Informazioni storiche

Informazioni storiche artistiche sul monumento

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Codice identificativo monumento: 5507

Cronologia

9/1906

Relazione di Giovanni Pinza su i saggi di scavo compiuti a due riprese lungo il gomito dell'antica via Appia, al V miglio dalla porta Capena.

I monumenti posti ora in luce, completamente trascurati dal Canina, come lo prova il confronto della pianta edita da quest'ultimo col grafico riprodotto nella tav. qui unita, dovuto alle cure dell'Ufficio tecnico per la conservazione dei monumenti, si possono classificare in diverse categorie; si rinvennero infatti delle tombe e delle fabbriche di carattere pubblico, fu esaminato il tracciato e le varie strutture stradali succedutesi dai tempi di Appio Claudio in poi, ed infine furono compiute delle ricerche nel grande recinto ad occidente della via, in cui la maggior parte dei topografi hanno riconosciuto un ustrino.

Alle due estremità del gomito stradale, e quindi anche del campo delle attuali ricerche, ad occidente della via, restano i nuclei di due grandiosi sepolcri ambedue della fine della Repubblica o del principio dell'impero. Quello a sud (C), attribuito sino ad ora agli Orazi ed ai Curiazi; si eleva da una platea discoidale di calcestruzzo fondata sulla roccia silicea, la quale platea verso oriente termina con un margine rettilineo (e, 2) parallelo alla via e ad una fondazione (e, 4)interposta tra quest' ultima ed il margine stesso, la quale dovette sostenere la estremità di una gradinata ornamentale ascendente dal piano dell'area sino alla cornice dello zoccolo o basamento del tamburo che costituiva il nucleo del monumento, sormontato da un tumulo terragno, sul cui vertice posava un pinnacolo. Lo zoccolo girava a cerchio ovunque tranne in corrispondenza dell’avancorpo ove era rettilineo per innestarvi la gradinata, rettilinea pur essa; le pareti del tamburo erano invece interamente cilindriche sormontate dalla cornice di coronamento.

Riguardo alla struttura le pareti del tamburo erano costituite da conci irradianti di travertino sorretti verso l'interno da una muratura a calcestruzzo di selce, elevata a strati anulari uguali per potenza all'altezza del rispettivo filare di travertino al quale ciascuno era addossato; all’esterno del muro anulare di travertino, per mezzo di cramponature metalliche, era fissato il rivestimento in marmo bianco, liscio nello zoccolo desinente in una cornice a sagoma piuttosto antica, a bugnato piano nei fianchi del tamburo, a sagoma semplice nella cornice di coronamento. Ignoro se tra questa e la testata del tamburo fosse frapposto un fregio; sulla fronte del tamburo, verso la via, era innestato nel bugnato uno specchio, parimenti di marmo, in cui era incisa una iscrizione monumentale, della quale ho ritrovato soltanto poche lettere.

Nel mezzo del tamburo poggiava sulla platea di fondazione un gran dado di peperino munito di un incavo cilindrico destinato a contenere la deposizione, il quale incavo era stato poi chiuso alla bocca con una volta piatta di calcestruzzo di selce a grosse scaglie. Nel porre in opera il blocco di tufo lo disposero, per errore, colla cavità eccentrica rispetto al rivestimento del tamburo e per correggere questo difetto sopraelevarono eccentricamente rispetto all'incavo cilindrico il torrione tronco conico (c) destinato a sopportare il pinnacolo al vertice del tumulo terragno originariamente imposto al tamburo già descritto. Il Canina ritenne che questo torrione, costruito in opera a sacco di tufo, fosse medioevale, ma a dimostrarne l’età più antica concorre colla sua funzione strettamente in rapporto colla restante fabbrica, anche la cappa impermeabile in coccio pisto che ne riveste la superficie esterna per impedire all’interno le filtrazioni dell’acqua assorbita dal tumulo.

Intorno alla platea di fondazione, poggiata sul vergine e solidamente costruita, si notano i resti di un'altra assai meno solida, destinata a sostenere i blocchi di peperino che costituivano il piano di posa del pavimento dell'area in cui si ergeva il sepolcro. Verso la fronte questi blocchi erano stati tutti divelti e quasi tutti asportati insieme ai travertini ed ai marmi del monumento, verso il campo la platea si ritrovò ancora intatta nei pozzi di saggio (c, 8) ivi aperti.

