Codice identificativo monumento: 19908
Continuandosi i lavori per la sistemazione del Foro Romano, è stata liberata dalla terra una parte dell'area del Comizio, presso l'arco di Severo. È tornato in luce un tratto dell'antico pavimento lastricato in travertino; e fra la terra si sono trovati varî pezzi di grosse lastre, parimenti in travertino, con le quali quel pavimento era stato posteriormente ristaurato.
Alcuni di tali pezzi, che si ricongiungono nel modo qui appresso indicato, conservano parte di una lunga iscrizione, la quale doveva essere incisa su parecchie tavole, ed è da riferirsi alla metà in circa del secolo settimo di Roma.
L'iscrizione conteneva un capitolato per l'appalto di lavori da farsi lungo varie strade nell'interno della città; e ciascun tratto di questi lavori era designato con l'indicazione precisa dei luoghi e degli edifici, fra i quali esso era compreso. Non è improbabile che nel seguito degli sterri sia recuperato qualche altro pezzo di così importante documento per la topografia della città; ed allora potrà esserne studiato e supplito il testo con miglior fondamento.
Frattanto si può accennare una sagace osservazione fatta dal ch. cav. Borsari; che cioè trattandosi di opera locata per determinate lunghezze di strade, e ad un prezzo abbastanza elevato per ogni piede di lavoro, l'iscrizione non può riferirsi a selciatura, per la quale sarebbe stato necessario indicare la superficie e non la sola lunghezza, ma pare doversi certamente riferire a costruzione di cloache.
Ed infatti lo stesso cav. Borsari ha notato, che per testimonianza di Livio (XXXIX, 44) L. Valerio Flacco e M. Porcio Catone, censori nell'anno 570 di R., dopo avere compiuto nella città altri lavori edilizi, « opera facienda ea pecunia in cam rem decreta, lacus sternendos lapide, detergendasque qua opus esset cloacas; în Aventino, et în aliis partibus, qua nondum erant, faciendas locaverunt ». La menzione certa, che si legge nei frammenti ora recuperati, dell'Aventino e di altre parti della città, ove furono dati in appalto i lavori, ha un riscontro certamente non fortuito con la notizia registrata da Livio; e assai probabilmente si riferisce ad opere compiute in ampliamento di quelle ch'erano state eseguite nel secolo precedente.
A piccola distanza poi dal lastricato in pietra nera, di cui fu detto nel mese decorso, tagliando il massiccio che sosteneva il piano di travertini del Comizio, è stato scoperto un pozzo circolare, scavato nel medio evo. Esso è profondo circa metri 5, ed internamente è rivestito di rottami di marmi diversi, alcuni dei quali conservano resti di decorazioni dell'età imperiale, altri sono rottami di transenne marmoree del secolo IX.
In fondo al pozzo sono stati raccolti nove vasi fittili, in forma di boccale, riferibili in circa al secolo XI o XII, verniciati e decorati con file verticali di piccoli bottoni in terracotta.
Giuseppe Gatti.
Dinanzi alla chiesa di s. Adriano è stato compiuto lo sterro sino all'antico piano del Foro e del Comizio. In un avanzo di costruzione medievale sono stati trovati messi in opera alcuni cippi marmorei, tre dei quali portano iscrizioni onorarie. Il primo, tutto consunto nel lato inscritto, è alto m. 1,06 X 0,60 X 0,54, e porta una dedicazione all' imperatore Massimiano: PROPAGATORI ROMANi imp. OMniVM VIRTVTVM ... D N M AVREL valeriO MAXIMIANO pio. fel.invicto SE mper. aug. ...DEVOTI N M Q EIVS
Un altro piedistallo, alto m. 1,23 x 0,70 X 0,58, fu dedicato ad onore di Costantino Magno: DOMINO NOSTRO CONSTANTINO PIO FELICI INVICTO ET BEATISSIMO SEMPER AVGVSTO FILIO DIVI PII CONSTANTI AVGVSTIAPPIVS PRIMIANVS VP RAT SVMMAE PRIVAT NVMINI M Q EIVS DICATVS. Nel fianco sinistro era incisa, in quattro linee, la data di una dedicazione, che fu abrasa, e soltanto nell’ ultimo verso si può leggere: PROMAGG. Sul terzo basamento, alto m. 1,48 X 0,70 X 0,34, si legge: EX TINCTORI TYRANNORVM AC PVBLICAE SECVRITATI AVCTORI D N THEODOSIO PERPETVO ACFELICI SEMPER AVGVSTO CEIONIVS RVFIVS ALBINVS V C PRAE VRBI ITERVM VICE SACRA IVDICANS D N M Q EIVS.
Questo monumento fu dedicato da Ceionio Rufo Albino nell’anno 389, dopo la disfatta del tiranno Magno Massimo, che aveva cacciato d'Italia l'imperatore Valentiniano II. Sono conosciuti due altri simili piedistalli, dedicati dallo stesso Albino agli altri due imperatori che regnavano allora insieme con Teodosio, cioè Arcadio e Valentiniano (C. Z. Z. VI, 3791, 8): onde apparisce, che per celebrare la vittoria riportata da Teodosio su Massimo, il nominato prefetto di Roma eresse nel Foro un monumento con le tre statue degli imperatori, ripetendo sotto ognuna di esse la medesima iscrizione onoraria.
Dal muro con cui fu chiusa l'antica porta della chiesa di s. Adriano, quando per l'interramento del Foro fu rialzato il livello dell’edificio ed aperto un nuovo ingresso, provengono molti frammenti marmorei, alcuni dei quali portano avanzi di sculture ornamentali d'età classica, altri spettano a decorazioni del secolo ottavo e nono. Quivi si trovarono pure pezzi di marmi scritti in greco; tre dei quali spettano ad un grande lastrone marmoreo.
In un altro frammento di lastra marmorea, di m. 0,28 x 0,30, si legge: ... INC ... ISSIMO ... NIANO TR ... R AVGVSTO …; In un simile frammento, di marmo di m. 0,14X 0,14: … RARVM … RENIT …; Un altro pezzo di marmo, dim. 0,25 X 0,08 conserva: ... NIVS RVFIVS V …; Sulla calce, con cui quest'ultimo frammento fu murato, riman della scrittura, ed in fine della prima linea si veggono impresse onde è agevole restituire il nome: c. ceioNIVS RVFIVS VOLusianus v. c. prAEFE VRbi .... Di questo personaggio, che fu prefetto di Roma nell' anno 365, sono già note parecchie iscrizioni onorarie, poste agli imperatori Valentiniano e Valente (C.I.L. VI,1171-1174).
Giuseppe Gatti.
Relazione di Giacomo Boni sull'Esplorazioni nel Comizio presso la fronte della Curia.
Nello scavare il terrapieno alto m. 7,70, largo m. 20, addossato alla fronte della Curia (s. Adriano), riconobbi che esso era composto di due stratificazioni principali, manomesse da scavi precedenti; la inferiore, alta m. 4,85, riposava sui lastricati del Comizio, e comprendeva il nucleo a pietrisco della gradinata della Curia, alto m. 1,60; la superiore, suddivisa da massicciate stradali, arrivava a livello della strada moderna, sulla quale, fino al dicembre 1899, correva il tram elettrico.
All'altezza della prima stratificazione, rimangono, nella fronte della Curia, le tracce della soglia marmorea, grossa m. 0,24, e dello zoccolo, alto m. 0,49, della porta, rialzata, probabilmente, dopo l'incendio normanno.
