Data: -44
Codice identificativo monumento: 1951
in occasione del trionfo del console Gaio Duilio al Foro Romano, che aveva condotto con successo la battaglia di Milazzo contro la flotta cartaginese, viene realizzata una colonna celebrativa utilizzando i rostri delle navi nemiche.
Scavo della parte centrale del foro per permettere la definitiva liberazione della base della colonna di Foca. Durante gli scavi, vengono scoperti i Plutei di Traiano, delle balaustre marmoree istoriate che orbnavano la tribuna dei Comizi.
Per ordine di S. E. il Ministero della pubblica Istruzione sono stati intrapresi nel Foro romano i lavori necessari per la conservazione ed il ristauro dei grandiosi resti monumentali e pel riordinamento dei materiali decorativi, che in tutta l'area del Foro si trovano da lungo tempo accumulati. Si è ricostruita l'edicola di Vesta coi frammenti architettonici, che furono scoperti nel 1882; e sono stati ricollocati sul proprio basamento i pezzi di una delle colonne onorarie, erette nel secolo quarto presso la Sacra via, di fronte alla basilica Giulia.
Si è pure posto mano a raccogliere insieme i marmi, che appartengono al celeberrimo tempio rotondo, ove ardeva il fuoco sacro, per studiarne la ricomposizione nel miglior modo possibile. Ed a tale scopo, essendo stato liberato dalla terra il basamento del tempio, che si era creduto intieramente fabbricato di solida costruzione, è stata scoperta sotto il piano della cella una piccola camera quadrilatera, di buon laterizio, che si potrebbe supporre quel locus intimus in aede Vestae, ove sì custodivano il Palladio e le reliquie più sacre dell'impero, alle quali si dicevano legati i fatali destini di Roma.
Un'altra importante scoperta è stata fatta dinanzi al tempio del divo Giulio, edificato nel luogo stesso ove fu bruciato il cadavere dell'ucciso dittatore. Rimossa la terra che era addossata all'emiciclo, di cui appariva soltanto la parte superiore nel basamento della fronte del tempio, si è riconosciuto che nella prima costruzione dell'edificio quella forma semicircolare era stata imposta dal rispetto che si volle avere ad una specie di base rotonda, la quale era stata costruita sulle lastre di travertino, che formano l'antico pavimento del Foro.
Di questo basamento, che in origine fu rivestito di lastre marmoree, è stato scoperto il nucleo costruito in massiccio: e con tutta probabilità deve in esso riconoscersi l'ara che eretta dalla plebe nel sito ove arse il rogo di Cesare, e poco dopo distrutta da Dolahella, dovette poi essere riedificata e religiosamente mantenuta al proprio luogo, quando Augusto innalzò il tempio sacro al culto del suo padre adottivo.
In seguito poi agli sterri praticati nell'area a nord dei Rostri, si è riconosciuto che questo insigne monumento fu da quel lato ingrandito con una costruzione laterizia certamente non anteriore al secolo quinto, nella quale furono infissi muovi rostri a somiglianza di quelli che ornavano la più antica tribuna ivi trasportata da Giulio Cesare. E poichè a questo prolungamento dei vecchi Rostri assai bene si adatta, come ha già dimostrato il ch. prof. Hilsen (Bull. d. Istit. 1895, p. 62), l'epistilio marmoreo che porta scritto il nome di Ulpio Giunio Valentino prefetto della città nell'anno 472, così se ne deduce, che tale memoria deve mettersi in relazione con le barbariche incursioni dei Vandali, e che perciò ì rostri aggiunti a quelli delle navi Anziati ci rappresentano una vittoria navale ottenuta dai Romani sulle orde Vandaliche, le quali infestavano audacemente tutte le coste del Mediterraneo.
Finalmente togliendo la terra, che copriva ancora un tratto del lastricato del Foro dinanzi all'arco di Settimio Severo, si è ritrovato in gran parte l'antico pavimento in lastroni di travertino.
In un sito però più prossimo al Comizio il lastricato è di marmo nero; e l'area coperta da queste pietre nere, la quale misura dodici piedi romani di lato si vede essere stata in origine recinta con lastre marmoree, le quali furono anche rinnovate in tarda età.
Era questo dunque un locus religiosus, che doveva essere lasciato scoperto, e dove non doveva camminarsi nè costruirsi alcun edificio, siccome erano quelli che erano stati toccati dal fulmine. Taluni però opinano che vi sì possa riconoscere il niger lapis, che era nel Comizio, e di cui Festo ricorda la leggendaria tradizione che fosse stato destinato per la sepoltura di Romolo.
Giuseppe Gatti.
Relazione di Giacomo Boni sull'esplorazione dei Rostri.
