Data: 1888 / 1910
Codice identificativo monumento: 544
Re Umberto I partecipa alla posa della prima pietra del Palazzo di Giustizia ai prati di Castello.
Il giorno 10 maggio, nei disterri per la costruzione del palazzo di Giustizia, alla profondità di m. 8 sotto il piano del nuovo quartiere ed alla quota di m. 11 sul mare, furono scoperti due sarcofagi, messi fianco a fianco, in direzione quasi parallela all'asse del nuovo edifizio.
I sarcofagi erano collocati nel terreno vergine, che è marna fluviatile fangosa, nel fondo di un pozzo, scavato espressamente per l'occasione, e poi colmato coi materiali stessi dello scavo. Attorno per largo spazio non sì è visto che limo del Tevere e marna pura, senza traccia di sepolereto. Rimosse le sabbie entro le quali i monoliti si trovavano adagiati, si riconobbero i seguenti particolari.
Il primo sarcofago lungo m. 1,93, largo m. 0,56, alto 0,41, ha la fronte baccellata in un verso solo, e coperchio fastigiato con antefisse da un lato, e battente scorniciato dall'altro. In una delle testate del coperchio leggesi, a caratteri leggermente rubricati, il nome: Crepereia Tryphaena.
Nella corrispondente testata della cassa, sotto la scritta, è incisa in bassissimo rillevo una scena allusiva alla morte della fanciulla. La quale vi è rappresentata sul letto funebre con la testa appoggiata sulla spalla sinistra. Sulla sponda del letto dalla parte dei piedi, è seduta una matrona velata con lo sguardo fisso sulla defunta. Presso il capezzale una figura virile, clamidata, atteggiata a dolore.
Il secondo sarcofago, anch'esso di marmo, ma liscio da ogni parte, è lungo m. 1,98, largo m. 0,51, alto senza il coperchio m. 0,36. Porta scritto, o piuttosto graffito nella testata il nome: D M CREPEREI EVHOD
Il nome scritto da principio in caso dativo, fu volto in caso genitivo mediante la sbarra verticale, che dà all'ultima lettera l'apparenza di un g. Ciò si deduce dall'osservare, che l’asticciuola verticale è rubricata come tutte le altre lettere, mentre la O non porta traccia di minio. Questo secondo sarcofago conteneva il solo scheletro, senza alcun oggetto od ornamento della persona.
Il primo sarcofago, che fu trovato chiuso con grappe di ferro impiombate, era pieno di acqua, attraverso la quale appariva lo scheletro con tutti gli ornamenti. Il cranio era leggermente rivolto verso la spalla sinistra, e verso una gentile figurina di bambola, intagliata in legno di quercia, di cui si dirà qui sotto.
Tanto desumo da un rapporto del prof. R. Lanciani, inserito nel Bullettino della Commissione archeologica comunale (maggio 1889, p. 173-178). Degli oggetti trovati nel sarcofago in parola il ch. comm. Augusto Castellani diede la descrizione seguente, inserita nel Bullettino sopra citato.
Un terzo sarcofago fu rinvenuto a m. 3,70 sotto l'attuale piano di campagna, e misura m. 2,05X0,66X 0,555. Di questo così riferì l'ingegnere degli scavi d Marchetti.
Era composto di lastroni di marmo, uniti nelle testate con grappe di ferro. Il coperchio formato da grosso lastrone di travertino, di m. 2,15 X 0,70 X 0,20, era lavorato nella faccia interna, e senza dubbio faceva prima parte della composizione di un soffitto, decorato e intagliato a lacunari, spettante ad altro monumento. La testata superiore del sarcofago decorata a graffito, rappresenta un canestro di fiori e frutta. La fronte è baccellata, con tre figurine di pessima modellatura. Lo scheletro contenutovi era intatto, e giaceva supino rivolto a sud. È lungo m. 1,80. Esplorato il fondo non vi si trovò alcun oggetto.
In altri sterri, che si eseguiscono per la fondazione del citato palazzo di Giustizia, oltre i sarcofagi superiormente descitti, sono stati raccolti i seguenti oggetti: Statua marmorea, togata, mancante della testa, delle braccia e di parte del panneggiamento.
Parte superiore di un candelabro di marmo. Parecchi frammenti di lastre e rocchi di colonne di marmi diversi colorati. Quattordici frammenti di fregi in terracotta. Varie lucerne comuni, e tubi fittili. Due tubi acquarî, in piombo, con la leggenda: a) c. c|RISPI PASSIENI e b) ... post|VMIVS FELIX FEC
Parte superiore di una basetta di marmo, che conserva il principio della dedicazione: PRO SALVTE D N M AVRELL.
Giuseppe Gatti
Alla sala degli Orazi e Curiazi al Campidogli, si inaugura il primo Congresso nazionale delle donne italiane. Partecipa la Regina Elena. La riunioni dura otto giorni e si svolgono al Palazzo di Giustizia. In onore delle congressiste, viene organizzato anche un garden party a Palazzo Margherita.