L'apertura inferiore della porta dioclezianea (v. pianta, fig. 1, lett. A) fu murata, non prima del sec. XI, con scheggioni di colonne di porfido e di marmo bianco e giallo; con mattoni, e scaglie di peperino e di travertino, e frammenti di colonne baccellate, giallo antico, lastre marmoree con iscrizioni, fregi, fascie a meandri e nodi dei sec. VIII e IX, transenne, pilastrini, bassorilievi, frammenti di capitelli di pilastri e altri marmi.
Penetrai nell'interno della Curia forando la muratura a sacco che ne ostruisce l'antica porta, e giunsi a mettere allo scoperto un tratto di pavimento (B) a lastre di porfido, di paonazzetto e di bigio, e un frammento d'iscrizione, sul quale giacevano molti avanzi architettonici, compresa la estremità sinistra d'un architrave alto m. 0,69, avente il buco pel cardine, e che portava dipinta in rosso sopra intonaco la parola ASPICE. Feci trasportare l' intonaco su tela, scoprendo l'iscrizione sottostante, incisa su una fascia dell’architrave a lettere rubricate, alte m. 0,075: iMPERANTe d. n..... naERATIVS IV.... CVRIAM SENatus…
Rinvenni pure una borchia di bronzo, finamente cesellata, la quale farebbe credere che fosse appartenuta ai serramenti della porta della Curia, ma è diversa da quelle della porta di bronzo trasferita da s. Adriano alla basilica lateranense, per ordine di papa Alessandro VII. Sul muro di prospetto della Curia trovansi tagliati sette loculi, uno dei quali (C), lungo m. 1,80, largo m. 0,40, profondo m. 0,50, conteneva uno scheletro umano che feci conservare a posto difendendolo mediante reticella metallica. Un altro loculo (D) è chiuso con due tegoloni portanti i bolli: EX FIGLINIS CAESARISN
CAMILLIANIS C. XV, 115 (aetas hadriana); EX F CAEPION PLOTIAE ISAVRICAE FOR PECVLIARIS SER C. XV, 64 a (aetas traian).
I loculi sepolcrali della Curia, congeneri a quelli della basilica di Massenzio e della basilica palatina, fanno pensare all'istinto dell'antica razza che aveva scavato intere necropoli, trasformando in alveari umani le rupi di tufo. La cortina in mattoni al piede della Curia ha tracce di uno strato di malta, grosso m. 0,10, sul quale stavano applicate le lastre del rivestimento, lunghe m. 1,05 1,97 0,85 0,80, come risulta dalle impronte rimaste; una piccola parte del rivestimento di paonazzetto, trovasi ancora a posto con m. 0,60 di cornice alta m. 0,10, modinata a guscio, gola e ovolo.
Resta pure un piccolo avanzo dello stipite (E) della porta, largo m. 0,83, a semplice fodera grossa m. 0,04, modinato a listello, gola, intacca e ripieno. Gli sta addossato un secondo rivestimento in paonazzetto. Nelle parti inferiori della fronte rimangono tracce della zoccolatura a lastre di paonazzetto, sormontato da lastre di porta santa, alte m. 0,65, grosse m. 0,03. La zoccolatura, misurata sulle impronte rimaste sull' intonaco, era rivestita di lastre lunghe m. 1,06 1,22 1,28 2,13.
Il nucleo della gradinata (F), composto di tufo, scaglie di travertino, di marmo bianco, di giallo, di cipollino, e di pezzi di peperino, tutto impastato con malta di calce e pozzolana rossa, era intestato all'estremità orientale con gradini, dei quali rimangono traccie nel muro della Curia. Questo muro, a cortina di mattoni, riposa su blocchi di travertino.
Nel nucleo della gradinata, in prossimità dello stipite sinistro (G), trovasi scavato un ossario, lungo m. 1,55, largo m. 0,70 e profondo m. 2,25. A m. 4,80 dal suddetto ossario, quasi di fronte allo stipite destro della porta, trovasi una fossa (H) lunga m. 1,25, larga m. 0,75 e profonda m. 1,27; l'intonaco delle cui pareti verticali porta incavate a fresco alcune rozze croci a monogramma, A+N SPE.
La parete sinistra di questa AA comunica con un altro ossario, chiuso da due lastre di marmo lunense, delle misure di m. 0,62 X 0,67, lavorate a martellina e orlate da una fascetta larga m. 0,05, lavorata a scalpello, che appartennero, forse, ai rivestimenti superiori della Curia.
Sotto a questo ossario, a m. 3,60 dal nucleo della gradinata, trovasi una cassa o vasca rettangolare in tufo, lunga m. 1,40, larga m. 0,70, alta m. 0,77, di. fronte alla quale sorge un tronco di cilindro di tufo, del diametro di m. 0,75. La cassa di tufo conteneva ciottoli, cocci di vasi grossolani, frammenti di vasellame campano, una certa quantità di valve di pectuneulus e un pezzetto d'intonaco colorito di rosso. Sul nucleo della gradinata, a destra della porta dioclezianea, posava un sarcofago baccellato di marmo greco, lungo m. 1,57, largo m. 0,50, alto m. 0,387, contenenente poche ossa umane e coperto con lastre di marmo, tra le quali un titolo sepolcrale di m. 0,60 X 0,51.
Sul pianerottolo, di fronte alla porta, posavano due sarcofagi in terra cotta lunghi m. 1,85, larghi m. 0,75, alti m. 0,42, e grossi m. 0,05; il primo era manomesso e conteneva soltanto un’ ampollina di vetro sottile; il secondo conteneva poche ossa umane mescolate ai seguenti oggetti: tre gettoni o piastrelle da giuoco, ridotti ‘a forma circolare; dei frammenti di vasi fittili; un gettone ovoidale di osso intagliato u una faccia a tre anelli concentrici; un anello di rame, grosso mm. 4 e del diametro interno di mm. 23; una perla bucata di vetro diafano; due cilindretti irregolari d'avorio, uno dei quali porta graffitti a trapano, su una testata, tre circoletti; un amuleto o ciondolo rettangolare di lamiera di bronzo, con appendice rotonda bucata, che porta inciso un fregio a palmette e sembra lavoro medioevale del sec. XII circa; una monetina di bronzo del IV secolo; due monete di bronzo del senato di Roma (1099-1303), aventi da una parte la croce con la scritta + ALMVS TRIBVNAT, e dall'altra il « pettine » (o vessillo con asta orizzontale e striscie pendenti), il circolo, la mezzaluna, la stella, con la scritta: + CAPVT MVNDI. Le scritte non sono chiare e potrebbero variare un poco (cfr. Cinagli, Monete dei Papi, pag. 21).
Relazione di Giacomo Boni sull'Esplorazioni nel Comizio.
All'estremità orientale del nucleo della gradinata trovai un pozzo repubblicano (I), del diam. di m. 0,69, rivestito ad anelli, alti m. 0,65 formati ciascuno da sei segmenti di lastre di tufo, grosse m. 0,09. Il pozzo raggiunge la profondità di m. 11,52, con pedarole alternate in due file di trentaquattro per parte.
