Codice identificativo monumento: 1959
Per ordine di S. E. il Ministero della pubblica Istruzione sono stati intrapresi nel Foro romano i lavori necessari per la conservazione ed il ristauro dei grandiosi resti monumentali e pel riordinamento dei materiali decorativi, che in tutta l'area del Foro si trovano da lungo tempo accumulati. Si è ricostruita l'edicola di Vesta coi frammenti architettonici, che furono scoperti nel 1882; e sono stati ricollocati sul proprio basamento i pezzi di una delle colonne onorarie, erette nel secolo quarto presso la Sacra via, di fronte alla basilica Giulia.
Si è pure posto mano a raccogliere insieme i marmi, che appartengono al celeberrimo tempio rotondo, ove ardeva il fuoco sacro, per studiarne la ricomposizione nel miglior modo possibile. Ed a tale scopo, essendo stato liberato dalla terra il basamento del tempio, che si era creduto intieramente fabbricato di solida costruzione, è stata scoperta sotto il piano della cella una piccola camera quadrilatera, di buon laterizio, che si potrebbe supporre quel locus intimus in aede Vestae, ove sì custodivano il Palladio e le reliquie più sacre dell'impero, alle quali si dicevano legati i fatali destini di Roma.
Un'altra importante scoperta è stata fatta dinanzi al tempio del divo Giulio, edificato nel luogo stesso ove fu bruciato il cadavere dell'ucciso dittatore. Rimossa la terra che era addossata all'emiciclo, di cui appariva soltanto la parte superiore nel basamento della fronte del tempio, si è riconosciuto che nella prima costruzione dell'edificio quella forma semicircolare era stata imposta dal rispetto che si volle avere ad una specie di base rotonda, la quale era stata costruita sulle lastre di travertino, che formano l'antico pavimento del Foro.
Di questo basamento, che in origine fu rivestito di lastre marmoree, è stato scoperto il nucleo costruito in massiccio: e con tutta probabilità deve in esso riconoscersi l'ara che eretta dalla plebe nel sito ove arse il rogo di Cesare, e poco dopo distrutta da Dolahella, dovette poi essere riedificata e religiosamente mantenuta al proprio luogo, quando Augusto innalzò il tempio sacro al culto del suo padre adottivo.
In seguito poi agli sterri praticati nell'area a nord dei Rostri, si è riconosciuto che questo insigne monumento fu da quel lato ingrandito con una costruzione laterizia certamente non anteriore al secolo quinto, nella quale furono infissi muovi rostri a somiglianza di quelli che ornavano la più antica tribuna ivi trasportata da Giulio Cesare. E poichè a questo prolungamento dei vecchi Rostri assai bene si adatta, come ha già dimostrato il ch. prof. Hilsen (Bull. d. Istit. 1895, p. 62), l'epistilio marmoreo che porta scritto il nome di Ulpio Giunio Valentino prefetto della città nell'anno 472, così se ne deduce, che tale memoria deve mettersi in relazione con le barbariche incursioni dei Vandali, e che perciò ì rostri aggiunti a quelli delle navi Anziati ci rappresentano una vittoria navale ottenuta dai Romani sulle orde Vandaliche, le quali infestavano audacemente tutte le coste del Mediterraneo.
Finalmente togliendo la terra, che copriva ancora un tratto del lastricato del Foro dinanzi all'arco di Settimio Severo, si è ritrovato in gran parte l'antico pavimento in lastroni di travertino.
In un sito però più prossimo al Comizio il lastricato è di marmo nero; e l'area coperta da queste pietre nere, la quale misura dodici piedi romani di lato si vede essere stata in origine recinta con lastre marmoree, le quali furono anche rinnovate in tarda età.
Era questo dunque un locus religiosus, che doveva essere lasciato scoperto, e dove non doveva camminarsi nè costruirsi alcun edificio, siccome erano quelli che erano stati toccati dal fulmine. Taluni però opinano che vi sì possa riconoscere il niger lapis, che era nel Comizio, e di cui Festo ricorda la leggendaria tradizione che fosse stato destinato per la sepoltura di Romolo.
Giuseppe Gatti.
Continuandosi i lavori per la sistemazione del Foro Romano, è stata liberata dalla terra una parte dell'area del Comizio, presso l'arco di Severo. È tornato in luce un tratto dell'antico pavimento lastricato in travertino; e fra la terra si sono trovati varî pezzi di grosse lastre, parimenti in travertino, con le quali quel pavimento era stato posteriormente ristaurato.