L'altra tomba D è stata studiata dal Canina; non avendovi praticato nuovi scavi all'interno, mi rimetto ai dati raccolti da quell’architetto, il quale ebbe la fortuna di vedere e disegnare molti frammenti del rivestimento marmoreo oggi scomparsi. Di epoca più tarda sono alcuni sepolcri costruiti originariamente sul margine occidentale (H, 1-3; I, 4-3; K; L, 3) di un viottolo, che in questo punto continuava quasi il tracciato rettilineo dell'Appia, partendo dal principio del gomito (H, 1) e ritornandovi al suo termine (L, 3). Una di queste tombe (G) è a camera, le altre (E, F), sono a fossa coperte una con un lastrone di marmo, l'altra alla cappuccina con tegoloni, i cui bolli ne dimostrano l'età non anteriore al 138 a. C. Questi sepolcri, in parte già noti (C-D), in parte di recente rinvenuti, non spiegavano affatto il gomito dell'Appia, le cui cause mi apparvero negli sterri eseguiti nel tratto intermedio della via.

Il sepolcro D era stato costruito a danno di un recinto (B) a filari di blocchi di tufo, collegati con cramponature metalliche e fondati su di un basamento di calcestruzzo sporgente alquanto dai piedi del muro, il quale per ciò, malgrado poche tracce di più recenti restauri, appariva di molto più artico del sepolero D. L'orientamento della fronte (B, B, 2) parallelo alla curvatura della strada, lasciava. supporre che a questo monumento, preesistente alla via, si dovesse lo svolto di quest'ultima; ma il gomito sporgeva assai più di quanto sarebbe stato necessario per rispettarla. Ciò m'indusse ad aprire una trincea alla maggiore sporgenza del gomito stradale, ove ho ritrovato il sepolcro A, del quale ho potuto osservare gli avanzi di due ricostruzioni diverse.

Della più antica (a-a) resta soltanto una parte del nucleo centrale in calcestruzzo, originariamente elevato sul piano di campagna, ivi più basso di circa m. 2 da quello della strada, anticamente sopraelevata su di un nucleo di riporto per farla trascorrere in piano attraverso al piccolo valloncello, in fondo al quale fu costruito quell'antichissimo sepolcro. Questo era già in ruina quando fu costruita la strada, il cui nucleo artificiale gli fu addossato al lato orientale, ricoprendolo, ed in quella circostanza ne fu costruito al disopra un altro più piccolo (0-8) orientato diversamente dal primo, evidentemente in rapporto colle crepidini della nuova strada, e costruito coi vecchi conci del monumento «-4, come lo provano i resti degli intagli per le più antiche cramponature.

Il recinto B evidentemente racchiudeva un'area sacra, forse destinata in origine a scopo sepolcrale. Le ruine A spettano ad un antichissimo sepolcro ed il luogo e la venerazione in cui era tenuto, dimostrata dalle ricostruzioni successive, in confronto coi dati topografici tramandati da Livio, provano che questa è una delle tombe che ai tempi di quello scrittore ancora si attribuivano comunemente agli Orazi ed ai Curiazi, morti, secondo la leggenda, nel combattimento singolare al V miglio dell'Appia ed ivi sepolti. L'origine di questa leggenda è relativamente assai antica poichè sostanzialmente, i dettagli poterono variare, doveva essere già diffusa quando Appio Claudio Censore fece costruire la via che da lui prese il nome e già allora doveva essere localizzata intorno agli antichi monumenti A-B dei quali ho ritrovato gli avanzi.

Negli spazi di terreno lasciati liberi dalle costruzioni A, B, C, D si impiantarono e quindi si estesero a danno dei sepolcri più recenti (G, E, F), meno importanti le fabbriche H-L il cui carattere publico è appunto da ciò già sufficientemente dimostrato.

Originariamente la fronte di queste fabbriche era costituita da muri di sostegno H, 1-8, eretti lungo il margine occidentale del viottolo parallelo alla via; l'accesso doveva quindi trovarsi lateralmente sul diverticolo antico che sboccava nel viottolo, tra le fabbriche H ed I e serviva alle comunicazioni tra l'Appia e la via parallela alla medesima scoperta a Tor Carbone, identificata dal Lugari coll’antica Patinaria. A mezzogiorno della tomba A il viottolo sboccava nuovamente sull'Appia, piegando alquanto ad oriente; ciò spiega la corrispondente inclinazione dei muri frontali della fabbrica K, L, 8, le cui ricostruzioni sono ancora orientate col viottolo stesso.