Conteneva i seguenti oggetti: Frammento di tegola; Frammenti degli orli di due vasi grossolani, uno dei quali di grandi dimensioni; Pezzo di un’antefissa di terracotta, decorata con volute vegetali; Frammenti di terracotta ordinaria ma di buon impasto, tra cui il becco di un vaso simile alla oinochoe greca; Pezzi di bronzo informe (aes rude?); Frammentini di terracotta rozza e di vasellame campano, un pezzetto di bucchero; Frammentino di terracotta gialla, verniciata di nero, che ha un residuo di decorazione in colore cinerognolo (una palmetta, forse, o altra forma vegetale); Legno carbonizzato; Quattro pezzi di chiodo e due masse informi di ferro; Frammento di oggetto rivestito di una crosta di limonite; Un astragalo ovino; altro astragalo segato per due volte nel senso dell’asse longitudinale, in modo che ne è restata solo la parte interna; Un ciottolo con incrostazioni di bronzo; Un'anfora rinvenuta alla pedarola XXXIII la quale potè venire ricomposta quasi per intero, sebbene il collo fosse in parecchi frammenti. Manca la parte inferiore del piede. Verso l'estremità inferiore è rimasta attaccata alla parte esterna una massa informe di bronzo ; altezza m. 0,63, diametro della bocca m. 0,17; Oggetto di rame, forse un saldatore da stagnaro, della forma di una piccola ascia, con taglio arrotondato, e traccia del manico a verga di ferro (i saldatori moderni sono formati sullo stesso principio e si adoperano con borace, resina, o altra sostanza capace di mantenere disossidate le superficie da saldare, e ricordo d'aver avvertito traccia di resina, materia indistruttibile, accanto alla saldatura a stagno d’un perno delle lettere monumentali di bronzo scavate a Pompei); Due grossi pezzi di tufo brunastro, con abbondanti cristalli di leucite, che formavano parte delle pareti di rivestimento del pozzo; hanno superficie concava liscia, e spigolo smussato; Fondo di un vaso di terracotta gialla, ornato esternamente con due linee brune; Frammento dell'orlo di un altro vaso verniciato in nero; Teschi di mustela; Capocchia d'osso tornita di una bacchetta o graphium; Una testa di stilo d'osso; Un anellino di bronzo in due pezzi; Una monetina di bronzo irriconoscibile; Ciottoli posti in fondo al pozzo per rischiarare le acque, riposanti sul terreno vergine di argilla gialla sabbiosa.
Accanto alla bocca del pozzo repubblicano (chiusa con un lastrone rotto di tufo), giacevano ammucchiati vari pezzi di intonaco modellati a stucco lucido e policromo, i quali richiamarono subito la mia attenzione per la tonalità forte ma severa di colori e la sobria eleganza greca delle sagome. Non ho potuto rintracciare finora alcunaltro frammento, e quelli trovati, appartenenti a una decorazione a bugnato, non contengono elementi sufficienti per determinarne le proporzioni generali e le combinazioni architettoniche; però quel tanto che ne rimane ha importanza non piccola, appartenendo probabilmente alla decorazione interna della Curia sillana o di quella cesarea.
La cornice, a stucco bianco, alta m. 0,16, sporge m. 0,12 da un bugnato a specchi di diverso colore, bianchi, neri e rossi, tutti però orlati da fascetta bianca; le fascette di separazione delle bugne non sono tutte eguali; predominano quelle suddivise da un solco mediano e colorite in nero in ambedue le suddivisioni, o colorite metà in nero e metà in rosso; qualche altra fascetta non presenta che il risvolto della suddivisione colorito in rosso. Un frammento dell'intonaco a stucco è tinto di bel colore ceruleo, identico a quello dei boli che ho rinvenuti sovente nei pozzi e negli strati repubblicani della Regia e della Via Sacra.
A occidente del nucleo della gradinata, notasi un cavo (K) del diametro di m. 0,70, il quale sembra un pozzo troncato, ma la sua esplorazione è finora riuscita infruttuosa.
Sull'area del Comizio tornò in luce il lastricato medioevale (L) di travertino a pezzi irregolari sfaldati e arrotondati, grossi circa m. 0,35.
Sulla terra che ricopriva il lastricato medioevale posa un piedistallo (M) dedicato da Massenzio; lo lasciai dove era, quantunque evidentemente non occupi il posto originario. È alto m. 1,26, largo alla base m. 0,80 X 0,85, e porta incisa sulla fronte, che sta ora rivolta a sud, la dedica: MARTI INVICTO PATRI ET AETERNAE VRBIS SVAE CONDITORIBVS DOMINVS NOSTER IMP MAXENTIVS PF INVICTVS AVG. Il nome dell’imperatore, abraso per la memoriae damnatio, si legge ancor bene col sole radente; la fronte rivolta ad est porta incisa la data: DEDICATA DIE XI KAL MAIAS PER FVRIVMOCTAVIANVM CVR AED SACR
Il piedistallo, fornito nella superficie superiore di quattro fori per grappe che dovevano forse fermare uno zoccolo di colonna, era stato dedicato in origine dai quinquennali e decurioni del collegio dei carpentieri (fabri tignari), dei quali porta incisi i nomi e la data consolare del 1° agosto 154. Nel decifrare il nome abraso sul piedistallo dedicato a Marte e ai fondatori di Roma, in prossimità al niger lapis, mi si affollarono alla mente i ricordi delle opere grandiose dovute a Massenzio, il nome di Romolo dato al figlio suo, la dedica incisa sul piedistallo nel 21 aprile, il natalis Urbis. E subito pensai che il piedistallo dovesse portare una colonna con in cima la lupa e i gemelli, forse la lupa di bronzo del museo capitolino, raro monumento dell’arte fusoria, assai più arcaica di quella di Fiesole, tanto che non escluderei la possibilità, che sia la lupa dedicata dagli edili, nel 296 av. Cr., accanto al fico ruminale…
Vicino al piedistallo giacevano due capitelli corinzi, alti m. 0,75, e un terzo alto m. 0,68. Nello strato infimo di terra che posava sul lastricato di travertino, rinvenni una moneta di bronzo bizantina, con due imperatori eretti, molto guasta. Sul confine tra il Comizio e la strada dell'Argileto, sorgono tre piedistalli marmorei (N), uno dei quali, dedicato a Costanzo, era già conosciuto; gli altri due sono mutilati, e non resta traccia della fronte che portava la iscrizione; sono alti m. 1,55 e hanno una base di m. 1,33 X 1,31.
Sotto il lastricato medioevale, in prossimità dei piedistalli, rinvenni tre pezzi di tubo (0) di piombo, della lunghezza di m. 6,95, uniti con saldatura autogena, e tracce di un pavimento in lastroni di travertino della fine dell'impero, grossi in media m. 0,30; una grande lastra, posta nello spazio compreso fra î due piedistalli più vicini alla Curia, misura m. 2,70 X 0,83.
Fra le commessure di questo lastricato rinvenni le seguenti monete: 1) Grande bronzo. M. Aurelio; 2) Medio bronzo. Caracalla; 3) Medio bronzo. Filippo; 4) Piccolo bronzo. Costantino.
Pavimento imperiale (P) a lastre rettangolari di marmo, di m. 1,00 X 1,75, grosse m. 0,15 che lasciano scorgere tre incassature di m. 0,75 X 0,75, profonde m. 0,01, distanti fra loro m. 2,80 e m. 6,55; sono tutte e tre sulla stessa linea e sembrano indicare il posto di cippi onorari o di pilastri.
