Codice identificativo monumento: 12724
II Relazione di Dante Valieri sullo scavo della necropoli del Cermalo al Palatino.
Lo scavo sul Cermalo per la ricerca delle antichità preimperiali procede in due direzioni, l'una ad occidente fra il tempio di Cibele ed il perimetro esterno del colle con lo scopo di disseppellire il sepolcreto, l'altra a nord-est verso l'alto dell'acropoli.
Diamo anzitutto i risultati di quest'ultimo scavo. La via (scale di Caco) che sale verso l'acropoli, è in fondo intercettata da una parete in blocchi di tufo (v. fig. 2), sostruzione di un edificio (v. fig. 8, A); il muro a parallelepipedi di tufo, che ne fiancheggia il lato sinistro (fig. 3 A) continua verso nord-est; il muro in calcestruzzo (fig. 3 c d), che la fiancheggia nel lato destro, finisce sotto all'imposto della porta che qui dovette sorgere nell’ epoca imperiale (fig. 3 B), e ripiega ad angolo retto (v. fig. 3. A).
Continuato lo sterro, seguendo il risvolto del muro a calcestruzzo, si è incontrato in fondo uno sbarramento formato da una parete di opera incerta (fig. 3 e f), la quale sostruisce l'altopiano. In questo rettangolo, come nella prosecuzione degli scavi verso nord-est, non si sono avute più indicazioni di sepolcri, ciò che costituirebbe una prova, che la porta qui abbia avuto principio il più antico abitato, la scomparsa di ogni indizio di sepolcri potendosi, dovendosi anzi piuttosto, attribuire al ripianamento del suolo, avvenuto tra l'VIII ed il VII secolo, ripianamento che nella zona più elevata si ‘spinge Dm fino sotto il livello, cui potevano giungere le tombe più profonde.
Il limite della zona di una recinzione meniata ci è attestato anche dalla presenza di un pozzo a sezione circolare (fig 3 C), non ancora spurgato. È importante l'esame delle chiaviche qui incontrate, perchè questo e per la forma del colle e più ancora per la disposizione dei fabbricati è il solo punto, a cui dovevano convergere tutte le vie. I sistemi delle cloache possono dividersi in tre gruppi secondo i loro successivi periodi:
1. Al più antico, anteriore al quarto secolo, interamente scavato nella roccia, appartengono i cunicoli fig. 3 i l. Il primo (i) sembra seguire rigorosamente l’asse stradale; il secondo (l) si perde fra cavità sotterranee.
2. A questi cunicoli, e specialmente al primo, spettano le chiaviche di due ordini superiori, che sono posteriori alla costruzione delle grandi mura e seguono la colmata rimasta tra l'antico piano della roccia e la terrazza su cui furono ricostruiti templi dopo il disfacimento della grande fortificazione (circa nel 250 a. C). Una (fig. 3 i) viene dal lato settentrionale e penetra nel cunicolo protetto superiormente da tre lastroni addossati a cappuccina (fig. 4); che questa, ad onta del suo aspetto, arcaico, sia opera posteriore alle mura, lo prova il taglio fatto nelle mura stesse. Una seconda chiavica, costruita nel modo istesso, è visibile nel lato sud-ovest . (v. fig. 3 2, fig. 5). Di questa non appaiono che alcuni lastroni addossati ad altri più interni, che non poterono essere esaminati, perchè inclusi nel muro di calcestruzzo. Questo cunicolo si sovrappone al muro formato di piccoli blocchi, di cui v. sopra. La % erza chiavica si apre nella parete formata di piccoli massi a destra del grande muro che fronteggia la via (fig. 3 n, fig. 6).
3. Il terzo gruppo di chiaviche è superficiale e riferibile agli ultimi sopraelevanenti di suolo (tra la fine della repubblica ed i primi dell'impero). Una, che funzionò fino al tardo impero, corre sul lato orientale del tempio che taglia la via e sostituisce l'altra che correva più in basso (fig. 4). Si congiungeva al cunicolo mediante tubi formati da anfore tronche ai due estremi e imperfettamente connesse (fig. 3 nel punto o). In uno di questi tubi furono rinvenute alcune monete (un medio bronzo di Antonio (Cohen 6), un gran bronzo di Claudio (?), un medio bronzo di Vespasiano (?) e cinque altre imperiali irriconoscibili), le quali, sebbene cadute dentro la chiavica, erano ancora contenute in un vasetto di vetro. La posizione molto elevata del tratto superiore di questa chiavica indica l'ultimo livello del piano, su cui si alzarono i più tardi rifacimenti di questi edifizii. La chiavica di sinistra, diretta parallelamente alla fronte del tempio di Cibele non doveva avere rapporto che col sacello laterale alla gradinata di questo tempio.
Esaminando il muro formato dalla parete che fronteggia la via, vi si rilevano tre distinti tipi costruttivi.
