Codice identificativo monumento: 3609
Il convento di Santa Maria della Purificazione al Colle Oppio, viene confiscato dalle autorità francesi e utilizzato come caserma per le proprie truppe. Successivamente la proprietà viene venduta e modificata ad uso civile. Le monache Clarisse ricevono dai Gesuiti un terreno, che possedevano su via Merulana, un tempo Giardino della Casa Professa, dove si trasferiscono.
Mary Elizabeth Field, facoltosa dama di New York, acquistato dal comune di Roma chiesa, convento, orto e giardino di Santa Maria della Purificazione a via Merulana, e incarica Gaetano Koch di ristrutturarli in un Palazzo Nobiliare. Il luogo di culto viene trasformata in un salone della nuova dimora.
Visitando quella parte delle Terme di Tito, che è compresa nelli vigna già dei pp. di s. Pietro in Vincoli, ora della signora Hickson Fieli, ho preso nota di alcuni scavi, fatti colà circa tre anni orsono, dei quali non credo siasi finora data notizia.
Questi scavi sono stati iniziati in tre luoghi diversi; nell'angolo nord-est del tepidario; nell'abside sull'angolo sud-est del recinto termale; e nello spazio libero fra il calidario e l'emiciclo sovrapposto alla domus aurea.
Nell'angolo nord-est del tepidario, sono stati ritrovati molti tronchi di colonne colossali di granito rosa e di granito grigio. Sembra che vi si fosse stabilita nel medio evo un'officina di scalpellino, perchè quei fusti portano traccia di tagli artificiali.
L'abside sull'angolo sud-est del recinto, apparisce spogliata ab antico. Non vi rimane nè meno la traccia del pavimento.
Nello spazio libero fra il calidario e l'emiciclo, sono stati ritrovati avanzi della domus auréa, ma così profondi, e cosi colmi di rottami d'ogni maniera, che l'esplor razione ne fu abbandonata dopo pochi giorni di sterro.
Rodolfo Lanciani
Nella villa Brancaccio, posta fra la via Merulana e la via delle Sette sale, facendosi alcuni movimenti di terra, sono avvenute scoperte di antichità riferibili all'antichissima necropoli esquilina, intorno alle quali il ch. sig. Giovanni Pinza, per incarico avutone dal proprietario della villa duca D. Marcantonio Bran- caccio, ha mandato la relazione che segue. Nell'interesse delle coltivazioni esistenti nel giardino attiguo alla parte più antica del palazzo Brancaccio, essendo stata quivi aperta una fossa si notò sino alla profondità di m. 4,50 un terreno di scarico ricco di cocci romani ed un muro di rozza fattura e di epoca tarda, normale alla fronte del palazzo verso la villa, muro fondato in un incavo praticato nel sottostante terreno vergine.
A poca distanza da questo muro si ritrovò una buca incavata pur essa nel vergine e profonda circa m. 1. Nel fondo giaceva un grosso vaso ovoidale munito originariamente di due anse orizzontali ad anello, rotte e mancanti; questo vaso giaceva su di un fianco, era calzato all'intorno con pezzi di cappellaccio giallastro e chiuso alla bocca con un recipiente a calice, il cui piede penetrava entro il vaso stesso, mentre le pareti aderivano alla sua bocca. Il calice è fatto a mano, ma il vaso più grande fu eseguito al tornio e fu cotto a fuoco libero in alcuni punti infatti la frattura rivela una cottura quasi completa, in altri invece è appena superficiale.
Questo vaso era ripieno di terra di infiltrazione, in mezzo alla quale ho raccolto lo scheletro di un bambino quivi umato. A nord-est di questa buca e a m. 1,30 di distanza, si rinvenne una grande tomba a fossa, identica a quelle ritrovate nel 1884-85 nell'adiacente via Giovanni Lanza. La forma dell'incavo non si potè esaminare direttamente nel taglio delle terre, essendo quelle di riempimento col tempo e con la pressione subìta dall'alto identiche ed ugualmente compatte al terreno vergine in cui la fossa stessa era stata incavata. La sua forma rettangolare si dedusse però dai pezzi di cappellaccio cinereo che originariamente costituivano i fianchi e la volta, i quali si ritrovarono accumulati al disopra della deposizione in uno spazio appunto rettangolare di m. 1,20 X 2.50, che indica con precisione la pianta della fossa il cui fondo si rinvenne a m. 1,80 dalla superficie del terreno vergine.