La tribuna rostrata, della quale rimangono i ruderi alla estremità occidentale del Foro Romano, era ritenuta la repubblicana, o per lo meno un avanzo di quella trasferita dal Comizio nel quinto consolato di Cesare e dedicata da Antonio. La prima asserzione non meritava esame; trattai la seconda come una ipotesi rispettabile, alla quale dobbiamo parecchi studî del monumento. Ma riordinate le decorazioni architettoniche, esaminato il materiale costruttivo e la sua lavorazione, investigato il livello della tribuna supposta di Cesare, e raccolti molti altri indizî, mi parve che tutto concorresse a farla credere opera dei Flavii, o fors'anco di Traiano, e che la tarda rilavorazione parziale delle cornici fosse in rapporto col prolungamento della tribuna, effettuato nel secolo V dopo qualche successo navale contro i Vandali.
Era invero supponibile che i Rostri, trasferiti dal Comizio nel 45 av. Cr., e rappresentati nel denario della gers Zollia, non avessero voltato le spalle al tempio della Concordia; e che Dione Cassio, nel ricordarne la costruzione, non adoperasse a caso il verbo evaywosm, nel senso di trasferisco in disparte. Questa ha cessato di essere una semplice ipotesi; poichè dietro alla tribuna rostrata, attribuibile a Domiziano, tra l’infima crepidine del tempio repubblicano della Concordia e il tempio di Saturno, sono ormai visibili le otto arcuazioni che, a mio giudizio, formavano il suggestum della tribuna cesarea, rappresentata nella moneta medaglia di Palikanus.
Questa tribuna ha m. 20,80 di fronte, e m. 2,30 di altezza; le sue arcuazioni sono larghe m. 1,70, alte m. 1,60 e profonde da m. 1,50 a m. 2,15; i pilastri che le dividono ed intestano sono larghi da m. 0,61 a 0,92; da 1,03 a 1,15. L'edificio è interamente costruito d'opus incertum di tufo, con archi, pilastri, cornici d’imposta e fascia di coronamento dello stesso materiale, squadrato o sagomato ad accetta, e intonacato d'opus signinum; il pavimento laterizio, a grosse tessere ricavate da tegole, si estende sotto le arcuazioni e di fronte alla tribuna, per una larghezza di m. 4,00; e pare che fosse limitato da una sponda o parapetto, a tenuta d'acqua.
Le piogge torrenziali e le frequenti inondazioni di quest'autunno non permisero le esplorazioni necessarie per meglio determinare le tribune e rendersi conto delle vicissitudini a cui andarono soggette, dal quinto consolato di Cesare alla fine dell'impero, ma spero di riuscirvi durante l'inverno.
Come ho fatto per il sacrario di Juturna, dò intanto notizia separata dei seguenti avanzi architettonici, che non hanno rapporto col templum dei tribuni della plebe, ma che trovaronsi nello strato di colmatura, in fronte ai rostri cesarei e provenienti dalla demolizione di altri edifici dell' età repubblicana:
a) Voluta destra di capitello, larga m. 0,17, alta m. 0,15, con fascia di m. 0,04, la quale, compiuti poco più di due giri, si restringe a m. 0,025, nella
parte centrale, dove sporge m. 0,045. L'intonacatura d' opus albarium, varia in grossezza da m. 0,001 a m. 0,005, ed è modellata a fascetta, larga m. 0,008, sull'orlo della voluta di peperino (lapis albanus).
b) Piccolo fiore, di diametro m. 0,125, a otto sepali lanceolati, con nervature incise nel masso di peperino, nascoste dall' opus albarium, restaurato sembra due volte, ciascuna delle quali nello spessore di 2 a 3 millimetri, tenendo conto soltanto della separazione delle foglie.
c) Grande fiore, appartenente alla decorazione centrale di un capitello corinzio, a quattro gruppi di sepali, con caulicolo serpeggiante a fiamma; misura diagonalmente m. 0,24, e ne manca circa un terzo. Notevole anche in questo fiore l'intaglio delle nervature dei sepali, celato dall' opus albarium, che sembra fatto da altra mano e meno esperta, quantunque in questo caso la sua modellazione richiami, con qualche striatura, la superficie intagliata sottostante.
d) Frammento rotto a metà, alto m. 0,17, lungo m. 0,26, di una decorazione parietale, forse di transenna, orlata di fascetta in risalto e listello, che svolta sulla testata per una larghezza di m. 0,015 e vi forma limbello a battente di m. 0,006. La superficie posteriore è troncata, la fronte è decorata con fascette rettilinee a rilievo, larghe m. 0,015, sporgenti m. 0,008, che sembrano disposte a rombi, racchiudenti borchie circolari.
e) Altro frammento, con lavorazione superficiale a fascetta sporgente, come quella già descritta, ma lavorata un po’ in curva; dimensioni m. 0,30 X 0,19; grossezza variabile da m. 0,07 a m. 0,085. È intestato da superfici di risvolto, che formano tra loro un angolo di 135°, vale a dire quello dei lati di un ottagono.
f) Frammento lungo m. 0,18, di cornice sagomata a gola dritta, alta m. 0,03, sporgente m. 0,04, e listello sottostante, largo m. 0,01. Non ha traccia di opus albarium.
g) Vari scheggioni di peperino, provenienti da rocchi di colonna, lavorati a gradino nei piani di posa, con scanalature larghe m. 0,10, profonde m 0,045, divise da fascette piane, larghe m. 0,015.