Il primo, verso destra (fig. 3 p q, fig. 6) è molto singolare: è formato di piccoli blocchi e di materiale molto friabile. Non si conosce per ora il suo spessore nè si sa se e quanto si prolunghi. Per la sua struttura sembra anteriore al sistema di difesa adottato nel quarto secolo: ma è d'altronde possibile che si siano adoperati materiali più antichi in una costruzione più recente, tanto più che esso non riposa sul vergine. È poco resistente, perchè forse non doveva sostenere se non una terrazza dell'area circuente il tempio.
Procedendo verso sinistra (fig. 3 r s, fig. 2) il muro appare costruito in modo perfettamente organico e con materiali preparati per ciò, non tratti da altri edifizii. Questa sezione di muro forma quindi parte del sistema di fortificazione, la cui scoperta si deve al nostro scavo. Questo muro è quello che prosegue in direzione di nord-ovest, il quale, dopo avere attraversata la cisterna presso la casa di Livia, si avanza fin sotto le fondazioni della casa di Tiberio, fiancheggiando dal lato orientale un lungo corridoio.
Il terzo tratto, più verso occidente (fig. 3 t u, fig. 7), è formato con massi di . differenti provenienze, scalpellati negli orli per‘ trovare la linea di posa delle differenti assise, sistema caratteristico per i romani. Esso, che sbarra la via, fu costruito per servire come sostruzione all'edifizio soprastante (fig. 3 A), per la quale sostruzione a destra, fu adoperato il muro suddetto. Il muro, che corre sul fianco sinistro della via (42), prosegue fino all'alto di questa, dove forma con essa un angolo leggermente ottuso.
Il rettangolo b e g (fig. 3) è, come si è veduto, chiuso da tutti i lati, onde si è passati a sterrare dal lato opposto al muro di sinistra, riprendendo poscia l'ascesa verso il centro dell'acropoli, attraverso i templi paralleli A, D,E figura 3). Si è riconosciuto un muro (fig. 3 v x) di materia e tecnica differente e di carattere più antico degli adiacenti. È formato con massi estratti dalla roccia sottostante. Sulle prime potrebbe produrre l'impressione di un antichissimo muro di cinta, ma, considerando l'estrema debolezza del materiale, si dovrà pensare ad una sostruzione.
In questo sterro si sono scoperti gli avanzi di un muro formato di ben sedici filari di blocchi (fig. 3 t, u, z, 2 cfr. figg. 8 e 9) collocati nella direzione del basamento dell'edifizio A, ciascuno di due piedi di larghezza: Questo muro riposa sopra ripianamenti o gradoni, di cui tre sono tornati in luce (fig. 9), ricavati nella roccia e comprendenti quattro filari ciascuno. Abbiamo quindi la base di un edifizio costruito con il disfacimento o l'abbassamento delle mura di difesa, edifizio di poi abbandonato e sostituito con altro basamento, forse quello che attraversa la via.
Un muro di tufo però, formato con due soli filari di blocchi, perfettamente orientato ad ovest (fis. 3 a' b'), accenna ad un edificio ancora più antico, anteriore alle grandi fortificazioni. Esso si ritrova anche più ad oriente, ma in parte non ancora esplorata, onde a più tardi deve essere riservato il giudizio.
Quelle ampie fondazioni includevano parte di una grande cisterna (fig. 3 F cif: fig. 10). con rivestimento esterno di argilla, nella quale furono rinvenuti dei vasi (figg. 11, 12,13, 14), non sappiamo per quale ragione ivi collocati. Sono di forma elegantissima, e dipinti. Ricordano la prima influenza .protocorinzia e si debbono attribuire al sesto secolo, epoca quindi della cisterna stessa. I caratteri costruttivi variano notevolmente dalla cisterna già nota e visibile in alto; e tutto dimostra nella presente un progresso nei caratteri costruttivi stessi.
In quella, scoperta nel 1897, i massi che formano il cilindro interno hanno un piano di posa molto largo rispetto alla loro altezza; in questa, ora scoperta, essi posano con la sezione minore e non hanno altro scopo se non di mantenere a posto l'anello di argilla e non di sorreggere la volta, come nella prima, dove 1 massi accennano già a ravvicinarsi formando la volta di tipo miceneo.
Il diametro interno di questo pozzo è veramente grande, misurando sei metri circa, e male si comprende come sopra pareti così esili siasi potuto innalzare la cupola, che sorreggeva il puteale; la volta forse si reggeva con ampia base sulla colmata. Certamente però la terrazza su cui sorgeva l’acropoli anche prima della cinta del quarto secolo, doveva essere molto alta e molto potenti dovevano essere i muri, comunque costruiti, che ne sostenevano la spinta. Supponendo infatti che direttamente sopra quanto ci resta della cisterna si innalzasse la cupola, la quale doveva essere almeno alta una volta e mezza il suo diametro, saliremmo già a circa 12 metri dal piano della roccia.