Alcuni di tali pezzi, che si ricongiungono nel modo qui appresso indicato, conservano parte di una lunga iscrizione, la quale doveva essere incisa su parecchie tavole, ed è da riferirsi alla metà in circa del secolo settimo di Roma.
L'iscrizione conteneva un capitolato per l'appalto di lavori da farsi lungo varie strade nell'interno della città; e ciascun tratto di questi lavori era designato con l'indicazione precisa dei luoghi e degli edifici, fra i quali esso era compreso. Non è improbabile che nel seguito degli sterri sia recuperato qualche altro pezzo di così importante documento per la topografia della città; ed allora potrà esserne studiato e supplito il testo con miglior fondamento.
Frattanto si può accennare una sagace osservazione fatta dal ch. cav. Borsari; che cioè trattandosi di opera locata per determinate lunghezze di strade, e ad un prezzo abbastanza elevato per ogni piede di lavoro, l'iscrizione non può riferirsi a selciatura, per la quale sarebbe stato necessario indicare la superficie e non la sola lunghezza, ma pare doversi certamente riferire a costruzione di cloache.
Ed infatti lo stesso cav. Borsari ha notato, che per testimonianza di Livio (XXXIX, 44) L. Valerio Flacco e M. Porcio Catone, censori nell'anno 570 di R., dopo avere compiuto nella città altri lavori edilizi, « opera facienda ea pecunia in cam rem decreta, lacus sternendos lapide, detergendasque qua opus esset cloacas; în Aventino, et în aliis partibus, qua nondum erant, faciendas locaverunt ». La menzione certa, che si legge nei frammenti ora recuperati, dell'Aventino e di altre parti della città, ove furono dati in appalto i lavori, ha un riscontro certamente non fortuito con la notizia registrata da Livio; e assai probabilmente si riferisce ad opere compiute in ampliamento di quelle ch'erano state eseguite nel secolo precedente.
A piccola distanza poi dal lastricato in pietra nera, di cui fu detto nel mese decorso, tagliando il massiccio che sosteneva il piano di travertini del Comizio, è stato scoperto un pozzo circolare, scavato nel medio evo. Esso è profondo circa metri 5, ed internamente è rivestito di rottami di marmi diversi, alcuni dei quali conservano resti di decorazioni dell'età imperiale, altri sono rottami di transenne marmoree del secolo IX.
In fondo al pozzo sono stati raccolti nove vasi fittili, in forma di boccale, riferibili in circa al secolo XI o XII, verniciati e decorati con file verticali di piccoli bottoni in terracotta.
Giuseppe Gatti.
L'archeologo Giacomo Boni, durante una campagna di scavi presso la zona del comizio al Foro Romano, scopre i resti del Lapis niger. "Il 10 gennajo corrente (gli archeologi ne hanno notata la data come memoranda) si è scoperta sulla Via Sacra un’arca di pochi metri-quadrati, lastricata di massi di pietra nera ben diversa dalle selci, provenendo essa dal capo Tanaro (ora Matapan) nella Grecia. Secondo Varrone, il luogo dove fu sepolto Romolo era lastricato di pietra nera; e bastò questa scoperta di pietre nere perchè i cronisti telegrafassero ai quattro venti che era stata trovata la tomba di Romolo!"
Relazione di Giacomo Boni, direttore dei lavori di scavo, sull'esplorazione del terreno sul lato orientale del pavimento lastricato di marmo nero e recinto, che fu scoperto nello scorso mese di gennaio (cfr. Notizie 1899 p. 11), dove a poca profondità si è riconosciuto un importante avanzo di costruzione antichissima:
I lastroni di marmo nero stanno sopra terreni di riporto e alluvionali, che a m. 1,40 di profondità riposano sopra una platea di tufo a massi squadrati, reggente al lato est l’avanzo di un basamento, pure di tufo giallo, finamente lavorato, lungo dieci piedi, largo cinque, sagomato con zoccolo e grandiosa gola etrusca.
La recinzione di marmo nero è rivolta verso la Curia; la fronte della platea, che regge il basamento di tufo, è più orientata (come le costruzioni primitive messe in luce accanto all'arco di Settimio Severo), e per chi guarda la Curia il lastricato di marmo gli gira a destra di circa 35°.
La platea di massi squadrati di tufo, come tutto il suolo circostante, si trova coperta da un doppio strato alluvionale, m. 0,80, di ghiaia gialla e sabbione nerastro.