A questo primo stato delle fabbriche H-L, il cui piano era presso a poco a livello dell'Appia e perciò più alto di quello del viottolo, che seguiva ivi l’avallamento del terreno, ne succedette un altro in cui le fabbriche stesse, mediante degli avancorpi H, 4, 6, 4, <, furono ingrandite sino al margine dell'Appia, occupando il viottolo, e munite così di accessi (I, 7; H, 7) aperti direttamente sulla via. Una parte delle fabbriche (K, L, 3), il cui orientamento obliquo rendeva difficile l'adattamento alla strada, in un momento dato minacciarono ruina e furono sostituite allora da quelle M costruite secondo il nuovo orientamento.

Le fabbriche di cui ho dovuto riassumere per sommi capi la storia, mancandomi in queste Notizie, lo spazio necessario per esaminare la posizione relativa dei singoli muri, dalla quale dipendono le precedenti conclusioni, non sono certamente resti di ville, mancandovi completamente i caratteri precipui di queste ultime; se si considera che hanno occupato delle aree sepolcrali (cfr. F, E) e demaniali (accenno con ciò al viottolo) se ne deve dedurre che ebbero carattere pubblico, e dato il luogo in cui furono erette lontano da ogni centro abitato, lungo la via, si deve supporre che il loro ufficio fosse in relazione col traffico avviato sulla medesima.

D'altra parte le diversità di struttura notate nella pianta che qui si aggiunge, sono spesso accidentali, poichè tanto le prime costruzioni quanto gli ultimi ampliamenti, da non confondersi colle strutture medioevali alle quali accenno in fine, sono costituiti da muri a sacco di tufo con rivestimenti a spigoli e catene di laterizi, i quali inquadrano degli specchi a reticolato di tufo; spesso invero appaiono costruiti in tutto laterizio, perchè tronchi a pochi centimetri dal piano di posa, all’altezza della prima catena in cotto; ma anche in questi casi qualche piccolo resto del reticolato, in specie verso gli angoli, serve egregiamente a dimostrare quale ne fosse la struttura.

Dall'esame di queste costruzioni non mi par dubbio che debbano riferirsi al tempo trascorso dall'impero di Traiano o di Adriano a quello dei Gordiani; la loro costruzione ed i successivi ampliamenti corrispondono adunque egregiamente alla storia delle Poste imperiali, rese di pratica utilità appunto da Traiano o meglio da Adriano, ed il cui enorme sviluppo preso nel III secolo dovette appunto richiedere un corrispondente ampliamento delle stazioni e dei cambi peri cavalli.

Ciò, il fatto che le fabbriche H-M, oltre all’aver dovuto accogliere un ufficio pubblico in relazione coi traffici avviati sull'Appia, sembrano adatte ad una mutatio, lo deduco per esclusione, mancando tra la porta Capena e Boville tracce di altre fabbriche che possano attribuirsi a tale «ufficio, ed alludo con ciò specialmente a quelle scoperte dal Canina al IX miglio di questa via e da lui giustamente riconosciute per resti di una villa, che affermò poi trasformata in cambio di posta non già in base ad elementi di fatto, ma semplicemente perchè pone un cambio l'itinerario gerosolimitano; infine l'esame degli antichi itinerari avendomi dimostrato, indipendentemente dalle scoperte archeologiche sulle quali riferisco, che la mutatio ricordata da quello gerosolimitano tra Boville e la porta Capena dovette essere invece situata 44 V, ritengo che i resti delle fabbriche H-M siano appartenute appunto a quel cambio di posta.

Altri saggi di scavo furono diretti allo scopo di rintracciare la storia delle costruzioni stradali. La tomba A, il fronte del recinto B ed il muro di sostegno H, 1-3, dimostrano all'evidenza che in questo punto l'Appia attraversava un valloncello largo presso a poco quanto è lungo il gomito stradale, correndo in questo punto tra i sepolcri C e O, profondo nel mezzo, cioè presso la tomba A, più di m. 2.