In questo scavo sono tornati in luce alcuni frammenti architettonici fittili, attribuibili a tre epoche diverse. Al sesto secolo si debbono attribuire un frammento di un'ala appartenente certamente adun acroterio, perchè dipinto da ambo i lati, e tre frammenti di un fregio, su uno dei quali è rappresentato. il corpo di un cavallo, su un altro il collo di un cavallo e le mani di un auriga, sul terzo i piedi sottili ugnalmente di un cavallo. Sono tutti dipinti con colori applicati in fornace e composti con tinte ocracee, che si conservano nettissimi. Alla medesima epoca appartiene per lo stile e la tecnica il frammento di antepagmento, rappresentante una processione di' fanciulle (fig. 15) era mancante di colore.
Al terzo secolo circa appartiene un'antefissa su cui si vede un piccolo fauno, che suona la doppia tibia ed una ninfa tutta ammantata che danza (fig. 16). È dipinta in encausto; il colore è poco penetrato nel coccio. Al secondo secolo appartiene un'altra antefissa ornata di bellissima testa di baccante incoronata di edera (fig. 17). Non reca traccia di colore, perchè questo, in calce, è scomparso. È tornato pure in luce un frammento di un coronamento fittile di fastigio che, per la rappresentanza bacchica, può avvicinarsi a quest'ultima antefissa, non per l'epoca, essendo di età più recente. Vi è rappresentata una maschera scenica (fig. 18).
L'altro scavo, destinato a mettere in luce la prosecuzione della necropoli, è stato fatto internandosi verso occidente al di sotto del pavimento tufaceo, che, a quanto pare, si estendeva ai piedi della gradinata del tempio di Cibele. Questo pavimento, che si è voluto conservare, è tutt'altro che sicuramente autentico, specialmente nell'ordine superiore, messo a calce d'impasto non antico. Anche il suo piano non è concordante con altro in situ, che non potè subire spostamenti, trovandosi connesso con una sostruzione organica del terreno vergine alla sommità, nè con altro frammento di lastra pavimentale conservata a posto in prossimità del grande pozzo sepolcrale scoperto il 20 aprile, pag. 188. Altre ragioni ancora fanno dubitare che quel pavimento sia veramente in situ.
Si trovò infatti al di sotto di quel pavimento un copiosissimo scarico tardo (dal periodo sillano al primo sec. dell'impero) (fig. 19). Consisteva in anfore quasi intere, in vasi da conservatissimi, in vasi di tipo aretino con le marche C. I. L. XV, 4998 h, 5027 d, 5277, 5309 a, 5387, 5394 e è GRAID (cf. 5234); NIGE (2 es. cf. 5375 b); HSANTI (in giro) una trilichne con rappresentanza di Medusa con sopra e sotto la scritta: IVNI ed altri frammenti. Proseguendo verso ovest, si incontrò un pavimento in calcestruzzo e sopra a questo una specie di botola ricavata nel pavimento e circoscritta in mattoni d'opera recente (farnesiana). Sul lato nord-est una nicchietta (fig. 20), incavata nella terra di scarico e rozzamente intonacata attesta il disordine portato quivi in epoca tarda.
Nello strato più profondo si sono trovati frammenti di vasi troppo grandi per essere contenuti in una delle solite fosse, che non avesse dimensioni tanto grandi quanto le hanno talvolta quelle di passaggio tra i due sistemi di seppellimento. Che si sia prossimi ad un sepolcro di primo ordine è dimostrato pure dall’esservi una fossa circolare molto profonda. Di questa parte dello scavo sarà pubblicata relazione più ampia e la pianta nei prossimi rapporti, quando lo scavo sarà più inoltrato.
In una caverna informe, in parte vuota in parte ingombra di rottami del periodo imperiale, la quale si apre sotto la gradinata del tempio di Cibele, fu riuvenuto il frammento marmoreo riprodotto a fig. 21, su cui riferisce il conte Cozza: « Parrebbe alla prima dover appartenere ad un capitello che per stile si ravvicini all'arte della Campania. Tale lo caratterizzerebbe la nessuna asprezza del modo con cui è trattato il fogliame, e più ancora la tecnica esecutiva, ottenendosi in esso una modellatura chiara e morbida con un solo scalpello magistralmente mosso nella direzione dello svolgimento vegetativo, la qual cosa caratterizza molto l'arte del mezzogiorno. Senonchè questo fogliame non ha quei rovesciamenti in dentro e in fuori, che sono caratteristici dei capitelli di Pompei.
Ci rappresenterebbe quindi quell’anello di congiunzione fra l’arte augustea e quella italiota, passaggio di cui sentiamo assoluta deficienza. Ma ben esaminato, il frammento non può attribuirsi che ad un acroterio di quella forma di cui ci restano tardi ricordi nei motivi ornamentali di coronamento esistenti nel Musco capitolino, da riferirsi a qualche edificio del periodo traianeo. Per questi indizi potè appartenere benissimo alla ricostruzione del tempio di Cibele fatto da Augusto, tanto più che il marmo appare un poco calcinato.
