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Codice identificativo monumento: 38
Costruzione di un Tempio al foro boario commissionata da un ricco mercante, Marco Ottavio Erennio che lo dedica ad Ercole protettore degli oleari.
Restauro del Tempio di Ercole olivario dopo un alluvione al foro boario. Vengono ricostruite undici colonne e nove capitelli in marmo apuano di Luni.
Il tempio di Ercole olivario al foro boario viene consacrato e convertito in chiesa dedicata a Santo Stefano delle Carrozze. Si provvede alla chiusura degli intercolumni.
Papa Innocenzo II invia una bolla al “dilecto filio Alberto presbitero ecclesia e S. Stephani rotundi…” nella quale si dice: “quia vestra ecclesia S. Stephani rotundi occasione guerrae nostri apostolatus a scismaticis fere distructa est”. Prima menzione della chiesa di Santo Stefano delle Carrozze, costruita riutilizzando le strutture del tempio di Ercole olivario al Foro boario.
Secondo la tradizione popolare, sui margini del Tevere, viene ritrovata un'immagine della Madonna da cui partiva un raggio di sole. La sacra immagine viene posta all'interno della chiesa di Santo Stefano al foro boario, che cambia nome in Santa Maria del Sole.
Giuseppe Valadier viene incaricato da Guy de Gisors, ispettore generale del Conseil des bâtiments civils, di liberare dai detriti nel Foro Romano e in quello di Traiano. I lavori, che rientravano negli interventi previsti dal piano d'impiego dei poveri per pubblica beneficenza, durarono tre anni e riguardarono: l'area del tempio di Antonio e Faustina, i templi del Foro Boario, il Velabro, l'area del Tabularium e il Colosseo.
Demolizione nel del casamento settecentesco ubicato alle spalle della chiesa di S. Maria Egiziaca per realizzare la strada d’accesso al Lungotevere dei Pierleoni.
Con lettera ministeriale del giorno 11 settembre 1895 il ch. sig. ingegnere Domenico Marchetti fu incaricato di sopraintendere ai lavori occorrenti per isolare e mettere in miglior vista l'antico tempio rotondo, detto volgarmente di Vesta, in piazza della Bocca della Verità. Per tale scopo si progettò la costruzione di un muro circolare alla distanza di otto metri dal peristilio del tempio; il quale muro nella parte anteriore sarà sormontato da una ringhiera di ferro, e nella posteriore dovrà essere elevato fino a raggiungere il piano del Lungo Tevere, appoggiandovi due rampe di scala da svilupparsi nella intercapedine, posta fra il nuovo muro di cinta e quello di sostegno del Lungo Tevere.
Nello scavo per la fondazione del predetto muro di cinta, cominciato dal lato verso il Tevere, sono stati rimessi in luce alcuni muri antichi, parte in opera reticolata e parte in laterizio, ed inoltre un pavimento ad opera spicata, che trovasi alla profondità di m. 1,20 dalla base del tempio. Sotto questo pavimento si scoprì un' antica fogna, di forma rettangolare, costruita in pietra albana e coperta con blocchi della stessa pietra. Ha la luce di m. 0,33 X 0,60, con sponde grosse m. 0,27.
Proseguitosi lo sterro dal lato rivolto all'Aventino, si rinvennero alla medesima profondità molti vasetti fittili, piattelli e lucerne a vernice nera, di fabbrica detta etrusco-campana, simili a quei numerosi che negli anni decorsi furono trovati nelle sepolture aracaiche dell’Esquilino. Sul fondo esterno di una di quelle lucerne si legge graffito in rozze lettere il nome: CNOCTAV
Nello stesso luogo si raccolsero alcuni pezzi di mattoni, che portano impressi i bolli C.I.L. XV, 525b, 408b, 1229, ed un frammento di lastra marmorea di m. 0,12X 0,10, su cui resta: fecit siBI ET SV SVis libertis libertabuSQVE PO sterisque EOrum
Procedendo lo scavo sul lato sinistro del tempio, verso la piazza della Bocca della Verità, a circa m. 2,50 sotto il suolo attuale si trovò: una caldaia di rame, in cattivo stato di conservazione, alta m. 0,10, diam. m. 0,26; un'accetta di ferro;una dozzina di monete di bronzo, di varia grandezza, tra le quali una dell’imp. Massimino ed un'altra di Antonino Pio, benissimo conservate.