A m. 6,80 dalla fronte della Curia, verso il lato orientale, trovasi un ammasso di blocchi di pietra (Q) adoperati come fondazione di una torretta o di un campanile, fra i quali riconobbi quattro cippi: uno dedicato a Massimiano, un altro a Costantino, un terzo a Teodosio. Il quarto non conserva l'iscrizione.
Parte sopra il lastricato medioevale e parte sopra quello imperiale, posa un disco (R) o bacino piatto di marmo bianco, del diametro di m. 5,26 compresa la cornice; sosteneva probabilmente un cantharos; nella terra che riempiva i vani delle lastre mancanti del disco, rinvenni un medio bronzo di Vespasiano, troppo mal conservato per poterlo meglio identificare.
Sulla linea del centro di questo disco corre parallela alla frontea della Curia, una gronda di travertino (S) che conserva traccia di un tubo di piombo. Fra questa gronda e il pavimento imperiale restano lastre di travertino (T), con incassatura larga m. 0,07 e profonda m. 0,05, che servì per un cancello; e ad intervallo vedonsi nove incassature dei pilastrini di m. 0,22 X 0,17, profonde m. 0,07, a distanze che variano da m. 1,14 a m. 0,63, m. 0,34 e m. 1,05.
Nel terrapieno a livello del lastricato imperiale, rinvenni le seguenti monete: 1) Piccolo bronzo. Imp. Diocletianus Aug.; 2) Moneta autonoma coniata sotto i figli di Costantino; 8) Piccolo bronzo di Costanzo II. Dove esisteva una interruzione del lastricato imperiale, a oriente del nucleo della gradinata, raggiunsi alcune murature di tufo, che mi impedirono di scendere più in basso, ma trovai nella terra di riempimento i seguenti oggetti:
Pietra. Pezzo in travertino (fig. 10), sagomato ad angolo retto, corrispondente alla base di un monumento onorario o di un piedistallo di stipite dell’età sillana o cesarea, molto logorato dallo stropiccio dei piedi, come se fosse stato posto per lungo tempo in sito ristretto e molto frequentato; misura m. 0,435 X 0,355 X 0,244.
Fittili. Materiali da costruzione: Frammento di mattone con tracce di pittura in color rosso, raffigurante una serie di grandi triangoli accostati pei vertici della base; Sei mattoncini rettangolari, proprî delle costruzioni ad opus spicatum, misurano m. 0,10 X 0,045 X 0,028; Pezzo di terracotta esibente la, forma di un pilastrino a scanalature larghe m. 0,01, le quali conservano tracce della inalbatio; Embrice da grondaia, di terracotta rossiccia sparsa di cristallini neri di augite, modellato a forma di testa umana, mancante ora della faccia; un monile con pendaglio cinge il collo della figura, e sotto il monile è una fila di ovuli. Scendono da una parte e dall'altra della testa tre ciocche ondulate di capelli di stile arcaico, colorite in rosso; nella parte posteriore, sùll’occipite, sono tracciate linee brune irresolari, che si interrompono senza seguire tutta la circonferenza del capo, e segni rossi fatti con due pennellate in croce; le spalle sono tinte uniformemente di rosso
Vasi: Frammentino attico a figure nere; resta parte di una fascia e una voluta vegetale; Porzione di una specie di piatto di ceramica campana, decorato con due zone circolari concentriche di ovuli e di circoletti. Piede di un vaso di bucchero nero, a pancia, con segni graffiti, forse accidentali; Tre coperchietti d'anfora a rozzi, con segni timbrati a rilievo sulla faccia superiore; Porzione di altorilievo in terracotta che conserva due gambe umane, dal ginocchio in giù, con i talloni uniti e le punte dei piedi divaricate. Sembra che l'artista abbia voluto rappresentare anche la calzatura, ma l'ha fatto molto schematicamente. I piedi riposano su una superficie concava e solcata a guisa di conchiglia.
Bronzo: Due monete irriconoscibili e un frammento di lamina di bronzo.
Le murature in fondo a questo cavo, tra i m. 2,35, e m. 3 di profondità, conservano l'avanzo di una chiavichetta di tufo la quale conteneva pochi frammenti di tegoli giallastri, di buccheri, tra i quali una patera. Sotto il lastricato imperiale, e quasi parallela alla incassatura del cancello, riconobbi una cloaca costruita a blocchi di tufo, coperta per un piccolo tratto a cappuccio e il rimanente a vòlta; è larga m. 0,58, alta m. 1,63, la sua platea arriva a m. 2,40. sotto il lastricato imperiale, e dopo breve tratto si scarica nella cloaca che scende dal prossimo Argileto.
I pochi oggetti rinvenuti nella melma che ostruiva questa cloaca sono i seguenti: Due lucernine di terracotta ordinaria, una delle quali era fornita di manico, l’altra più piccola non lo ha mai avuto; due stili e due stecche d'osso, segate a sezione quadrata, probabilmente per la tornitura di altri stili; un oggetto di bronzo alto dieci centimetri, costituito da un tronco di piramide esagonale, cavo, con manico o sostegno diretto che gli si unisce a guisa di staffa.
A m. 0,47 sotto il lastricato imperiale e con una inclinazione occidentale di 27° rispetto a questo, rinvenni un lastricato repubblicano (V) a blocchi di travertino perfettamente squadrati di m. 1,58 X 0,72, grossi m. 0,23, stesi sopra una solida platea di pietrisco di tufo; questi blocchi o lastroni sono lavorati a martellina a denti nelle faccie di combaciamento; il piano di sopra è logorato, ma sembra che fosse lavorato anch'esso a martellina, il piano di posa è sbozzato a punta.
A m. 6,99 dalla fronte della Curia e m. 2,82 sotto il pianerottolo, rinvenni una scalea (X) a blocchi squadrati di tufo, la quale scende sotto il lastricato repubblicano di travertino ed è composta da cinque gradini della pedata rispettiva di m. 0,12, 0,29, 0,40, 0,20 e 0,22, corrispondenti alle alzate di m. 0,34, 0,22, 0,24, 0,26 e 0,18, che dànno un'altezza totale di m. 1,24. L'ultimo gradino posa sopra una massicciata di ufo che esplorai per m. 2,64 di larghezza, fino dove fu troncata dalla cloaca cesarea parallela alla fronte della Curia.
All'angolo orientale della Curia, sta addossata una miserabile muratura a sacco, la quale a m. 1,50 dal prospetto della Curia è a forma di nicchia (2), larga m. 2,20, a cortina di tufo alternato con filari di mattoni.
Nello scavare il terrapieno, selciato a declivo, che saliva al fornice centrale dell'arco di Settimio Severo, e già esplorato nei primi anni del nostro secolo, trovai un centesimo di Napoleone I (anno 1811), un quattrino di Leone XII (1826) e una pipa di porcellana. Sotto allo stesso terrapieno giacevano buttati sul lastricato imperiale due frammenti di una iscrizione repubblicana, incisa in pietra; un terzo frammento, che combaciava coi due primi, stava murato in una chiavica moderna dietro i Rostri vandalici; rinvenni il quarto frammento, che sembra appartenesse alla intestazione della stessa epigrafe, dentro un buco fra le murature di tufo a occidente della platea dei Rostri repubblicani; un quinto frammento giaceva abbandonato sopra terra, vicino al supposto Umbilicus.