Tutto infatti tende a dimostrare essere avvenuto un grande incendio in prossimità di quel tempio poco dopo il periodo augusteo, come parrebbe provarlo il materiale fittile rinvenuto in quel cavo, che si apriva nel pavimento prospiciente la fronte del tempio, materiale frammisto a colaticcio di ferro liquefatto e scorso in rivi nelle cavità come avverrebbe da un forno di fusione. Serviva probabilmente quel ferro a consolidare le compagini lignee del tetto ed è quindi facile rendersi conto dell'alta temperatura a cui fu portato trovandosi immesso nelle enormi cataste di leone resinoso precipitati sul pavimento dall'alto fastigio del tempio ».
Con una piccola squadra di operai si è fatto un giro di ricerche intorno al Cermalo partendo dal lato meridionale e terminando all’orientale, girando in direzione sud-ovest. Il primo saggio ebbe per iscopo di accertare il taglio perpendicolare della roccia a valle della porta dell’acropoli, constatata nel primo giorno di scavo. Quel taglio fu perfettamente constatato per la profondità di circa m. 3,50, a due metri dalle mura perimetrali. Il secondo fu fatto ad oriente in corrispondenza dell'angolo formato da questo lato delle supposte mura della Roma quadrata. Si riconobbe che il tracciato delle antiche mura seguiva un angolo più acuto dell'attuale. In questo punto tanto importante ci proponiamo di eseguire di poi una trincea tanto profonda da raggiungere e determinare le falde del colle, aprendo così uno scolo alle acque in direzione del Velabro. Probabilmente si rintracceranno antiche fognature rispondenti a questo scopo.
Il terzo fu fatto per renderci conto di alcuni tagli nella roccia in direzione nordnord-ovest. Uno di questi più ad ovest ci apparve in forma di un'edicola incavata nel masso ad una notevole altezza, a un dipresso come si rinvengono in talune parti dell'Etruria, dove attestano la presenza di un ipogeo sepolcrale. Questa supposizione è convalidata dall'aver constatato come sulla fronte e per la larghezza dell’edicola il taglio cadesse a piombo. Senonchè questo scavo, che probabilmente condurrà alla scoperta di qualche sepolcro, cui si legano tradizioni religiose o storiche, non può eseguirsi che con opera laboriosa lungo le falde del colle, onde deve rimettersi ad altro tempo.
Il quarto saggio mise in luce un pozzo, in cui si attingeva l'acqua dall'alto e ad una media altezza. Queste pozzo, unitamente con altri visibili all'esterno delle mura, i quali accennano a mettere capo sull’alto del colle, concorrono a confermare quanto si constatò nel primo saggio, che cioè le mura più antiche seguivano una linea corrispondente ad un dipresso alla strada che ora mette ai due lati del Palatino. Le costruzioni più tarde impedirono di proseguire per ora saggi in tutto il cerchio che gira il lato nord-ovest e nord-est, ma non sarà impossibile di proseguire in avvenire utili ricerche attraverso le fondazioni dei palazzi imperiali.
Sul lato orientale non si fece che ritornare su saggi già fatti in epoca precedente, sia per metterli meglio in luce, sia per seguirli un po' dove parve facile l’opera e di molto interesse il risultato. Uno, fatto innanzi alla casa dei Flavii. dove si trovano mura antiche, ha accertato che queste non hanno recinto il Cermalo, ma il Palatino, il quale sarebbe sorto dove oggi sorge la vigna Barberini, s. Sebastiano e s. Bonaventura: dal colle va escluso tutto il tratto in origine vallata su cui sorgono la casa dei Flavii, la così detta casa di Augusto e naturalmente lo stadio e gli edifizî severiani.
Saggi perimetrali per ora sono sospesi, limitandosi tutto il lavoro presso le scale di Caco. Questo scavo, la cui continuazione è stata assicurata dall’on. ministro della pubblica istruzione e che ha ogni appoggio dalla direzione generale per le antichità e belle arti, ha già dato, come si è visto, risultati eccellenti e altri molti ne promette. Nè io posso chiudere questa relazione sugli scavi palatini, senza ricordare l’opera dell’ispettore conte Adolfo Cozza, la cui esperienza ed il cui occhio sono coefficienti troppo preziosi.
III Relazione di Dante Valieri sullo scavo della necropoli del Cermalo al Palatino.
Gli scavi sono stati continuati verso est e verso nord-ovest. Poichè nella prima direzione poco si è proceduto, e di minore importanza furono le scoperte, ci limitiamo per ora a riferire sul secondo scavo (fig. 7), veramente importante.
