o la canapa, come oggi si fà per tenere lontani dall'abitato i miasmi e gli odori cattivi, che emanano per la macerazione di quelle piante tessili.
Un'altra grotta non meno interessante è quella che contiene un piccolo forno. Ne diamo qui il disegno del prospetto nella fig. 10. Essa si compone di due parti divise da tramezzo. La parte principale è una cameretta coperta da volta arcuata, abbastanza regolare, nella cui parete di fondo apresi la bocca del forno. L'altra parte è una specie di grotticella rozzamente scavata e forse serviva per riporvi la legna. La bocca del forno ha figura trapezioidale, cioè più stretta all'architrave che nel piano. Il forno poi è rappresentato da una nicchietta arcuata sopra, allargata ai lati in modo da avere una pianta elittica, come vedesi nella fig. 11, che riproduce la sezione orizzontale di questa grotta.
Nello spurgare in qualche parte alcune delle grotte sopradescritte non abbiano potuto raccogliere il più piccolo frammento fittile che ci potesse offrire un dato sicuro per stabilire l'età di quelle abitazioni. Ma noi sappiamo che nel 1882 in vicinanza di queste grotte furono fatti saggi di scavo dal ch. sig. comm. Barnabei in compagnia col prof. Dressel, e se ne ebbe un buon risultato, poichè furono raccolti molti frammenti ed alcuni vasi fittili interi. Il ch. prof. Pigorini, che prese in esame questo materiale, non esitò a riconoscerlo come appartenente alla famiglia dei così detti vasi laziali e inclinò a crederlo di uso domestico, piuttostochè di uso funerario. Se così è, possiamo aggiungere che questi frammenti debbono appartenere con molta probabilità al gruppo di abitazioni da noi segnalato e stabilire quindi la remota antichità, a cui le abitazioni medesime si riferiscono.
A. Pasqui