Il terreno al lato orientale del basamento sagomato è sostenuto da un muricciuolo di tufo, il quale fa credere che il livello primitivo fosse già rimasto più basso di quello repubblicano del Comizio, finchè fu deciso di abbandonare il livello antico, premettendo un sacrificio espiatorio. Di questo sacrificio rimanevano tracce evidenti nella stipe votiva di vasi di bucchero e greci, bronzetti, pesi di pietra, e ossa di toro, che inviluppavano il basamento sagomato, con uno strato di cenere e carbone, steso dopo averlo ripulito dalle ghiaie (se fluitate), o prima di colmarlo con terreni alluvionali (se scaricati).
La esplorazione al lato opposto del basamento sagomato fu appena iniziata, dovendosi provvedere, ed è cosa difficile, alle scolo delle acque d'infiltrazione ; ma ha già permesso di giungere allo strato, in cui cominciano a trovarsi i vasetti di bucchero e. i pesi di pietra; prova che la cerimonia non fu limitata al solo basamento orientale.
Frammenti spianati e residui di lavorazione del marmo nero. si s0 tutto all’intorno, anche nelle terre di riempimento degli strati più bassi, frammenti di vasi etruschi, a tracce di lamine di bronzo pn a qualche pezzetto di giallo antico
Sotto la platea e in direzione del basamento sagomato appariscono tracce di una volta di tufo riposante su terriccio sabbioso, nel quale si trovarono altri frammenti di bucchero e di vasi simili ai micenei. nonchè una mascella bovina quasi fossilizzata, meno i denti che conservano ancora lo smalto. Il terriccio posa sopra un solido conglomerato tufaceo, da esplorarsi.
Al lato meridionale del basamento e della platea, che gli passa sotto, sta addossata un'altra costruzione di massi squadrati di tufo, la quale si estende oltre la fronte meridionale del lastricato recinto, presenta almeno quattro strati sovrapposti con diverso orientamento, corrispondenti ad altrettante sopraelevazioni del manufatto e fa ricorrere la mente ai Rostri repubblicani. Lo strato superiore a lastroni di peperino porta rozzamente incisi due anelli circolari, del diametro medio di m. 0,57, distanti da centro a centro m. 1,10. Lo strato a lastroni di travertino ha la cunetta di scolo incavata a scalpello, come quella che gli sta sopra e che porta la recinzione.
Relazione di Giacomo Boni, direttore dei lavori di scavo, sull'Iscrizione latina arcaica scoperta nel Foro Romano.
Il niger lapis, che è una platea lastricata di marmo nero antico, di circa dodici piedi romani di lato, grossa circa un piede, recinta, fu cominciato a scoprire
il 10 gennaio u. s. nel centro del Comizio. Esso riposa su terreni di riporto, che a m. 1,40 di profondità coprono una spianata di tufo giallo (delle cave palatine o dello strato superiore capitolino, sottostante alle argille), reggente due basamenti quadrilateri bislunghi, decorati con grandiosa gola etrusca, colla fronte rivolta a settentrione, cioè alla Curia Ostilia (v. la pianta qui unita fig. 1, n. 1, 2). I basamenti sono lunghi m. 2,662, larghi m. 1,313 e m. 1,328, e distanti uno dall' altro m. 1,003; di guisa che la fronte del monumento cui appartengono misura m. 3,644.
Le testate meridionali dei loro plinti, alti m. 0,290, sono congiunte da una striscia di tufo formante gradone, larga m. 0,435; e nello spazio compreso tra i basamenti posa un parallelepipedo di tufo, alto m. 0,290, largo in fronte m. 0,520 e lungo m. 0,725; ambedue i basamenti si trovarono manomessi. non rimanendo della gola etrusca su quello orientale che i pezzi di fronte, uno dei quali spostato, mentre lastessa sagoma è conservatissima sulla fronte e lungo tutto un fianco dell' altro basamento.
I passi d'antichi autori, riferentisi al luogo esplorato, comprendono quello notissimo di Festo che ricorda il niger lapis quasi come contrasegno di luogo funesto nel Comizio (cfr. la designazione congenere data alla rupe Tarpea: noluerunt funestum locum Capitoli coniungi); quello di Varrone che colloca i Rostri di fronte alla Curia: ante hanc rostra; l'altro passo varroniano che mette il sepolcro di Romolo dietro i Rostri: ubi etiam in huius rei memoriam duos leones erectos fuisse constat. La tradizione del sepolcro e d'un leone (lapideo) era pure stata raccolta da Dionigi d'Alicarnasso.