Questi rottami di peperino, intagliati con fresca vigoria e da mano esperta, fanno ritenere che appartenessero ad un edificio sontuoso, eretto negli ultimi tempi della repubblica. L'opus albarium che lo riveste è costituito di calce, contenente piccola quantità di gesso. Il dott. Giorgis, professore di chimica nella scuola d'applicazione degli ingegneri dell’ Università di Roma, è di parere che la presenza del gesso non sia dovuta che ad impurità della calce. Quest'ultima veniva anticamente impiegata schietta (cale nuda), purchè fosse stagionata, per evitare le screpolature.
Non è possibile nemmeno congetturare a quale edificio appartennero questi frammenti, perchè quasi tutti i templi romani, fino all’età di Augusto, il Circo Massimo fino all'età di Claudio, e le basiliche primitive del Foro erano di tufo o peperino intonacato, ma i frammenti rinvenuti presso ai Rostri Cesarei hanno importanza per il luogo in cui giacevano e per il ricordo di un processo celebre, che occupò la magistratura romana nell’anno 70 av. Cr….
Tra i marmi adoperati nel lastricato fra i rostri cesarei e la basilica Julia, rinvenni un frammento di fregio, alto m. 0,85, con avanzo di decorazione sagomata e intagliata e d'incassature per lettere di bronzo, alte m. 0,45, le quali sembrano appartenere alla parola pARThicus. Questo fregio marmoreo doveva avere. in origine uno spessore considerevole, che fu ridotto a soli m. 0,15, per ricavarne lastre grosse m. 0,07, come si avverte dai solchi di segatura nella sua faccia posteriore.
La parte anteriore delle due prime arcuazioni dei rostri cesarei, verso occidente, è troncata dalla platea, a pietrisco di selce, dell'arco di Tiberio, che ho rimessa in luce togliendo gli avanzi di viadotto, costruito nel 1852, che menava alla Consolazione. Una chiavichetta moderna che attraversava questo viadotto e proseguiva in direzione parallela ai gradini della basilica Julia, fu adesso troncata per scoprire la chiavica augustea, coeva alla basilica, e nel continuare la demolizione della chiavichetta moderna, ho raccolto i materiali antichi adoperati per ricoprirla.
Fra questi materiali noto i seguenti: a) Lastra di marmo, grossa m. 0,14, ridotta a pulvino d' arco, con fronti lunghe m. 0,62, tagliate a declivio, su una delle quali è scolpita a rilievo una croce ricciuta del sec. VIII; porta incise sul piano di posa le lettere X D; b) Frammenti di cornici marmoree, intagliate a dentelli; c) Scheggioni di colonne d'africano, a baccellatura piena; d) Frammento della Forma Urbis, incisa su lastrone di marmo greco (forse venatura bianca dell’Imezio), di m. 0,56 X 0,34, grosso m. 0,08, alquanto corroso dall'attrito.
Il piano posteriore è lavorato con martellina a denti; l'anteriore, liscio, porta incisa la pianta di edifici costituiti principalmente da una recinzione circolare, alla quale stanno addossati alcuni ambienti absidati e aree rettangolari che sembrano indicare cortili a impluvio. Sull'asse del maggiore di questi si apre una porta o androne, di comunicazione con una vasta area rettangolare, che porta incise le lettere: MERMAE AgripPAE
Le lettere, alte m. 0,046, somigliano a quelle del frammento, che porta incisa la parola (c)JASTORIS, e che figurerà nella mia illustrazione del sacrario di Juturna. Lo studio di quest’ultimo frammento mi fa ritenere ch'esso appartenga alla Xorma Urbis originaria di Vespasiano; in tal caso, anche il nuovo frammento, utilizzato per. copertura della chiavichetta della basilica Julia, assumerebbe maggiore importanza, perchè la costruzione circolare coeva al recinto augusteo, d'opera reticolata, che sta sepolto all'ingiro del Pantheon ricostruito da Adriano, rappresenterebbe la calidissima pars delle terme costruite da Agrippa, da lui lasciate ai romani affinchè potessero lavarsi gratuitamente, e perchè uno studio accurato degli altri frammenti della Forma Urbis, anche in rapporto al diverso orientamento ch' essi presentassero, permetterebbe di differenziare tra quelli originali e quelli del secolo III.
1910
Ricostruzione del Comizio
1904
Ricostruzione del Comizio
Das Forum romanum
1904
Pianta del Comizio
Das Forum romanum
1900
Pianta degli Scavi al Foro Romano
Notizie degli scavi di antichità
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1897
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Rovine e scavi di Roma antica
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