Inaugurazione del Palazzo di Giustizia, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III:
"Dopo un anno da che vi sono insediati magistrati ed avvocati, fu solennemente inaugurato, dal Re, dai ministri, dagli alti poteri e rappresentanze dello Stato, il colossale Palazzo di Giustizia, opera del Calderini, la cui prima pietra fu posta il 14 marzo 1888 dal compianto re Umberto, auspice Giuseppe Zanardelli, ministro guardasigilli che fu l'anima volitiva del mastodontico edificio, che doveva costare 8 milioni, ed oggi non è ancora finito e ne costa già 35 e, a cose finite, ne costerà almeno 40!. I preventivi degli architetti sono famosi per gli aumenti che subiscono strada facendo; ma l'aumentare cinque volte tanto è un vero record.
La cerimonia avrebbe dovuto svolgersi nell'aula massima del palazzo, al primo piano, ma non sendo ancora ultimati gli affreschi del Maccari, quale è attualmente ammalato, si dovette adattare per la circostanza il grande ambulacro che si apre dinanzi alla porta dell'aula massima, a cui fanno capo le due rampe dello scalone centrale d'onore. Il vasto ambulacro venne trasformato in una sala d'udienza, chiudendo ai due lati gli amplissimi archi con due grandi cortinaggi di velluto cremisi.
In terra fu disteso un tappeto rosso; presso la porta dell'aula massima, fra i due colonnati, vennero disposti ì banchi della Corte, e nel centro dell su di un magnifico tappeto persiano, la poltrona reale: dietro ad essa due lunghe file di poltrone per i ministri e le alte cariche dello Stato. Lo spazio rimanente era destinato per gli invitati.
La Corte di Cassazione entrò nel recinto preceduta dai mazzieri: Il primo presidente, i procw toriì generali, i presidenti di sezione e l'avvocato pepeale vestivano la toga di velluto rosso, con batolo a strascico e le maniche soppannate di raso rosso. La toga e il batolo del primo presidente, del procuratore generale e dell'avvocato generale erano soppannati d'ermellino. I consiglieri vestivano pure la toga di velluto rosso e il cancelliere la toga di panno rosso, producendo un magnifico effetto.
Pure di molto effetto il gruppo dei magistrati minori in toghe nere a frange d'oro e dei 500 avvocati del Foro di Roma tutti in toga.
Gli invitati erano oltre un migliaio, fra cui numerose ed elegantissime signore. I ministri portavano l'uniforme di cerimonia con la feluca piumata.
La nota più modesta era data dal Re, che giunse in piccola tenuta di generale, in una vettura di mezza gala scortata e seguita dai corazzieri. Non essendo ancora finito il grande scalone di accesso, il Re salì per una delle rampe laterali. Appena il sovrano ebbe preso posto, si avanzò il suo discorso; al quale tennero dietro i discorsi del procuratore generale della Cassazione, Oronzo Quarta, del primo presidente, senatore Pagano Guarnaschelli, dell'avvocato generale erariale, De Cupis, e dell'avv. Lupacchioli presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati.
Dopo i discorsi il Re compì la visita del palazzo, seguìto da un codazzo di invitati, i quali commentavano le vicende, ancora evidenti, del grandioso edificio, senza dubbjo imponente, ma per molti aspetti inadeguato e manchevole; e sulla cui costruzione pende davanti alla Camera una domanda di inchiesta firmata da quaranta deputati; mentre la relazione Cao-Pinna per lo stanziamento immediato di altri tre milioni formula nuove critiche severe. L'architetto Calderini, autore dell'edificio, comparve un momento alla cerimonia, poi si allontanò, la direzione dei lavori essendo tutt'ora in mano al Genio Civile, cui la volle affidata il Bertolini, quando era ministro dei lavori pubblici."
Nell'aula magna della Corte di Cassazione, è in programma il processo al ex Questore Pietro Caruso, accusato di corresponsabilità in decine di omicidi perpetrati dai repubblichini e forse di occupazione tedesche. Prima dell'apertura del tribunale una folla, tra cui molti parenti delle vittime, si era radunano davanti all'edificio. In qualità di testimone per l'accusa, compare in aula il direttore del carcere di Regina Coeli, Donato Carretta. Alcune persone presenti lo accusano della morte dei detenuti all'interno del carcere. In realtà, secondo anche un attestato fornitogli da Pietro Nenni, nell'imminenza della liberazione aveva collaborato attivamente con il Comitato di Liberazione Nazionale. La folla inferocita trascina Carretta fuori dal Tribunale, e presso le rotaie della linea tramviaria, cercando di farlo investire. Il conducente del primo mezzo in arrivo, si rifiutò però di fare proseguire la macchina, bloccando i freni e allontanandosi con la manovella in tasca. Carretta viene allora gettato nel Tevere, dove muore a causa dei colpi di remi sferrati da alcuni barcaroli accorsi. Il cadavere viene successivamente recuperato e appeso alle sbarre di una finestra del carcere di Regina Coeli.
1910
Il Nuovo palazzo di Giustizia
L'Illustrazione Italiana 1910
1900
Concorso per le sculture del Palazzo di Giustizia
L'Illustrazione Italiana 1900
1893
Dante Paolocci
Lavori al palazzo di Giustizia
L'Illustrazione Italiana 1893
1889
Nuovo Palazzo di Giustizia
L'Illustrazione Italiana 1889
1889
Dante Paolocci
Posa della prima pietra del Palazzo di Giustizia
L'Illustrazione Italiana 1889
1886
Progetti per il Nuovo Palazzo di Giustizia
L'Illustrazione Italiana 1886