Oltrepassato il basamento occidentale (fig. 1, n. 2) la spianata di tufo si trasforma, piega a sinistra e regge un plinto leggermente curvilineo che porta un tronco di cono monolitico, di tufo giallo, alto m. 0,480, del diametro di m. 0,773 alla base e di m. 0,695 alla sommità. Dietro il tronco di cono, alla distanza di m. 1,710 dalla fronte e di m. 0,420, e 0,530 dal fianco del basamento occidentale, sorge un cippo di tufo, in forma di tronco di piramide quadrangolare, a spigoli sfaccettati, largo alla base da m. 0,470 a 0,518 e rotto fra i m. 0,455 e 0,610 di altezza, non compresa la parte liscia incassata nella platea, dove è largo da m. 0,450 a 0,488 (fig. 1, n. 4). Sulle quattro pareti e sulla sfaccettatura all’ angolo sud-ovest del cippo, la quale è larga m. 0,053, sta incisa la iscrizione qui riprodotta dal calco in gesso. Nella fig. 2 è riprodotta la veduta prospettica del cippo; nelle fig. 3, 4, 5 e 6 sono rappresentate le quattro sue facce separatamente.
La rottura del cippo e la manomissione dei basamenti, sono dovute ad una violenta e deliberata opera di distruzione, espiata con un sacrificio, del quale si ha testimonianza nello strato inviluppante i basamenti non solo, ma il tronco di cono ed il cippo stesso.
Questo strato, dello spessore medio di m. 0,400, è costituito da ceneri, carboni ed humus, riposanti sopra breccia sabbiosa dei sedimenti di Ponte Molle, ricca di cristallini di augite. Essa è disposta orizzontalmente sopra un piccolo strato di carbone e cenere, ricoprente la spianata di tufo e scevra d'impurità, in guisa da escludere che possa essere stata fluitata da una violenta inondazione del Tevere, o da acque torrenziali; si estende in direzione della Curia, mentre è arrestata ad oriente da un muro di sostegno, a piccoli massi squadrati di tufo e a mezzodì da una platea di tufo, che può essere quella dei Rostri repubblicani.
Il medesimo strato attesta come l’ espiazione venisse condotta scrupolosamente, raschiando e pulendo ogni parte dell’ edificio, immolando parecchie decine di giovani tori, di pecore, di cinghiali e di capre, e buttando sul fuoco purificatore centinaia di vasetti funebri ed altri oggetti, che noi abbiamo raccolti e che qui citammo sommariamente: Abbiamo vasetti di bucchero nero ; altri dell'impasto più leggero e perlucido; altri sr solani ed opachi; simpuli, infundibuli, prefericoli, olle, Kantharoi, oinochoai; un frammento modellato a testa di leone; uno skyphos ovoidale con due anse a nastro e con una ) rozza testa umana in rilievo su ciascun lato. Seguono alcuni frammenti di vasi con iscrizioni graffite, di ciotoline e anforette e leggiadrissime kelebi con anse a colonnette di terracotta gialla e rossa. Vengono poi offelle a disco schiacciato con tre o più fossette, e quindi dodici figurine di bronzo del tipo fenicio derivato dall’egizio, la maggiore delle dei quali rappresenta un uomo nudo che sembra guardare in alto, mentre regge nelle mani i
supine un bastone ricurvo.
Le altre figurine maschili s'accostano al primitivo tipo apollineo. Una di esse è assai finamente modellata, con lunghi capelli, cinti da benda, che le scendono ondulati sulle spalle. Tre figurine sono muliebri e vestite; tre altre sono di osso e del medesimo stile egittizzante (fig. 9). Si ebbero inoltre frammenti di statuine votive di terracotta, arcaiche, talune della più squisita fattura greco etrusca, altre mostruosamente idiote (fig. 10 e 11); quattro fusaruole di terracotta; cento sessantaquattro astragali ovini, per lo più lusorii, spianati intenzionalmente o dall'uso; due dadi di osso, uno dei quali, avente il lato di mm. 10 a 12, conserva traccia di doratura; l’altro misura mm. 17 a 20 nei lati e fu ottenuto da un osso di tibia segato trasversalmente e colla cavità midollare riempita da un altro osso, e coi punti segnati a trapano.