La iscrizione è su lastra di travertino, grossa da m. 0,085 a m. 0,115, lavorata a gradina; le lettere, nettamente incise, conservano traccia della rubrica a terra rossa. I frammenti rinvenuti fanno parte di una specie d' avviso d'asta per il contratto addizionale di locazione d'opere stradali, che menziona i dusta gallica ricordati da Varrone e i fori, o palchi del Circo Massimo, accennati soltanto da Livio. La iscrizione era almeno in due colonne, divisa da una fascia piana, lungo la quale scorgonsi i buchi di chiodi o perni di ferro piombati, che sostenevano forse le tavole di bronzo di un’altra iscrizione sovrapposta, il collaudo o resoconto dell’opera locata o qualche ulteriore locazione addizionale….
Sul lastricato del Comizio giacevano sparsi alcuni rottami di porfido, taluni dei quali appartengono a panneggi di grandi statue; forse quelle che adornavano la sommità dell'arco di Settimio Severo, secondo la congettura del Fea, che pur scavò ivi presso, nel 1815, parecchi rottami di sculture porfiretiche.
Approfittai dell’area libera del Comizio per continuare le esplorazioni stratigrafiche iniziate intorno e sotto i monumenti del niger lapis, e dovendo per ciò scomporre una parte del lastricato medioevale di travertino, caratteristico esponente del miserando stato in cui Roma sì era ridotta al cadere dell'Impero, ne ho fatto prima numerare i pezzi, disegnandoli nella planimetria del luogo e nelle sezioni altimetriche; fotografandoli quasi a piombo dalla sommità dell'arco di Severo e prendendone altre vedute prospettiche dalla Curia.
Non ho creduto trascurabile nemmeno l’analisi dei materiali costituenti il letto di posa di questo lastricato, il quale, per insignificante che sembri, è pur sempre una appendice alla storia del Comizio, della quale ben poco sappiamo, quantunque si tratti del luogo più celebre di Roma antica, del centro della sua vita politica.
Scendendo agli strati del Comizio, passiamo dal lastricato imperiale marmoreo, orientato come la Curia e il niger lapis, a quello repubblicano di travertino, che ha l'orientamento dei piedistalli di leone e della platea del cono; passiamo dai frammenti di vasi proto-bizantini del V o VI secolo dell'èra nostra, ai proto-corinzi, agli attici arcaici, e a quelli di Rodi del VI o VII secolo a. C., ed ai fittili primitivi indigeni, per ora non databili; passiamo dai porfidi rilavorati al tempo di Teoderico, al tufi terrosi squadrati con accetta, o non squadrati affatto ; dal forte calcestruzzo di pozzolana rossa, fino alle murature a secco, alle munitiones stradali di ghiaia, e fino all’argilla vergine o alla rupe tufacea che da essa emergeva, tagliata essa pure e logorata dall'uomo.
Ognuno di questi strati testimonia qualche residuo di vita del periodo al quale appartenne, e spesso reca l'impronta di strumenti e tracce di lavorazione nei materiali manipolati o cotti, i quali hanno percorso determinate e diverse vicende prima di arrivare fino al punto in cui giacciono, ricoperti da altri strati e da altri materiali. Perciò ebbi sempre cura di esaurire, per quanto era materialmente possibile, l'analisi di ogni singolo strato, entro l’area assegnata a ciascuna esplorazione, e di non passare al taglio di uno strato inferiore senza averne prima diligentemente raschiata e spazzolata la superficie o lavata con una spugna. Di ciascuno strato feci scomporre le zolle e separare i materiali più minuti o caratteristici, avvolgendoli in carta solida e chiudendoli in una speciale cassetta, con tutte le indicazioni topografiche e altimetriche necessarie. Ogni serie di queste cassette rappresenta un’opera in più volumi, e il complesso delle serie costituisce l'archivio stratigrafico della esplorazione compiuta.
Oltre ai saggi di materiali contenuti in ciascuno strato mi è parso utile di tenerne un blocco, onde abbia a servire di elemento nel campionario della intera sezione, e di lasciar sussistere a posto i testimoni dei diversi scavi; questo ho fatto oltre che per il niger lapis e il Comizio, anche per la Regia, e altrettanto reputo necessario di fare, dovunque continuerò a esplorare terreni non colmati d'un tratto, ma da successive sovrapposizioni, ognuna delle quali appartenente ad una età storica diversa.
Relazione di Giacomo Boni sui Pozzi di esplorazione nell’area del Comizio
Scavai vari pozzi di esplorazione nell’area del Comizio, approfittando di qualcuna delle fosse rituali che attraversavano la massicciata di tufo del lastricato repubblicano di travertino, e usando sempre la cautela di vuotare le fossette di ogni strato successivo; cautela assolutamente necessaria, poichè, come risulta dalle indagini fatte sinora, furono celebrati nel Comizio stesso, fino quasi al cadere della Repubblica, innumerevoli riti sacri, aventi principio o termine con una libazione almeno o con una offerta agli inferi, diis infernalibus, nelle buche di ogni specie e grandezza scavate entro terra, in effossa terra (Paul diac. s. v. altaria), cinte talvolta di piccola macera di pietrame, o tagliate nel tufo di più antiche costruzioni.
Le offerte furono portate altre volte con anfore o piccoli dogli, dei quali trovai pure le vestigia, sino dal febbraio 1900, a oltre due metri sotto il lastricato del Comizio, fra il niger lapis e la supposta cloaca massima », e mi parvero allora ricordare i doliola, nascondiglio di oggetti sacri, al dir di Festo, durante l'invasione gallica; ovvero il locus ad cloacam maximam, ubi non licet despuere, a doliolis sub terra (Varro, LL., V, 157). Questi vasi erano pieni di fanghiglia, mista alla quale non trovai che una pasta vitrea imitante la corniola e lavorata come pendente di collana.
Sono già tornati alla luce diciotto pozzi rituali, e altri ho fede di rintracciare; forse erano trenta come le curie, fors'anco in numero maggiore, come le tribù, e uno tra essi venne certamente troncato dalla supposta cloaca massima; due altri erano coperti da lastre di tufo incastrate a limbello sulla sommità delle pareti di rivestimento, che talvolta provengono da più antichi manufatti, e sono lavorate talune con accetta, altre con martellina a denti.
Riservandomi di descrivere ciascuno di questi pozzi in un successivo rapporto delle esplorazioni in corso nel Comizio, preparatorie allo studio dei monumenti del niger lapis, osservo sin d'ora, che i pozzi rituali, diversi di forma (rettangolare, pentagonale e rombo-trapezoidale) erano stati tutti ricolmi di terra di scarico sul finire della Repubblica, e che la data della loro costruzione sarà determinabile con approssimazione, tenendo conto che furono tagliati traverso la massicciata, sopra la quale venne steso il lastricato repubblicano di travertino.
Questi pozzi rituali, abbandonati per lastricare il Foro, mi fanno ricordare un noto passo di Festo: Statae Matris simulacrum in Foro colebatur; postquam id Cotta stravit, ne lapides igne corrumperentur, qui plurimi ibi fiebant nocturno tempore, magna pars populi in suos quique vicos rettulerunt eius deae cultum. E le fossette, talune delle quali sono scavate nella sponda dei pozzi rituali, come per utilizzarli senza alzarne il coperchio, mi fanno ricordare tra altro le stultorum feriae, ossia le espiazioni differibili fino al giorno sacro a Quirino, per coloro i quali avevano ommesso o dimenticato di prender parte alle Fornacalia, cioè alle cerimonie della torrefazione del grano.