La scoperta di un grande sepolcro destò in noi molta commozione. Il tumulo, che doveva coprire una tomba a camera, alto almeno m. 9, quasi all'angolo occidentale del Palatino, visibile dall'Aventino e dal Campidoglio e dall’altra parte. del Tevere, destinato a coprire una tomba di famiglia, non può non far pensare alla sepoltura di un personaggio, rivestito di grande autorità, e probabilmente di un capo, di un rex o della tribù dei Ramnes o di più largo dominio.
L'esame del monumento ci permette, credo, di arrivare a queste conseguenze. La camera sepolcrale era in parte scavata nella roccia ed in parte ‘costruita in muratura. Difatti, esaminando i sepolcri adiacenti (v. la sezione in fig. 8), riconosciamo come cessi non potessero essere così alti (') da comprendere nel cavo l'altezza di una camera sepolcrale e quella della vòlta, che, data la friabilità del materiale e l'ampiezza del sepolcro, non doveva aver meno di un metro di spessore.
Facendo un confronto approssimativo dell'altezza, cui poteva giungere il piano di campagna della sua elevazione originaria, la tomba avrebbe dovuto essere ricavata dalla roccia fino all'imposta della volta e questa costruita in materiale. Questo computo è anche confermato dall’'immaginato prolungamento del piano di campagna del colle dal punto dove non fu fatto il ripianamento, ma appunto conservato nella sua maggiore altezza.
Qui, come sempre in casi simili, un tumulo di. terra ricopriva le pietre della vòlta ed un giro di pietre od un vero muro circuiva questo tumulo. Senonchè, quando della casa degli estinti non rimase se non una traccia nel suolo e, per il ripianamento del terreno, le reliquie dovevano di necessità essere conservate sotto uno strato uniforme e sottile di terra, non tumuli terrei nè edifici grandiosi in pietra sostituirono la gravità costruttiva ed il fasto dell’antico sepolereto, ma povere capanne.
Ammettendosi che la memoria di quel sepolcro si tramandasse nella forma di una capanna, non farebbe meraviglia che il muro venisse man mano trasformandosi e che alla memoria del sepolcro si sostituisse la casa Romuli, trasformandosi nella forma di un'abitazione che potrebbe aver dato origine al mito della casa Romuli la quale era ad supercilium scalarum Caci (Solin., 1, 18; cfr. Plut. Rom., 20); ivi terminava la Roma quadrata (Solin., loc. cit.), era volta al circo (Dionys., 1, 79, 11; Plut., loc. cit. e Dionys., loc. cit.).
Ma una così fragile memoria doveva essere troppo suscettibile ai deperimenti naturali e straordinarii. Onde ricostruzioni di essa, che pur durò sino al tempo dei regionarii si ricordano anche per epoche storiche (Dio Cass., 48, 43, 4 a. 716 u. c.; 54, 29,8 a. 742 u. c.): egualmente dobbiamo supporre per epoche anteriori rifacimenti e spostamenti.
Lo scavo ulteriore darà su ciò altri schiarimenti. Che se in realtà si potrà accertare che questo sepolcro ha dato origine alla leggenda della casa di Romolo, la sua importanza sarà grandissima. A confermare l’ardita ipotesi potrebbe addursi un fatto nuovo offertoci dallo scavo.
A tutti è nota quella tarda strada selciata, che, passando tra due portici, metteva alla porta di cui constatammo un primo tramite fin dal principio dello scavo. Le condizioni clivometriche di quella strada non facevano supporre un passaggio ad altra porta che mettesse esternamente al clivo della Vittoria; ma non appena, fin dal primo giorno di scavo, si constatò la interruzione brusca del colle, avvenuta appunto colla costruzione delle mura posteriori all'incendio gallico, si dovette naturalmente supporre che le congiunzioni con il lato volto al Velabro, dovessero avvenire in direzione obliqua, ossia costeggiando la rupe e discendendola dal lato di ponente. Questa supposizione era avvalorata dalla concomitanza di altri fatti.
Si era infatti osservato che le mura di tufo, supposte della Roma quadrata ammettevano un tramite nell'angolo volto al Velabro, e che poteva seguirsi una chiara, impronta di una via scavata nel masso che saliva lungo il lato sud-ovest della roccia, non era però escluso il caso che questo accesso potesse consistere in un'apertura praticata nella roccia prima di raggiungerne la massima altezza all'esterno. Sin qui sì trattava di indizii, ben lontani dal definire tecnicamente un passaggio dall'alto dell'acropoli verso il clivo della Vittoria, girando in direzione del Velabro.
Senonchè ora lo scavo approfondito sino al vergine di fronte al grande sepolcro ora scoperto, messo in luce sotto la strada selciati suddetta una strada più antica (fig. 9), che rappresentare la congiunzione fra l'acropoli palatina ed il clivo della Vittoria. I suoi blocchi sono di lava leucitica, poco resistente, adoperata solo per le vie più antiche. La superficie è veramente intatta, tantochè parrebbe che: sia rimasta per ben poco tempo in uso, ed ad ogni modo è escluso il passaggio di ruote, il che deve escludersi anche per la fortissima inclinazione. Lo scavo deve continuare lungo il percorso via.