anto ad una estremità della fossa, verso nord-est, questi pezzi di cappellaccio | costituivano ancora una rozza volta ad aggetto al di sopra del fondo dell'incavo; altrove la volta era crollata ed i cappellacci schiacciavano la terra infiltrata originariamente sotto la volta e giacevano confusamente ammassati. Ma i pezzi disposti intorno ai fianchi del sepolcro posavano a circa m. 0,12 al disopra del fondo della fossa, onde appariva evidente che scavata questa sino a m. 1,68 all'incirca di profondità, si incavò | ‘maggiormente il tratto centrale destinato a contenere la deposizione, lasciando all'intorno nel terreno vergine una risega, sulla quale si disposero i pezzi di cappellaccio destinati a sostenere la rozza volta ad aggetto.
Tolti i cappellacci ho scavato colle mie mani il terreno sottoposto; nel tratto i Verso sud-ovest grattando leggermente il tenue strato di terre accumulate sul fondo, DE ho ritrovato i resti delle ossa lunghe del braccio destro disposte parallelamente al lato lungo della fossa, cioè da sud-ovest a nord-est, ed una parte della clavicola. Questi avanzi umani disorganizzati e schiacciati dal peso sovrapposto erano ridotti ad uno straterello dello spessore di circa un millimetro e si presentavano sotto l'aspetto di un tessuto spugnoso color tabacco chiaro, che al minimo contatto si riduceva in po polvere. Non potei osservare altre tracce dello scheletro e soltanto verso la estremità nord-est dell’incavo rinvenni una falange del piede in discreto stato di conservazione, dovuto al fatto che quivi la volta di cappellaccio era conservata per un piccolo tratto mi è la deposizione perciò non ne era rimasta schiacciata.
Vicino alle ossa si notò ovunque uno straterello di terriccio nero dovuto alla _ decomposizione dei tessuti, ed ovunque fu possibile osservare le tracce sia di questo terriccio nero, sia delle ossa, notai che queste giacevano direttamente sul terreno vergine, cioè sul fondo dell’incavo sepolcrale, il quale saliva leggermente, quasi capezzale, nella estremità sud-ovest occupata dal capo.
Poprio sulla clavicola si rinvenne una grande fibula in bronzo ad arco ingrosA sato, come quella da me riprodotta nel Bu//ettino della Commissione archeologica comunale del 1898 alla tav. IX, fig. 1, ma priva di anelli e fortemente ossidata ; lo spillo poi, rotto in più pezzi, non si potè ricuperare intero. Vicino alla fibula insieme a frammenti informi di bronzo ossidato si ritrovò una fuseruola di terracotta wi equirdi alquanto più verso i piedi, ma sempre sulla linea segnata dai resti delle ossa del braccio destro, un cerchiellino di bronzo o di rame. Ai piedi sotto la volta DE dei cappellacci che quivi aveva resistito ed in mezzo ad un ammasso di terra filtrata sd dall'alto, fra la quale in specie vicino alla deposizione si notarono abbondanti avanzi di sostanze organiche ridotte allo stato di terriccio nero, si rinvenne il vasellame di corredo ripieno pur esso di terra, la quale aveva mantenuto al loro posto i pezzi screpolati dei vasi, i quali pertanto al momento della scoperta conservavano intatte le loro forme e si ruppero soltanto nell'atto di distaccarli dal loro posto, e ciò malgrado le infinite cure poste in questa operazione. Lo scavo di questo gruppo essendo proceduto dalla destra, rispetto al cadavere, verso la sinistra, descriverò gli oggetti nell'ordine in cui si rinvennero.
Primo ad apparire fu un vasetto ad immediato contatto coi cappellacci, rotto anticamente, che non è stato ancora ricostruito, non posso quindi descriverne le forme poi si ritrovò un grosso vaso, entro al quale giaceva una tazzetta con ansa a ponticello ornato alla sommità con due cornetti. Verso l'estremità della fossa e più in alto, si ritrovarono l'uno vicino all' altro deposti di fianco due vasetti: appresso al vaso grande già descritto se ne trovò infine un altro. Tutti questi vasi, come del resto quelli della necropoli preistorica esquilina, sono eseguiti a mano con terriccio argilloso impuro, mal cotto e di aspetto nerastro; soltanto i due tegamini sono meglio cotti ed il colore tende al rosso.