Seguono alcune perle di pasta vitrea, una delle quali color verde mare con rigonfiatura celeste listata di bianco e palline di giallo cromo; ottantuno pesi di calcare marnoide o di conorezione tornita di sabbia gialla, aventi varie forme e traversati da un foro presso il vertice, ovveno solcati in giro per l'allacciatura delle corde; due pesi di piombo, attraversati da perno di ferro; un peso di terracotta a tronco di piramide.
Abbondantissimi furono i resti degli ornamenti personali di bronzo, fra i quali meritano speciale ricordo i pezzi di alcune fibule ad arco semplice; quelli di fibule a navicella con protuberanze laterali; quelli di fibule a bastoncelli, o del tipo così detto prenestino. Vanno pure ricordati alcuni anelli, e frammenti di braccialetti e di borchie a disco concoidale forato e inoltre alcuni serpentelli di bronzo. Non mancarono avanzi di armi, cioè pezzi di cuspidi di lancia o di pilum in ferro, sommamente consumati dall’ ossido. Facevano pure parte della stipe circa venti pezzi di aes rude del peso variante dai 74 ai 38 grammi ciascuno.
Si raccolsero schegge spianate di marmo pentelico; la parte superiore di un'ante fissa arcaica a testa di Gorgone; una tavoletta fittile, in frammenti, col bassorilievo rappresentante un guerriero a cavallo, armato di lancia, nello stile delle famose terrecotte veliterne borgiane. È del medesimo impasto di quelle un po’ meno arcaiche rinvenute sul Palatino. Si ebbero altresì pezzi di un vaso greco a figure nere con Bacco vestito di chitone bianco e mantello purpureo, a cavallo ad un asino, in atto di reggere con la destra il kantharos e con la sinistra le redini.
La distribuzione della stipe votiva farebbe credere, per ora, che il punto più importante dell'edificio fosse considerato quello sul quale sorgono il tronco di cono ed il cippo, perchè ivi furono trovate le figurine di bronzo e di osso, i rottami del vaso greco, dell' antefissa e della tavoletta arcaica. Quest' ultima stava al basso dello strato del sacrificio, i frammenti invece del vaso greco e dell' antefissa arcaica nella parte superiore dello stesso strato, il quale appartiene d'altronde ad un sacrificio unico, compiuto poco dopo avvenuta la manomissione e susseguito immediatamente dalla costruzione della massicciata di tufo che lo ricopre.
Mescolati alle ceneri del sacrificio furono trovati varî rottami di tufo, i quali presentano traccia di lavorazione congenere a quella dei basamenti. Furono pure tro- vati frammenti di marmo nero identico a quello del niger lapis. Molte schegge dello stesso marmo nero si trovano nella massicciata di tufo, grossa m. 0,35, che ricopre lo strato del sacrificio e arriva all' altezza della troncatura del cippo. Questa massicciata segna probabilmente il piano di posa del niger lapis, prima che venisse rialzato nuovamente il Comizio con uno strato di scaglie di travertino e di marmo bianco, dello spessore di m. 0,44 compreso il letto di posa del marmo nero, orientato, secondo la nuova Curia, 35° a destra dei basamenti di tufo.
Il mio rapporto corredato di piante, sezioni e vedute prospettiche del niger lapis e dei monumenti ch'esso ricopre, era già pronto, quando S. E. il Ministro Baccelli potè ottenere dal Municipio di Roma la remozione del binario a trazione elettrica, che percorreva il terrapieno addossato alla chiesa di S. Adriano. Diventa così possibile la esumazione dell'area frapposta tra il niger lapis e la Curia imperiale, nonchè la esplorazione di strati coevi ai monumenti in esame.
Queste indagini permetteranno certamente di raccogliere nuovi dati per la conoscenza dei problemi che solo in parte ho finora potuto risolvere, analizzando le stratificazioni sopra cui sorgono i basamenti dei piedistalli, il cono, il cippo e la muratura dei rostri repubblicani. Il rapporto riuscirà così più completo, ma dovrà trovar posto in un volume dei Monumenti antichi, anzichè nelle Notizie, sembrandomi opportuno di pubblicare anche le molte tavole che illustrano la stipe votiva, e non ridurre di troppo la proporzione delle iconografie e dei rilievi topografici, ora estensibili ad una parte del Comizio.
Giacomo Boni.
Le suppellettile archeologica trovata sotto il niger lapis del Foro Romano.