Da un muretto moderno poi fu tratto un pezzo di lastrone marmoreo, lungo m. 1,03, largo m. 0,48, grosso m. 0,25, sul quale si legge: O OLIVARIVS OPVS SCOPAE MINORIS
Questo monumento, di. non comune importanza, appartiene alla serie dei titoli che nel secondo o terzo secolo dell'impero furono scritti nel plinto di alcune statue più insigni, per ricordarne l’autore. Erano conosciuti finora quelli che indicavano: opus Prazxitelis ed opus Fidiae nei cavalli marmorei del Quirinale, opus Bryacidis, opus Polycliti, opus Pranitelis, opus Timarchi, opus Tisicratis su zoccoli marmorei, rinvenuti in luoghi diversi della città (C. Z Z. VI, 10038-10043). Tutti questi titoli sono similissimi fra loro, e presentano il medesimo tipo di caratteri, tanto che possono credersi incisi tutti da una sola e medesima mano, come ebbe occasione di mostrare il ch. de Rossi (Bull. arch. comun. 1874, p. 176 sg.). Quello testè recuperato è perfettamente simile agli altri nella forma e nella scrittura; ma presenta due novità, che ne accrescono grandemente il pregio.
Intorno a questo importante monumento il ch. prof. Petersen ha avuto la cortesia di comunicarmi le osservazioni che seguono:
Innanzi tutto è da osservare, che la base mentre presenta intiero il lato destro, è mancante dal lato sinistro. Il taglio di giuntura della pietra e l’incavo della metà di una grappa che vedesi nel mezzo del margine più corto, sono indizî certi che la base consisteva di due pezzi, probabilmente eguali fra loro. Quindi, la parte conservata essendo lunga m. 1,05, la base intiera avrebbe avuto la lunghezza di poco più di due metri, mentre la larghezza è di m. 0,48, non compreso il listello scheggiato.
Per conseguenza l'iscrizione, che finisce a m. 0,33 dall'estremità destra della pietra, mentre a sinistra incominciava forse senza lacuna dal margine sinistro, doveva estendersi nella parte ora perduta per uno spazio certo non minore di quello che occupano le lettere superstiti: ed in ciò la nostra base alquanto si discosta dalle altre cinque simili fino ad ora conosciute, « le cui epigrafi recano soltanto i nomi dei loro insigni greci autori », come fece notare il de Rossi (o. c. p. 179).
L'iscrizione stessa per il nome Olzvarius ricorda subito l'Herculem olivarium, che i regionarii del secolo IV annoverano nella regione XI di Roma, dopo Apollinem caclispicem, fra la porta trigemina ed il Velabrum. Ora, se non si vuole ammettere il caso strano, che un cognome così raro ed eccezionale come O/;varius siasi trovato nello stesso luogo, cioè nelle adiacenze del circo verso sud, scritto due volte, bisogna convenire che la nostra base debba precisamente riferirsi a quel simulacro, che era noto col nome di Hercules olivarius.
Nel qual caso, tenuto conto della quantità di lettere da supplire, l'epigrafe potrebbe restituirsi: Hercules invictus cognominatus volgO OLIVARIVS, OPVS SCOPAE MINORIS
Per spiegare il cognome dell'eroe si potrebbe pensare alla éZ@ia xaAMiotspavos di Olimpia, la quale, secondo la tradizione di quel luogo sacro, egli avrebbe arrecato dagli Iperborei, e con un ramo della quale si vede effigiato sepra un disco di marmo del Museo nazionale di Napoli.
Ma credo piuttosto, che tale cognome di Ercole possa essere derivato dalla prossimità del mercato delle olive; come per simile ragione pare che abbia preso il suo nome l'Zlefantus herbarius. In fatti al portatore del ramo sacro poco converrebbe la forma della statua, quale a motivo delle dimensioni della base sopra indicate deve darsi all'ereules olivarius; perocchè sarebbe stata troppo larga quella base per una fisura che fosse stata rappresentata o in piedi ovvero seduta, mentre sarebbe stata proporzionata per una figura giacente, modellata cioè nel modo stesso con cui dovè essere rappresentato l’Ercole della Regione XIV, appellato perciò cudans.