Benchè siano scarsi i frammenti che ci restano degli oggetti che formavano il corredo sepolcrale della tomba a camera, pure sono sufficienti a darcene i carat teri essenziali ed a mostrarci la sua importanza. È cosa nota e naturale, che i sepolcri a camera più antichi si distinguono da quelli a fossa per esservi immessi vasi di grandezza reale, quali si adoperavano nell'uso domestico, anzichè vasi rituali di piccole dimensioni. Ma non può esservi dubbio che si tratti di corredo funebre, perchè i frammenti conservano quell’integrità e quella freschezza che quasi mai posseggono i vasi d'uso comune.
Dei pochi frammenti di corredo che abbiamo sott'occhio, trovati nel terreno e che pare possano attribuirsi alla grande tomba, gli uni ci dimostrano come vi fosse affinità di costumi con la prossima Etruria, ma altri mostrano anche dei caratteri che cì riportano ad altre famiglie di più antica immigrazione e ad altri gruppi sociali. Ai primi ci riportano le magnifiche anse lunate (fig. 12, 13), di cui non si hanno che scarsissimi esempi in Etruria; ai secondi un vaso (fig. 14, 15, 16) di cui vennero ricuperati notevoli frammenti. Esso per tecnica e forma non ha riscontro in Etruria, ma piuttosto trova somiglianza tra i fittili della necropoli della regione pontina. La ricostruzione di questo vaso ci è riuscita impossibile. Esso si risolve in alto con varie braccia convergenti, ed è aperto dai lati.
Comune nella bassa Etruria è una specie di infundibulo (fig. 17), consistente in una semplice tazza, che ha un solo manico da un lato, vaso che poi si modifica
acquistando maggiore dimensione, con elevazione di manico e trasformandosi in un simpulum metallico dal manico altissimo. Si è rinvenuto qualche frammento di holmos, cioè parte di due basi e forse un orlo superiore (figg. 18, 19). Tale vaso è molto diffuso nella bassa Etruria, scarso nella media e manca affatto nell'alta. Il poco che se ne è conservato non ci dà idea della forma, conoscendosene esemplari svariatissimi, e mancano le bulle intermedie, che permetterebbero di rannodarlo con i prodotti sepolerali di altre località.
Non mancano, tra i pochi avanzi del corredo sepolcrale della tomba, altri frammenti di quelle piccole olle nere sottili, lucide, con manici formati da una larga fascia, con ventre molto rigonfio e collo conico. Crateri, anfore, olle di grande dimensione dovevano pure fare parte del ricco corredo, come fanno testimonianza i frammenti di manici, che meglio si poterono conservare nei rivolgimenti del terreno mediante lo spessore, e quindi maggiore resistenza delle loro pareti.
Non possiamo chiudere questi accenni sul materiale rinvenuto presso la grande tomba senza richiamare l’attenzione sui frammenti di impasto italico, che è inutile riprodurre, perchè la fotografia non ne riproduce il carattere. Essi segnano il passaggio tra il bucchero italico levigato ed il bucchero sottilissimo nero uniforme e lucido, che precede il bucchero assorbente, con cui si chiude questa forma di vaso sepolcrale. Tutto questo materiale di corredo si trovò infranto e disperso; nessum segno di | rispetto si ebbe per la memoria dei sepolti. Correrebbe il pensiero alla furia dei Galli, ma non è a questi che va attribuito il disordine; esso è anteriore; risale tra il Vedi V secolo. Nello strato infatti di terreno nero e viscoso, in cui si trovarono dispersi i frammenti degli antichi sepolcri, non rinvenimmo avanzi più recenti del VI secolo e quelli dello stesso VI secolo scarseggiano, abbondando invece i più antichi.
Quale popolo nemico ha in quell'epoca lontana invaso il Palatino, abbattendone le non forti difese e devastando le tombe? Forse gli Etruschi, già gelosi dei competitori nei commerci fra il mare e il Tevere ed i suoi affluenti?
Subito all'entrata dell'acropoli dell'epoca postgallica fu costruito un grande tempio sulla fronte dell'antica strada che vi dava accesso (v. sopra, pag. 264, fig. 2). Il tempio, come si è già detto, doveva avere dimensioni assai maggiori degli altri edifici posteriori (eccettuato il tempio di Cibele), giudicando dalle fondazioni co-
struite con blocchi tolti dal disfacimento delle mura e disposti a platea completa.
Di questa platea si è rinvenuta una parte ben piccola, perchè in tempo molto più recente furono anche in questo punto estratti i materiali utili per costruzione. Scarso però dovette essere il risultato, perchè gran parte di quei materiali non conservano la loro coerenza per poco che si spostino, onde noi non abbiamo trovato se non una grandissima quantità di tufi disgregati. Alla prima infatti supponemmo che questo lato dell'acropoli fosse ricolmato con detriti tufacei.