Nelle Notizie dell’anno passato a p. 151 segg., subito dopo la scoperta avvenuta sotto il niger lapis, fu pubblicato, insieme con l'iscrizione arcaica del cippo, anche un rapporto sommario della suppellettile archeologica ivi raccolta. Tutto quel materiale si vede ora esposto nel nuovo Museo del Foro Romano, dove è stato ordinato e classificato da me, per incarico del Ministero e per invito dell'architetto G. Boni, direttore dei presenti scavi nel Foro. In seguito ad un tale ordinamento salta ora vie meglio agli occhi la qualità e la importanza di quel materiale; ed io stesso ne ho già redatto un catalogo particolareggiato da aggiungersi alla grande pubblicazione, che è destinata ad illustrare tutti i trovamenti avvenuti in quel sito oramai celebre. Già nelle discussioni che si sono fatte intorno alla scoperta, non si è mancato di avere riguardo alla suppellettile in parola; ed altrettanto è da credere che si farà nelle discussioni che seguiranno. Ma perchè i giudizi non siano fuorviati, come già in parte è accaduto, è necessaria una conoscenza completa di quel materiale. Da ciò risulta chiara la convenienza che, al più presto, sia fatto noto agli studiosi tutto quello che fu ritrovato sotto il nero pavimento. Siccome però la pubblicazione, cui ho accennato, per la sua mole stessa e per gli studi e i lavori che richiede, sarà ancora ritardata, così non sarà inutile il dare, per adesso, almeno una esposizione riassuntiva di tutto quel complesso di oggetti, onde è costituita quella che è detta la stipe votiva del niger lapis.
Diciamo subito che questa comprende oggetti svariati e non di una, ma di più epoche. La parte più ragguardevole è formata senza dubbio dal materiale piuttosto abbondante dell’epoca arcaica, che nell'insieme va riferito al secolo VI a. Cr., senza che sia esclusa la possibilità che alcuno degli oggetti risalga ad un tempo più antico (tuttavia difficilmente anteriore al VII secolo) e che alcuni altri discendano, anche di molto, entro al secolo V. Quella che fa l'impressione della maggiore antichità è una statuetta di bronzo, che giaceva nella parte più bassa, sopra la ghiaia; è virile, nuda, di forme molto schematiche e con un'enorme testa emisferica, che poco ha dell'umano; ha le gambe rigidamente attaccate e le braccia piegate in avanti per sostenere orizzontalmente un pedum ricurvo; tiene ancora molto dello xoamon e potrebbe appunto essere un idolo primitivo (Vertumnus ?).
Essa è ancora molto distante dal caratteristico tipo greco arcaico, così detto di Apollo, che ci viene rappresentato da otto statuette di bronzo ed una di osso (Notizie, l. c. fig. 7 e 9), alle quali accedono inoltre cinque altre muliebri di bronzo ed una di osso (ibid. fig. 7-9). Lo stile di alcune di queste fa credere che siano state importate dalla Grecia, altre sembrano d’imitazione etrusca. A questa attribuiremo anche i frammenti di due statuine muliebri fittili (fig. 10 a destra) e la testa di una terza di dimensioni maggiori (I. c. fig. 11), come pure un'antefissa con Gorgonezon ed una tavoletta di terracotta, nella quale è espresso in bassorilievo un guerriero con elmo greco a cavallo (1. c. fig. 17)
Un gruppo considerevole è costituito poi da parecchi vasi precorinzi (verisimilmente provenienti, almeno in parte, da fabbriche italo-greche), fatti di argilla fina gialliccia e adorni o di semplici strisce colorate o di grandi figure di uccelli indeterminati, ed inoltre da non pochi frammenti di vasi attici o di altre fabbriche a figure nere, fra i quali spicca un frammento colla rappresentanza di Bacco cavalcante un mulo (1. c. fis. 18). Un terzo gruppo risulta da molti vasi interi e da un enorme quantità di frammenti di vasi di bucchero nero (olpi, oinochoai, kyathoi, calici ece.); il più importante fra i quali è un'olla a doppio manico a nastro, portante in rilievo, sì nel diritto che nel rovescio, una faccia umana accennata in una maniera assai schematica e primitiva, che ricorda certi vasi di Troia.