In quanto al nome dell'artefice che scolpì la statua, debbo notare che il distintivo minor dato a Scopa c'insegna, come in quell'epoca due scultori di questo nome fossero conosciuti. Nell’archeologia odierna, invece, si parla di tre. Il primo è il celebre maestro del secolo IV av. Cristo. Un secondo, dell'isola di Paro, fu padre e quindi facilmente scultore anch'esso di uno scultore nominato Aristandro. Egli è noto soltanto per alcune iscrizioni trovate nell'isola di Delo ; visse nel secolo I av. Cristo, e secondo probabile congettura discendeva dal grande Scopa. L'esistenza poi di un terzo scultore dello stesso nome, che sarebbe anteriore ai primi due, si è voluta dedurre dal sincronismo di Plinio (N. Y. 34, 49), ove sotto l’olimpiade XC si uniscono Polyclitus, Phradmon, Myron, Pythagoras, Scopas, Perellus.
Quest'ultimo Scopa però, che è molto da dubitare se abbia realmente esistito, difficilmente si vorrà credere l'uno dei due noti in Roma, perchè a lui dovrebbe darsi il distintivo di maior, ed il celebre Scopa diventerebbe il m27%0r. Questi invece potrebbe giustamente considerarsi il mazor, nel duplice senso della parola, se sotto l'appellazione di minor s'intendesse il padre di Aristandro. In fatti l’opus Scopae minoris fu una statua di marmo, come si deduce dalla mancanza di ogni traccia di impiombatura nella superficie della base, restando solo la grappa che fa credere esservi stata posata sopra la statua col proprio plinto. E per non dare una giacitura troppo bassa all’Ercole olivario coricato, la sua base deve immaginarsi posta sopra un conveniente piedistallo; di cui pare che si abbia indizio nel foro praticato sul piano inferiore della base stessa, precisamente sotto quello che ha servito nel lato opposto per la grappa anzidetta.
Giuseppe Gatti.
In occasione dell'VIII annuale dell'era fascista, Il Duce Mussolini inaugura il tratto urbano della via del Mare, che partendo dai piedi del Campidoglio (già via Tor de' Specchi, oggi via del Teatro di Marcello) si riallacciava al tratto autostradale già realizzato verso Ostia.
Iniziano restauri al tempio di Ercole olivaro al foro boario.
Terminano i restauri al tempio di Ercole olivaro al foro boario. Rifacimento completo di uno dei capitelli parzialmente distrutti e restaurati da Valadier e ricostruzione del tetto.
Di impianto periptero (circolare con cella interna) e monoptero (con un colonnato unico circolare) ha un diametro di 14.8 metri. Il marmo originario usato per l'opera è greco proveniente dal Monte Pentelete, presso Atene.
Si erge su una fondazione ad anelli di blocchi di cappellaccio a loro volta su una piattaforma in blocchi di tufo di Grotta Oscura.
La parte centrale è circondata da venti colonne scanalate alte 10.6 metri con basi attiche e capitelli corinzi. Undici colonne e nove capitelli risalgono al restauro di epoca tiberiana e sono riconoscibili perché in marmo apuano di Luni (dove la foglia di acanto risulta molto meno incise rispetto agli originali).
La cella era coperta da tetto conico ribassato che richiama il modello delle tholoi greche.
Il riconoscimento è stato possibile grazie a un’iscrizione (CIL VI 33936) degli inizi III secolo d.C., trovata presso il tempio alla fine dell’800 e in parte integrata: [Hercules Victor cognominatus vulg] o Olivarius opus Scopae minoris. Fu costruito da Marcus Octavius Herrenus, un mercante romano arricchitosi col commercio di olio, che dedicò la decima a Ercole costruendo il tempio e la statua di culto: Ercole era infatti il patrono della corporazione dei mercanti d’olio, gli olearii, e non è casuale la costruzione del tempio nel luogo del mercato e degli scambi commerciali prossimi al fiume. Architetto dell'opera, Hermodorosdi Salamina, la statua della divinità scolpita da Skopas minore.
1896
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1896
Ettore Roesler Franz
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Roma sparita
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Studi del Tempio di Vesta
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Templum Olim Vestae in ripa tiberis
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