Quando, come accade sovente nel Comizio, si trovano grosse massicciate continue che tennero coperti e sigillati gli strati inferiori, per modo da escludere la possibilità di rimescolamento, quando ciascuno di questi strati possa rappresentare un capitolo di storia d'un grande popolo e della età sua più rigogliosa, quando taluna di queste stratificazioni archeologiche sia a livello assai più profondo del sepulcrum Romuli, ogni cura nel ponderarne il valore non parrà eccessiva.
Sotto il lastricato del Comizio ho finora riconosciuto ventitre strati, incluse le massicciate e i piani glareati e di terra battuta, alcuni dei quali, rialzati in più volte, rappresentano per lo meno la vita di una generazione. La sezione principale, servibile per illustrazione di riferimento, non è la più profonda della serie, ma presenta il vantaggio di essere una delle più centrali del Comizio, e di offrire un perimetro di oltre quattro metri.
Il primo strato, ossia il pavimento medioevale di travertino, segna il livello del Foro rimasto scoperto fino al secolo XI.
Il secondo strato, di terriccio, segna il livello del lastricato della fine dell’ impero, del quale rinvenni traccie accanto al posamento dei piedistalli del IV secolo, tuttora a posto, che segnano il limite orientale del Comizio, nonchè accanto al niger laprs.
Il terzo strato, di terra di scarico contenente scaglie di pietra e di marmo bianco, apparisce suddiviso in più rialzamenti, che corrispondono ai restauri subiti dal lastricato del Comizio durante l' Impero. Conteneva diversi fittili, tra i quali gli aretini, e una borchia di osso tornito, del diametro di mm. 78, che potrebbe avere appartenuto ai rivestimenti d’una sella curulis, o di un subsellium.
Il quarto strato, di terra sostituita al lastricato repubblicano di travertino, sembra aver servito come letto di posa del primo lastricato imperiale, augusteo o fors' anco cesareo. Conteneva materiali che accennano alla distruzione di edificiî più antichi.
Il quinto strato, riposante sulla prima massicciata repubblicana di tufo, a livello colla bocca dei pozzi rituali, era composto di avanzi di sacrifici contenenti ceneri, carbone, ossa, aes rude, astragali e frammenti di vasi protocorinzi e calcidesi, simili a quelli dello strato che inviluppava i monumenti coperti dalla massicciata stessa, sotto il niger lapis; tale somiglianza mi fa ricordare tra altro il vetera religio commendat di Quintiliano e il costume romano, su cui tanto insisteva Ti. Gracco, nel II secolo av. C., di togliere il materiale votivo dai templi per nuovamente servirsene.
Gli avanzi di sacrifici componenti questo strato, da me separati con l’aiuto del prof. Portis, direttore del Museo geologico romano, e del dott. Paribeni, uno dei migliori pensionati della Scuola italiana di archeologia, ai quali ultimi gli scavi del Foro Romano sono ottimo campo di esercizi pratici, risultarono classificabili nel modo seguente: Ceneri. Mescolate con la terra, contengono pezzetti di carbone; Avanzi organici, Bos, Sus, Ovis; Ossa lavorate; Pietre e materiali da costruzione; Fittili. Vasi greci.
Il sesto strato, ossia la massicciata di tufo battuto, grossa circa m. 0,39, serviva da letto di posa al lastricato repubblicano del Comizio, che conserva l'orientamento inaugurale, e che credo, si trovasse a livello col niger lapis, prima che questo venisse rialzato per la prima volta e disorientato. Alla distanza di otto e dieci metri dal niger lapis, tanto in direzione del Foro, quanto in direzione della Curia, e mescolati alla terra che ricopriva la massicciata di tufo (dove mancava lo strato sacrificale, e si scorgevano alcune traccie del letto di posa del lastricato repubblicano di travertino), giacevano molti scheggioni e altri più minuti residui di rilavorazione del marmo nero. Avverto che qualche grosso frammento segato dello stesso marmo giaceva nel pozzo repubblicano di una delle tabernae argentariae novae, che trovai sotto la platea di calcestruzzo, di età augustea, alla testata orientale della basilica Emilia.
Il settimo strato, di terra carboniosa, grosso m. 0,45, non è che l'estensione dello strato sacrificale inviluppante i piedistalli dei leoni, il tronco di cono e il cippo, letti, e qualche scheggia di calcare bianco. La terra di riempimento di un'altra fossetta conteneva un frammento levigato di marmo nero, simile a quello del niger lapis. coperti dalla descritta massicciata.
È composto di quattro straterelli, divisi da sottili pagine di detrito sabbioso; il primo tra essi copre una importante struttura curvilinea di massi di tufo, che porta tagliate col piccone alcune fossette sacrificali; il secondo è interrotto alla superficie da una fitta serie di fossette che attraversano gli straterelli sottostanti, e che penetrano qualche volta nella ghiaia. Le fossette erano piene di terra di scarico, contenente frammenti di tegole e d'embrici di terracotta giallastra, di dogli e d'anfore di terracotta rossa a ingubbiatura giallastra, di vasi etrusco-campani a vernice nera, di ossa e denti d'animali domestici e di gusci d'ostrica. Nella terra di riempimento di una sola fossetta rinvenni un po' di carbone, ma non come residuo di combustione a posto; un'altra fossetta conteneva un rottame di superficie di pavimento d'opus signinum, bene levigato, frantumi fittili rossigni e gialetti, e qualche scheggia di calcare bianco. La terra di riempimento di un'altra fossetta conteneva un frammento levigato di marmo nero, simile a quello del niger lapis.
Vasi corintii o imitati nella Magna Grecia: Bicchiere con piede, di argilla giallastra, ricoperto nell'interno completamente, nell’esterno a zone, di una vernice rossa poco consistente; Altezza m. 0,055, diametro della bocca m. 0,078. Due frammenti di vasi simili.
Fittili italici di tipo arcaico: Frammento di un disco di terracotta rossa (offella votiva). Vasetto di impasto rozzo, di forma cilindrica, altezza m. 0,03, diametro m. 0,019. Vasellame campano: Numerosi frammenti, per lo più di patere ad anse lunghe e sottili.
Vasi di fabbrica italiana: Molti frammenti di vasi di bucchero, senza alcuna caratteristica, tra essi un piccolo cyathus, mancante dell’ansa, simile agli abbondantissimi trovati nella stipe del niger lavis. Numerosi frammenti di vasi di impasto rude, per uso domestico, e di vasi di argilla rossa o gialla. Tra questi, parte del fondo di un vaso di terracotta d’ impasto finissimo, a superficie assai levigata, sul quale furono incisi a fresco i segni: IXX. Pezzo dell’orlo appiattito di uno dei vasi che, credo, servissero a raccogliere il sangue delle vittime. Frammento di lucerna di terracotta ordinaria gialliccia, dipinta in rosso, ornata con punteggiature tondeggianti, che ricordano la decorazione a borchiette di bronzo della ceramica euganea. Questo frammento aderiva alla superficie superiore dello strato sacrificale, ed è quindi incerto, se gli appartenesse o no; va tenuto in osservazione e classificato tra gli oggetti di confine dello strato cui aderisce, ovvero di cui segna il limite, come ho fatto per diversi gruppi della stipe del niger lapis.
Statuette in terracotta: Piede destro umano con parte del plinto rettangolare. Lunghezza m. 0,045. Pollice di un piede sinistro umano. Lunghezza m. 0.045.