A questo complesso, che potremmo chiamare greco-etrusco, fa contrapposto un altro di oggetti aventi un carattere spiccatamente locale. Vi si vedono numerosissimi vasetti minuscoli d'impasto rozzo, alcuni fatti al tornio, i più a mano libera, similissimi a certi vasetti delle terremare e ad altri di una stipe trovata in Roma stessa sul Viminale; alcune piccole olle intere; una grande quantità di frammenti di vasi ugualmente rozzi e di dimensioni varie; alcuni piccoli dischi dello stesso impasto simboleggianti probabilmente delle offelle votive; qualche fusaiuola di terracotta e perfino due statuette fittili di lavoro rozzissimo, senza stile, idiote (1. c. fig. 10 e 11), che possono stare a rappresentarci la primitiva arte laziale in stridente contrasto colla greca ed etrusca dei prodotti sopra mentovati.
Aggiungeremo qui la menzione di numerosi oggetti, per la maggior parte frammentarî, di bronzo o di rame (1. c. fig. 14-16); vi si notano alcune fibule ad arco semplice o rigonfio od anche con globetti, qualche armilla, qualche cerchiello, un pendaglio e sopra tutto una cinquantina di pezzi di lamina tagliati a triangolo e coi tre pizzi ripiegati l'uno sull’altro in modo da formare una specie di bulla probabilmente di significato simbolico. Tra gli oggetti di metallo sono anche alcuni pezzi di aes rude, alcuni frammenti di cuspidi di bronzo e di ferro ed altri frammenti di oggetti eseguiti in queste materie ed anche in piombo, dei quali tuttavia non è possibile precisare l'epoca; alcuni di essi possono discendere in tempi anche molto recenti.
Ad altre epoche, posteriori al secolo VI a. Cr., appartengono ad ogni modo numerosissimi altri oggetti e frammenti della medesima provenienza. Fra questi figurano alcuni frammenti di vasi di fabbrica italiana, come p. es. un coccio dipinto a figure nere di stile libero e con ritocchi in bianco, certamente non più antico del V secolo ; qualche frammento con figure od ornati non riservati dal fondo ma dipinti in bianco crema sulla vernice, secondo una tecnica che è proprio il rovescio della greca; alcuni frammenti di vasi etrusco-campani ed altri di fabbriche affini, ornati di strisce dipinte in bianco sulla vernice nera oppure di strisce riservate dal fondo e ridipinte con striscioline rosse. Particolare menzione merita un frammento di vaso (o lucerna?) di creta grigia coperta da leggiera vernice olivastra e coll'omero decorato da file concentriche di bollicine; attorno al corpo è il frammento di una iscrizione: ...OVIA... le cui lettere sono formate con uguali bollicine. Con questo si potranno raggruppare anche alcuni frammenti di bucchero con resti di iscrizioni graffite in direzione da sinistra a destra, le quali per la paleografia sono giudicate non anteriori al secolo IV.
Vengono poi molte altre cose di carattere ancor meno antico. Abbiamo cioè una grande quantità di frammenti di vasi comuni romani, della solita argilla giallognola ben cotta, fra i quali alcuni pezzi del labbro di grossi catini e dolia, alcune punte di anfore del comune tipo delle anfore vinarie, qualche bicchierino e qualcuno dei così detti lacrimatoi fusiformi di argilla gialliccia più fina, che appariscono tanto frequentemente tra il vasellame romano dai più tardi tempi della Repubblica in poi. Tra i fittili non sono rappresentati ancora i vasi aretini, ma vi si trovano tuttavia alcuni frammentini di vasi coperti di vernice rossa, non però corallina e lucida come quella degli aretini, della cui tecnica possono i medesimi essere considerati come primi tentativi, se non mal riuscite imitazioni. Nè mancano inoltre alcuni pochi frammenti di vasi fini di vetro.
Ad un'età anteriore agli ultimi tempi della Repubblica non si può certamente assegnare una testina di cane di arte libera, che faceva parte di una protome ad uso di grondaia uguale a tanti altri esemplari completi rinvenuti già prima sul Palatino ed ora anche in altre parti del Foro stesso. Si ha poi un gruppo considerevole di frammenti ed oggetti litici, che possono riferirsi ad epoche diverse. Tra questi sono alcune schegge di marmo greco bianco, di grana fina, che il Boni giudica pentelico, qualche pezzetto di giallo antico e di rosso antico (che si assicura rinvenuto al di sopra dello strato con ceneri e carboni), parecchie schegge di travertino provenienti dalla massicciata e molte altre provenienti dalla lavorazione del xiger lapis, ed anche due frammenti di braccia di statuette di marmo bianco.