Benchè il principe don Carlo ed il duca don Marcantonio Brancaccio con una liberalità veramente degna di encomio abbiano messo a mia disposizione i mezzi necessarî per trarre il maggior profitto scientifico da questa scoperta casuale, le condizioni del luogo non permisero di seguire un metodo regolare di scavo. Non potendosi aprir la tomba dall'alto, dovetti far scavare una galleria lungo il fianco destro della fossa, e da questa galleria feci togliere al disopra della deposizione i pezzi di cappellaccio che la schiacciavano, aprendo così sopra di essa una larga nicchia che rese possibili ed anzi facili le osservazioni su esposte ed il ricupero del materiale.
I massi di cappellaccio però erano talmente cementati dalla terra argillosa che si era insinuata tra di essi, che fu necessario l'uso della caravina per rimuoverli: ed avvenne che nell' estrarre al di sopra del gruppo dei vasi grossi blocchi di cappellaccio, ritrovai fra le terre cadute insieme a questi ultimi un pezzo di un elegante vasetto protocorinzio con ornati geometrici; ma benchè le terre estratte dalla galleria fossero accuratamente vagliate alla superficie del suolo, non fu possibile ricuperare gli altri pezzi, onde la forma del vaso è del tutto incerta.
Inoltre si intravide la esistenza del sepolcro, solo quando alcuni colpi di caravina già avevano intaccato i cappellacci che guarnivano la fossa nel lato corto corrispondente alla testa del cadavere, ed in specie nell'angolo verso il lato destro della fossa. Nelle terre estratte da quello scavo vagliate alla superficie si rinvenne un rocchetto (cilindro a doppia capocchia) in terracotta con foro trasversale, ed un disco di osso forato nel mezzo, evidente avanzo di una fibula ad arco rivestito appunto con quella materia. Lo scavo procedeva allora in pieno terreno vergine; gli oggetti in questione debbono quindi provenire o da questa fossa sepolcrale, o dalla tomba del bambino che era stata già scoperta ed esplorata.
Ma quest'ultimo sepolcro è stato scavato alla mia presenza ed è da escludersi con certezza che da esso provengano gli oggetti in questione, sia perchè non si ritrovarono nelle terre infiltrate entro il vaso che conteneva la deposizione, sia perchè è impossibile che facesse parte dei corredi di un bambino una fibula così grande come è quella cui accenna il disco di osso sopra descritto. Questi oggetti adunque provengono dal grande sepolcro a fossa, e dovevano giacere all'angolo tra la testa e la spalla destra del cadavere, unica parte del sepolcro sino allora intaccata; e del resto corrispondono benissimo cronologicamente all' altro materiale, che io con ogni cautela ho raccolto nel sepolcro medesimo.
Per l'assieme del materiale questa tomba trova perfetti riscontri in quello delle altre sepolture della necropoli esquilina che da qualche tempo sto studiando e come queste spetta al secondo periodo laziale, che corrisponde alla fase più recente del periodo di influenze ionico-fenicie. Questo ritrovamento è poi importante poichè dimostra all'evidenza che la necropoli rinvenuta tra S. Martino e via Merulana si estendeva entro l'attuale Villa Brancaccio; onde è certo che altre tombe inesplorate giacciono sia nella via delle Sette Sale, sia nel terreno interposto tra questa e la Villa Brancaccio.
Nel chiudere questa relazione ringrazio in nome della scienza che coltivo il principe don Carlo ed il duca don Marcantonio Brancaccio per le cure intelligenti rivolte ad assicurare alla scienza i risultati di queste nuove ed importanti scoperte e per la fiducia in me riposta; e termino esprimendo il voto, che dal Comune di Roma sia esplorato quel piccolo tratto di terreno che è interposto tra la Villa Brancaccio e la via delle Sette Sale, dove si celano certamente delle tombe preistoriche, le quali potrebbero non solo accrescere considerevolmente le raccolte preistoriche del Museo capitolino, ma aumentare anche il valore del materiale ivi già conservato e proveniente appunto da questa parte della necropoli esquilina, che, a giudizio di molti, non fu scavata con quelle cautele e con quei metodi che sono richiesti dai moderni intendimenti della scienza.