Data: 356 / 1830
Codice identificativo monumento: 55
28/4/357: L’imperatore Costanzo II celebra il ventennale della sua assunzione all’Impero (vicennalia) a Roma in una visita ufficiale. Per celebrare l'evento porta a Roma un obelisco, eretto a Tebe nel XV secolo a.C. dal faraone Thutmosi III. Sbarcato al porto fluviale presso la via ostiense, viene collocato al Circo Massimo. In suo onore viene realizzato un arco quadrifronte presso il vicino velabro e la zona degli argentieri.
18/3/1145: Cencio Frangipane acquistano dai Monaci di San Gregorio una proprietà nei pressi delle rovine del Settiziono e la Torre della Moletta. L'Arco di Costantino e di Tito sono trasformati in accessi alla cinta muraria del Campo Torrecchiano.
1827: Restauri all'Arco di Giano. Viene demolito Viene demolito il piano attico ed il tetto piramidale in opera laterizia, ritenuti a torto parte della fortificazione medioevale impiantata sopra la struttura romana.
L'edificio è realizzato in mattoni, con tecnica a sacco e rivestito in marmo. Viene citato nei Cataloghi Regionari (registro degli edifici della città compilato nel IV secolo d.C.), come Arcus Divi Constantini.
L'arco è stato infatti costruire Costanzo II, in concomitanza con connessione una sua visita a Roma, in funzione onoraria. Nella vicina chiesa di San Giorgio in Velabro si conservano alcuni frammenti di un'iscrizione monumentale (riutilizzati come blocchi di muratura e in parte per rilievi medioevali) che potrebbe essere quella presente nel'attico dell'arco. Ci sono riferimenti a un tiranno sconfitto da un imperatore e potrebbe riferirsi a Costanzo II e alla sua vittoria su Magnenzio. Certamente ha comunque avuto anche funzione di struttura coperta, destinata ai banchieri che operavano nel Foro Boario.
Rispetto ai precedenti modelli, utilizza una pianta quadrata di 12 metri per 16 metri di altezza, con quattro pilastri di sostegno coperti da una volta a crociera su cui poggiava un alto attico.
Nei piloni vi sono 28 nicchie che ospitavano statue, inquadrate da edicole con piccole colonne (oggi perdute) e poggianti sui cornicioni. Coperte da una semicupola a conchiglia scolpita nei blocchi di marmo del rivestimento, sono 12 su ogni faccia Est ed Ovest e 2 su ogni faccia Nord s Sud perchè le altre 10 sono finte.
Gli unici resti conservati della decorazione scultorea sono rappresentati dalle quattro figure femminili sulle chiavi di volta. Si riconoscono con sicurezza la dea Roma sul lato orientale e Minerva sul lato settentrionale. Incerta l'identificazione delle altre due figure, forse Giunone e Cerere.
Dal XVI secolo gli studiosi di antiquaria lo iniziano a chiamare Arco di Giano, forse interpretano i quattro ingressi dell'arco come la specularità delle due facce della divinità. o derivando il nome dalla voce latina 'ianus' che significa 'passaggio coperto'.