Vi sono poi due grossi e pesanti ciottoli di arenaria, aventi forma ovoidale schiacciata (simboli di divinità ?) e numerosissimi ciottoli lavorati in forma più o meno approssimativamente di pera, la maggior parte perforati, i quali sono comunemente ritenuti pesi da telaio. Alla medesima classe spetta pure un prisma rettangolare di terracotta, perforato e solcato nella parte superiore. È noto poi che furono ritrovati due dadi e numerosissimi astragali ovini, di cui non pochi sono artificialmente levigati e talora anche perforati. Segnalerò infine tre oggetti che possono forse avere qualche rapporto coi sacrifici: il frammento di una cote tutta solcata dall’attrito dei coltelli, un fondo di vaso contenente residui di ocra rossa, ed un grosso dado di tufo giallo avente sulla superficie superiore un incavo rettangolare, che lo fa assomigliare ad un abbeveratoio. Delle vittime, come si sa, sono state trovate in gran quantità ossa di porci, pecore e tori; ma insieme con queste figurano ancora alcune ossa di un cane o di un lupo ed altre di un gallinaceo.
In conclusione abbiamo una suppellettile, la cui cronologia varia dal VI secolo, (e per qualche caso forse anche dal VII) al secolo I a. Cr.; peraltro i gruppi più abbondanti sono il più antico e il più recente. Tutti i descritti oggetti furono trovati confusi insieme nello strato di cenere e carboni, non già stratificati a seconda delle loro diverse epoche; sicchè si tratta evidentemente di un materiale, non già proprio di un deposito formatosi a mano a mano, ma lì trasportato da altra parte e tutto in una volta ad uso di riempimento. Il che viene confermato dal fatto che esso è un materiale in massima parte frammentario, e che degli oggetti più grandi ed importanti, come p. es. del vaso greco con Bacco, abbiamo non già tutti o quasi tutti i frammenti, bensì il contrario, ossia solo qualche frammento.
Il luogo che doveva essere ricolmato e coperto ha tutta l'apparenza di un luogo sacro; e non senza intenzione sarà stato adibito per ciò, prima d'ogni altra cosa, un materiale anch' esso evidentemente sacro, preso da una o più stipi votive e frammisto ad abbondanti resti di sacrifici; il che, oltre al contribuire al rialzamento del suolo secondo le nuove esigenze topografiche, faceva sì che si conservasse, quasi sotto sigillo, alla divinità quello che la pietà romana le aveva dedicato. Ciò avvenne dopo che il luogo stesso era stato devastato e dopo che più tardi fu sgombrato dai rottami dei monumenti venerandi, i resti dei quali sono rimasti nascosti da quel tempo fino ai dì nostri. Ma quando avvenne non è facile precisare; io mi limito a notare che per la soluzione del problema è d'uopo, a mio avviso, tener d'occhio piuttosto il materiale più recente che il più antico.
L. Savignoni.
Il cippo aveva forse in passato una grossolana forma piramidale, e doveva essere posto in prossimità dell'ingresso dell'area. Esso reca un'iscrizione in alfabeto latino arcaico, con caratteri di derivazione greco-etrusca e andamento bustrofedico (alternativamente, da sinistra a destra e da destra a sinistra, come si muovono i buoi quando arano il campo):
QUOI HON [...] / [...] SAKROS ES / ED SORD [...]
[...] OKA FHAS / RECEI IO [...] / [...] EVAM / QUOS RE[...]
[...]KALATO / REM HAB[...] / [...]TOD IOUXMEN / TA KAPIAD OTAV[...]
[...]M ITER PE[...] / [...]M QUOI HA / VELOD NEQV[...] /[...]IOD IOUESTOD
LOVQVIOD QO[...]
Versione in latino classico:
QUI HUNC [LOCUM VIOLAVERIT] SACER
SIT […] REGI
CALATOREM […] IUMENTA
CAPIAT […] IUSTO [?]
Possibile traduzione:
Chi violerà questo luogo
sia maledetto […] al re
l'araldo […] prenda
il bestiame […] giusto [?]
1904
Piante del Niger lapis
Das Forum romanum
1904
Resti del Niger lapis
Das Forum romanum
1903
Pianta degli scavi del Comizio
Gli scavi recenti nel Foro Romano
1901
Iscrizione arcaica del Foro romano
1900
Pianta degli Scavi al Foro Romano
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1899
Pianta del Lapis Niger
1899
Frammento di un vaso del Lapis Niger
Notizie degli scavi di antichità
1899
Dante Paolocci
La Presunta Tomba di Romolo al Foro
L'Illustrazione Italiana 1899