Approssimandoci alla cisterna ed esaminando la terra aderente alla cisterna stessa, ci dovemmo persuadere che il riempimento era invece formato con i materiali estratti dalla roccia nel ripianamento della necropoli. Esaminando poi i muri ad emplecton (fig. 20), che furono edificati valendosi dell'appoggio laterale dell'antico imbasamento del grande tempio, di cui era scomparsa ogni traccia esteriore, si è notato come le teste dei blocchi rimasero impresse nel muro stesso. Da quanto rimane ci è impossibile di riconoscere quale dovesse essere la forma di questo edificio.
Intorno a questa fondazione, sia dal lato di ponente sia da quello di mezzogiorno, furono trovati tutti i frammenti fittili relativi a templi anteriori al tempo delle costruzioni in fabbrica, fatta eccezione del frammento pubblicato a fig. 30, rinvenuto presso la grande tomba, e di quello pubblicato a fig. 27, rinvenuto non lontano dalla tomba a fossa contenente lo skyphos.
Dall'esame di questi frammenti e di quelli precedentemente descritti (v. sopra, pag. 273), si rilevano varie ricostruzioni dal VI al TI sec. a. C.; e siccome questi frammenti accennano anche a differenti ricostruzioni e dimensioni, e d'altra parte sappiamo che la fondazione tufacea è posteriore al IV secolo a. C., così noi siamo per ora all'oscuro circa la base di quel tempio che certamente fu qui il più antico, costruito sull'acropoli forse dalle mura trachitiche. Che il tempio del sesto secolo non coincidesse con quello più recente, lo prova la presenza della cisterna, che elimina per tutto il suo ampio raggio ogni altro edificio. Ma non era discosto, forse sul lato sud-est, dove più tardi sorse un tempio minore, un vero piccolo tempio per le parti di cui sì compone, mentre altro edificio sacro, diviso in due platee, sorgeva sul lato occidentale.
I frammenti fittili così sono descritti dal conte Cozza:
Frammento di rappresentanza con cavallo aggiogato ad una biga (fig. 23) del sesto secolo. Nessun dubbio che questo frammento debba riferirsi agli altri contemporanei, precedentemente scoperti, e nessun dubbio sull’arcaicismo non solo per la tecnica della pittura, ma anche per i caratteri stilistici e la forma della biga dal piccolo indizio che ce la caratterizza. In quanto ai non dubbii caratteri stilistici di arcaicismo, è anche da rilevare l'estrema sottigliezza del ventre del cavallo e la robustezza delle gambe posteriori a fronte delle anteriori che sono sottilissime. In quanto poi ai caratteri del carro il poco che ne resta dimostra l'estrema piccolezza della ruota, dall'abbassarsi del timone fino a metà delle tibie del cavallo.
Il frammento a fig. 24 conserva un senso arcaico, ma per tecnica e forma può riferirsi al IV secolo. Rappresenta una Diana persica di tipo non comune, perchè le zampe anteriori dei leoni salgono fino all'altezza delle spalle. Non vi è quasi tempio dal IV al II sec. a. C., nelle cui ricostruzioni non appaia in qualche forma il tipo della Diana persica, tantochè è probabile, che più del rito prevalesse in queste decorazioni accessorie la diffusione delle forme, che: dovevano essere messe in commercio.
Allo stesso periodo deve riferirsi la testa di Fauno barbato (fig. 25), che decorava anch'essa delle antefisse. Non dobbiamo meravigliarci se nello stesso tempo e in prossimità dello stesso tempio appaiono varii tipi di antefisse, perchè in un solo edificio possono comprendersi antefisse che decorano la testata dei canali, altre il colmareccio, altre le travi che collegano i caprioli del timpano nella parte postica e qualche volta anche nell'anteriore, le quali, dovendo essere ricoperte per salvaguardarle dalle intemperie, hanno anch'esse le loro antefisse, che sono in generale più piccole di quelle delle grondaie. C'è poi da notare che nell’area dei templi sorgono sempre edifici minori e semplici porte coperte, di accesso alle aree stesse, le quali esigono a lor volta decorazioni proprie.
I discernimenti di questi varii elementi formano parte di studii che attendono ancora la loro maturazione. Possiamo però in genere affermare che dall'esame delle sole antefisse non si avrebbero fino ad ora che tre fasi costruttive, una al sesto, l'altra al quarto, la terza al secondo secolo a. C., non tenendosi conto del passaggio tra la repubblica e l'impero, quando le costruzioni lignee sono sostituite dalle lapidee. Avremmo cioè un quarto periodo nel primo secolo dell'impero con quella tradizionalità tecnica che si conserva nelle officine plastiche e nelle fornaci.