Metalli: Bronzo. Frammenti di lamine ripiegate, molto ossidate, piccole masse di forma indeterminata, pesanti fino a 85 grammi (aes rude ?); una verghetta cilindrica piegata in giro (arco di una fibuletta o parte di anellino). Due monetine irriconoscibili. Ferro. Due frammenti di lamina e un pezzo di verga cilindrica.
L'ottavo strato, di ghiaia gialla, grosso m. 0,22, è l'estensione di quello che porta lo strato sacrificale, ed apparisce essere stato steso sull'area del Comizio, a H semplice scopo di colmata. Nel piano di posa di questo strato, alla profondità di m. 1,56 dal niger lapis e alla distanza di m. 0,60 dal centro del suo lato nord in direzione del pozzo medioevale, giaceva una figurina arcaica di bronzo, del peso di grammi 105, nuda e che guarda in alto, mentre regge nelle mani supine un lituo o una specie di A pedum, bastone pastorale ricurvo... La statuina era talmente cementata dall'ossidazione coi ciottoli della ghiaia, da durare fatica a liberarnela.
Il nono strato, o seconda massicciata repubblicana di tufo, è quello che porta i piedistalli dei leoni con la interposizione di uno straterello di terra battuta, contenente avanzi archeologici che lo rendono degno di accurato esame. Credetti perciò i opportuno di istituire speciali scandagli entro questo strato, e di ripeterli a intervalli di spazio, tutto all’ingiro e sotto i piedistalli dei leoni, sotto il cono e il cippo con iscrizione arcaica. Esporrò i risultati ottenuti con queste e altre esplorazioni, dopo esaurita la descrizione generale dei ventitre strati del Comizio.
Il decimo strato, di ghiaia bianca, grosso m. 0,16, non ha presentato finora alcun che di notevole. A. livello di questo strato, in prossimità ai due piedistalli costantiniani confinanti coll'Argileto, rinvenni un frammento di antefissa in terracotta giallognola, molto sparsa di cristallini di augite, che rappresenta in bassorilievo due guerrieri a cavallo galoppanti e armati di scudo e di lancia; delle teste rimane poco più che la lunga appendice scendente dall'alto elmo greco; conserva traccia di color rosso steso a larghe pennellate sulla schiena dei cavalli, e sulla carnagione dei guerrieri, e di nero sul frammento visibile di lancia.
L’undecimo strato, o terza massicciata, grossa m. 0,09, è composta di tufo battuto, terriccio, e qualche pezzo di malta, che la fa credere appartenente al genere della ruderatio; contiene qualche fittile rozzo, alcuni frammenti di tavolette di terracotta giallognola, molto ricche di cristallini di augite, grosse da m. 0,023 a m. 0,021, tra le quali una antefissa a bassorilievo (fig. 29) con le zampe posteriori di un animale felino (leone ?), tinta in rosso anche sulla fascetta che ne forma lo zoccolo e che portava dipinta in altro colore, che più non si distingue, un semplice meandro.
Il duodecimo strato, di terra battuta, grosso m. 0,115, presenta in sezione vari straterelli di detrito cristallino; conteneva pochi frammenti piani e di sponda di tegole a ingubbiatura rossa; ossa scheggiate, taluna delle quali porta traccia di tagli; frammentini di bucchero e di vasellame rozzo; una scheggia di fittile a pasta fina e vernice cinerognola.
Il tredicesimo strato, di arena grossolana, grosso in media m. 0,025, è steso a livello sopra una massicciata a leggero declivio, e perciò va assottigliandosi, dove questa saliva.
Il decimoquarto strato, grosso m. 0,08, è costituito da una massicciata di tufo rosso, finamente battuto, alquanto concrezionato alla superficie, probabilmente per causa del calpestio; vi sono compresi qualche ciottolo, frammentini d’osso e di fittili grezzi, e un oggetto di bronzo, interamente ossidato, lungo m. 0,04, che sembra la guaina di una fibula. Questa massicciata presenta una speciale importanza come piano del Comizio sul quale discendono i gradini di tufo, che ho rintracciati sotto il lastricato repubblicano di travertino. Il singolare orientamento dell’ edificio, probabilmente la Curia, a cui appartengono questi gradini, sarà tema di ricerche ulteriori. Discendono al piano della stessa massicciata altri cinque gradini di una scalea al lato est del Comizio, che sembra avere l'orientamento, anzi trovarsi sul prolungamento di quella a occidente del cono, e che sale alla spianata di tufo da me attribuita ai rostri repubblicani.
Il quindicesimo strato, grosso in media m. 0,02, è composto di arena grossolana, stesa inegualmente.
Il sedicesimo strato, grosso m. 0,10, è una muritio di ghiaia e di rottami di tufo, contenente qualche frammento di bucchero rude, di tavoletta fittile giallognola a cristallini augitici, e di tegole a ingubbiatura rossa e scheggie di ossa.
Il decimosettimo strato, grosso m. 0,105, non è diverso dal precedente se non perchè in luogo del tufo ha della terra frammista alla ghiaia; contiene esso pure avanzi fittili, tra i quali noto un frammentino a grosse solcature steccate, una lamina di bronzo; orecchiette e scheggie di 0lpai corintie, verniciate in nero, con lista rossa marginata da filettatura bianca; frammenti di ossa, taluno dei quali reciso.
Il decimottavo strato, grosso m. 0,10, è composto di tufi conglobati in terra battuta, che al lavaggio dà per residuo molto detrito e qualche concrezione. Contiene parte dell’orlo di un vaso sottile d'argilla comune, a vernice nera opaca; una sbarretta di bronzo, a sezione rettangolare, contorta; due fondi di ciottola di bucchero nero, una delle quali, la più piccola, assai fine e lucida, l’altra, striata, sembra appartenere al periodo nicostenico (VI sec. a. C.).
Il decimonono strato, grosso m. 0,125, è composto di terra, tufi e qualche ciottolo concrezionato con sabbia, e contiene tra gli avanzi fittili un frammento di vaso rosso a ingubbiatura rossa quasi lucida; parte dell’orlo di un grosso vaso (fig. 30) a rozza frangiatura in rilievo con sottostanti fossette; una punta d'anfora, assai corta, parimenti engobiata in rosso.
Il ventesimo strato, grosso m. 0,255, definibile come massicciata accidentale, è costituito da un nucleo di grumi d'argilla e carbone, incrostato superiormente da fittili rossi. È questo lo strato più basso, in cui appariscono per la prima volta i vasi arcaici di Rodi, ed è reso di eccezionale importanza dal fatto che verso la superficie contiene quasi unicamente e in grande quantità grossi rottami di tegole ed embrici, che è difficile ritenere impiegati a Roma prima del VI sec. a. C., mentre è supponibile, che qualche tempo passasse fra la costruzione e la demolizione degli edifici che essi ricoprivano.
Le tegole e gli embrici che posano alla rinfusa, ma abbastanza in piano, sopra carboni o tizzoni spenti, e grumi di argilla, sono di terracotta rossa, simile a quella dei frammenti delle aulae ansate, che si trovano sparsi nello stesso strato. Una delle tegole, ricomposta quasi per intero, risultò avere la. forma di un quadrilatero rettangolare di m. 0,65 X 0,45, e tenuto conto che una tegola copriva l'altra per cinque o sei centimetri della lunghezza, e che l’embrice o coppo, largo circa m. 0,15, occupava egual misura in larghezza, il tetto primitivo ro “ mano che esse ricoprivano, si presentava come formato di striscie alternate di m. 0,30 e m. 0,15, accompagnanti il declivio, e di linee orizzontali, distanti m. 0,60, parallele alla gronda.