Il piccolo frammento rappresentato a fig. 26, apparentemente insignificante, permette invece un'importantissima conseguenza. Si tratta della cornice di antepagmento che ricopriva le travi di un tempio. Reintegrandolo, noi abbiamo la dimensione delle travi e per conseguenza quella delle colonne. Riflettendo alla forma avanzata di questo frammento testimoniata dal listello, che invece di essere a sezione curvilinea è rettangolare, noi dobbiamo riportare l’edificio cui apparteneva al secondo secolo a. C. La poca sporgenza del guscio concorda per epoca con la forma piatta del listello e vi concorda anche la tecnica della colorazione. Data così l'altezza delle colonne, la larghezza degli intercolumni, non sarà difficile, quando si conosca la larghezza dell'imbasamento del tempio, dare il numero delle colonne frontali e gli elementi della costruzione generale. Ma prima di venire a queste conclusioni, converrà attendere il pieno svolgimento dello scavo, limitandoci per ora ad affermare che esisteva quivi un tempio di grandezza piuttosto considerevole e tale da occupare tutta la sostruzione formata con massi estratti dalle mura postgalliche, non escludendosi il caso che non si tratti della prima costruzione, ma di un rifacimento non molto tardo.
Gli altri due frammenti (fig. 27, 28) riguardano l'uno la pittura di una sub grondaia e l’altro il coronamento fittile del fastigio.
Lo scavo in genere ci permette di poter tracciare alcune linee generali circa le vicende subite dall’acropoli palatina e di dirigere la nostra opera verso la soluzione definitiva. Sappiamo che l’acropoli si divideva in due ripiani, l'uno che formava una specie di vallo o pomerio, che doveva elevarsi fino alla soglia della porta imperiale (v. sopra, p. 269, fig. 7), e più in alto la grande spianata, che si innalzava fino all'altezza cui dovevano giungere le cupole delle cisterne o per lo meno di quella superiore.
L'altezza della spianata formante il pomerio non poteva essere minore della soglia della porta conducente all’interno dell'acropoli, perchè la strada si sarebbe innalzata senza ripari laterali, laddove, secondo tutte le probabilità e secondo le norme generali di consimili costruzioni, la strada di accesso doveva procedere tra due alte mura, da cui potesse difendersi l'accesso, come oggi direbbesi, con difesa piombante.
Durante il periodo repubblicano si abbassa la spianata dell’acropoli livellandosi alle adiacenze ed acquistando la forma che ora da quel lato si vede. Resta ora a vedersi se il lungo muro che attraversa la cisterna a monte e si dirige lungo il lato occidentale del criptoportico avesse sostenuto una terrazza, una vera acropoli, e se questa sopraelevazione ci fosse stata anche nella prima costruzione QALVITI Su VII secolo) o se fosse opera totalmente dovuta al periodo postgallico.
Lo scavo dovrà pure risolvere la questione della costruzione delle prime cinte, Lo alle falde del colle e l’altra all'altezza del muro recingente il vallo, di cui si vai bero traccie più a levante. Ciò potrà essere dimostrato in tempo assai breve. In complesso ora ci pare potersi riconoscere:
Primo periodo (dal secondo millennio a. C.?). Gruppo di abitazioni stato del Palatino rozzamente recinte con aggere di terra e argilla, del quale forse abbiamo già ritrovato le traccie. Pozzi profondissimi, quanto cioè occorreva per raggiungere le lame acquifere.
Secondo periodo (dall'VIII-VII secolo ?). Costruzione dell’acropoli con muri trachitici, consistente in un recinto inferiore che segue a un dipresso le mura della supposta Roma quadrata ed uno superiore corrispondente alla seconda cinta superiore. La sua costruzione e la sua forma non può essere ancora determinata.
Terzo periodo (VI secolo). Dispersione di tutti gli avanzi della necropoli e abbandono forse della località. Nello strato di terra compatto, viscoso, di colore bruno, che, come un lenzuolo, ricopre la necropoli, non si rinvengono frammenti posteriori al sesto secolo, e rari sono quelli di quest'ultimo periodo.
Quarto periodo. Ricomincia la vita, scarsa ancora nel quinto secolo.
Quinto periodo. Incendio gallico.
Sesto periodo. Ricostruzione solida delle mura inferiori e superiori con l'aggiunta di una seconda cinta sull’orlo delle ripe e di una acropoli maggiormente munita, che corrisponderebbe ad un dipresso all'area occupata dal palazzo di Tiberio ed alla spianata dei templi. La cinta che forma sostruzione pomerio e di cui non si ha traccia anteriore si estenderebbe lungo tutto il lato pe del Palo, comprendendo il palazzo dei Flavii. La cinta che si eleva a mezza costa abbraccierebbe anche il Palatium, il quale avrebbe una sopraelevazione o acropoli propria più bassa della massima che sorgeva sul Cermalo.
Settimo periodo. Settimo periodo. — Abbassamento del Cermalo, distruzione delle mura, e ricostruzione dei templi.