Le tegole sono grosse da m. 0,019 a m. 0,026; le più sottili. hanno un bel color rosso, le più grosse mostrano nell’ interno una zona bruna dovuta alla cottura incompleta. Furono calcate entro uno stampo a semplice telaio, posato sul terreno ineguale, spolverato di sabbia, per facilitare il distacco; mostrano d'essere state maneggiate, mentre erano ancor umide; e dopo averle disseccate vennero rifilate negli orli, e spalmate nella superficie superiore d'argilla colata, allo scopo d renderle meno assorbenti; come si faceva dei vasi a engobiatura rossa, rinvenuti nel stesso strato. I margini o sponde, alti da m. 0,012 a m. 0,017, sembrano ottenuti con la ripiegatura a squadra dei due lati maggiori della tegola (tegula hamata), ma sono riusciti ineguali, più o meno appiattiti a declivio, rotondeggianti, o gibbosi; si assottigliano e finiscono pochi centimetri prima della testata superiore della tegola, perchè fosse possibile di sovrapporvi la vicina, rettangolare pur essa...
Non potei ricomporre alcuno degli imbrices = canali o coppi, ma è logico credere, che avessero la lunghezza delle tegole, e, tenendo conto della diversa curvatura di due frammenti di embrice, parrebbe che avessero una forma leggermente conica, per poterne sovrapporre le testate. La circostanza che molti dei frammenti di tegole poterono venire ricomposti, tende a far supporre, che giacessero, dove le precipitò la ruina dell'edificio cui appartennero; questa supposizione è avvalorata dal fatto, che i frammenti non sì trovarono egualmente disseminati nel XX° strato, ma piuttosto raggruppati verso il centro dell’area del Comizio attuale, che forse non differiva molto da quello primitivo.
Nella esplorazione stratigrafica fatta sotto al disco di marmo, raggiunsi lo strato di tegole dopo aver attraversati i dicianove strati, compresa l’ultima massicciata di tufo che passa sotto il fondo della cloaca di Cesare. I frammenti delle tegole erano più abbondanti a sud della cloaca, mentre gli avanzi d'incendio sono più abbondanti a nord, cioè alla Curia, come se tutti questi avanzi venissero dalla Curia i grumi di argilla, nelle esplorazioni più vicine al niger lapis, risultarono sovrapposti alle tegole, come se queste, essendo d'un materiale reso tenace dalla cottura o in parte utilizzabili, venissero e disperse e si affondassero nel materiale crudo, rammollito dalle pioggie. Dico anche i grumi d'argilla, perchè un esame accurato consente di riconoscervi il rimpastamento di rottami di mattoni crudi, forse i primi che si avvertano a Roma. Fatto non trascurabile perchè delle strutture suburbane, nelle quali perdurò l’uso di questo materiale, non sappiamo ancor nulla…
Tra i grumi d'argilla rinvenni il frammento di orlo di una coppa in terracotta, la quale doveva avere il diametro di m. 0,15, e porta graffite alcune linee rette, altre serpiginose, e una fitta punteggiatura, che sembrerebbe disposta a figure. Aderivano ad un rottame di embrice alcuni frammenti di un vaso finissimo a vernice nera, decorato tanto internamente quanto all' esterno con fascette bianche filettate di rosso, della tecnica dei vasi di Rodi del VII sec. a.C.
Nello strato delle tegole rinvenni un peso di terracotta grossolana giallastra; è formato a tronco di piramide, alto m. 0,112; ha la base inferiore di m. 0,060 X 0,041, e la superiore di m. 0,038 X 0,029; ha spigoli quasi arrotondati, ed è forato traversalmente, a circa due terzi dell'altezza.
Tra gli avanzi di grossi vasi rinvenuti nel ventesimo strato, noto il fondò e il manico di una aula a engobiatura rossa, un frammento di vaso di bucchero striato, un fondo di anfora a punta piatta, e un pezzo di vaso grezzo senza ingubbiatura (vasa Numae) a orlo increspato a onde, stiacciando l'argilla ancor molle coi polpastrelli delle dita.
Il ventunesimo strato, grosso m. 0,25, di terra battuta, che comprende ghiaia e qualche pezzo di tufo, sembra essere la più antica massicciata a munitio regolare del Comizio ed è pur essa costituita da più strati; la fig. 37 rappresenta quello intermedio glareato; conteneva qualche frammento di tegole e manichi di grosse olle a ingubbiatura rossa; un frammento di orlo di grande ciotola di bucchero greve, un frammento di ansa a nastro di argilla bianca, forse nostrale; varie ossa rotte o tagliate; un astragalo ovino, non logorato; qualche dente o zanna di maiale con incipiente colorazione malachite, dovuta alla vicinanza di un pezzo di aes rude, del peso di grammi 85, tuttora allo stato metallico, e ad un altro frammentino di bronzo, completamente ossidato.
Il ventesimosecondo strato, grosso m. 0,125, è composto di terra carboniosa, contenente qualche ciottolo e frammenti fittili neri d'impasto rozzo; l'attaccatura dell’ansa d'un vaso corinzio d'argilla gialletta di medie dimensioni, l’attaccatura del collo d'un grande dolio, spalmato d'ingubbiatura rossa tanto all'esterno quanto all’interno; frammenti di un altro dolio più piccolo, e varie ossa di animali domestici, tra le quali una scapola ovina.
Il ventesimoterzo strato, grosso m. 0,37, è composto di terra nerastra, compenetrata da ghiaia e con tracce di carbone; contiene frammenti di grossi vasi fittili a ingubbiatura rossa, tra cui quattro attaccature di anse di olpai o olle arcaiche (aulae); una silice piromaca, piatta, a scheggiatura logora; un pezzo di ferro, cementato dalla ruggine con detrito tufaceo e ciottolini, che sembra aver appartenuto ad un ordigno o arma a lama, piatta, spartentesi in due code o asticelle cilindriche; un frammento di vaso italico, del periodo cosidetto laziale, del tipo Villanova, a disegno geometrico, graffito a secco, consistente in meandri allungati, zigzag interrotti. e derivazioni dallo swastika.
Il ventesimoquarto strato, d'argilla sabbiosa gialliccia, è il primo della serie geologica, e sta a m. 9,430 sul livello del mare; il lastricato medioevale del Comizio è il primo strato della serie archeologica in esame; esso, o per esprimermi con maggior precisione, il caposaldo segnato sul piatto a disco marmoreo, che ha il livello medio del lastricato medievale, molto imperfetto di piano e malandato, sta a m. 13,478. La differenza tra le due quote, circa m. 4,04, rappresenta la grossezza sommata dei ventitre strati archeologici, riconosciuti nella esplorazione fatta accanto al pozzo trapezoidale.
Antico spiazzo dove svolgevano le più antiche assemblee dei cittadini (comizi curiati), nell'angolo nord-occidentale del Foro, tra la basilica Emilia, l'Arco di Settimio Severo e il Foro di Cesare. Gran parte della superficie venne poi utilizzata per l'edificazione della nuova Curia Iulia.
Il Comitium era una superficie aperta, per la maggior parte lastricata in travertino, consacrata dagli auguri e orientata secondo i punti cardinali, testimoniata da scrittori antichi e da alcuni resti archeologici, tra i quali vanno annoverati i pozzi rituali, il Lapis niger e i Rostra vetera.