L'allineamento del fronte B rispetto a quello A ed il confronto coi livelli dai quali anticamente dovevano essere visibili quei monumenti, provano che quelle costruzioni dovevano sorgere lungo il margine di una semita o sentiero a fondo naturale che in quel punto piegava a gomito per traversare con più leggero pendio il valloncello dinanzi menzionato. Nell'anno 442 di Roma, Appio Claudio sostituì quel sentiero con una via a fondo artificiale, correggendo il dislivello mediante un nucleo o terrapieno di riporto, sul quale la nuova via potè attraversare orizzontalmente il fosso cui ho accennato; dovette invece mantenere la curvatura del tracciato per rispettare i monumenti A B ivi già sorti ed evidentemente tenuti in grande considerazione, dando così origine al gomito stradale che tuttora si osserva, non essendo stato in seguito modificato quasi affatto, come apparisce dall'orientamento del fronte Aa che seguiva le crepidini della via aperta nel 442 rispetto a quella A, parallela ai margini della platea di calcestruzzo m, a eseguita quando nell'anno 461 al semplice imbrecciamento del piano stradale compiuto da Appio Claudio (l'incerto passo di Diodoro XX, 36 non regge contro le precise indicazioni di Livio) sì sostituì un lastrico di selci poggiato appunto su quella platea.

Con appositi tagli normali alle due crepidini della via io avevo in più punti posto allo scoperto i margini di questa platea, erta in media m. 0,25, distesa non solo sul terrapieno di riporto, ma anche in corrispondenza delle fronti C-D, ove il cappellaccio di selce, cioè la roccia vergine, quasi affiora. In due punti (a-a, m) i margini sono stati segnati in pianta come se la platea fosse di terra anzichè di calcestruzzo ; negli altri pozzi di saggio, ove le crepidini stesse erano pure apparse, sono state invece interamente trascurate, cosicchè nella pianta non apparisce nemmeno la larghezza della platea medesima e quindi quella dell'antica carreggiata, mentre gli scavi compiuti avevano risoluto anche questo problema.

Come risulta dallo stesso andamento dei margini Aa-b, il tracciato stradale del 461 differiva alquanto da quello del 442, parallelo al fronte del sepolcro A, è, poichè la platea in calcestruzzo del 461, essendo fondata allo stesso livello cui giunge il nucleo Aa, per non danneggiarlo, dovette gettarsi col margine equidistante e quindi parallelo al fronte di quest'ultimo; tracciato conservato poi sino all'abbandono dell’Appia e modificato in fine dal Canina tanto quanto era necessario per arrotondare alquanto il gomito, rendendone così più agevole il passaggio.

Evidentemente le espropriazioni compiute da Appio Claudio comprendevano anche la striscia di terreno lungo il tracciato rettilineo, per cui ad occidente della via, nel gomito, rimase un tratto di terreno demaniale, lungo il quale fu tracciato un sentiero dai pedoni che volevano risparmiarsi il transito per il gomito, o che dall'Appia volevano discendere all'imbocco del diverticolo che conduceva alla « Patinaria ».

Sul margine occidentale di questo sentiero si costruirono primai sepolcri E-G, circondati poi o coperti addirittura, secondo i livelli rispettivi, dalle fabbriche per la mutatio. Infine quando gli avancorpi di quest'ultima furono spinti sino all’Appia, occupando il sentiero, anche il diverticolo, al quale ho accennato, fu rialzato e potè così sboccare direttamente sulla via a livello delle medesima.

Le successive ricostruzioni del monumento A, l'essere stato per sì lungo tempo rispettato dalle circostanti fabbriche pubbliche, le quali pure avevano invaso altre aree sepolcrali, provano abbastanza la venerazione grande che si doveva portare a quella tomba fino dal V secolo di Roma; ed il confronto con un passo di Livio dimostra all'evidenza che ciò avvenne ritenendosi ivi sepolto uno degli eroi che secondo la leggenda avrebbero preso parte al famoso combattimento degli Orazi e Curiazi. Da ciò si può concludere che ivi passasse il confine dell'antico territorio romano; e se si considera che tanto la esistenza di questi sepolcri gentilizi della famiglia Orazia, quanto il prossimo sacer campus Horatiorum rendono probabile che ivi questa famiglia possedesse dei beni rustici, si può con maggior dritto supporre che quella leggenda sia sorta dal ricordo di contese tra gentes che avevano i loro possessi su quel confine.

Comunque sia di ciò, io ritengo che le fossae Cluiliae, le quali secondo la leggenda sarebbero state presso al confine del territorio romano, ma di cui soltanto il nome restava ai tempi di Livio, possano identificarsi col segno, artificiale o naturale, del confine stesso, corrispondente in tal caso al sulcus primigenius che limitara l'urbs, e come questo sostituito in seguito dai cippi terminali. Forse prima di essere esteso alla località, il vocabolo al quale ho accennato era attribuito alle fosse, tra le quali era compreso quello svolto dell'Appia in cui giacciono i monumenti A, B.

I saggi condotti entro il grande recinto ad occidente del tumulo C hanno dimostrato che il muro a blocchi enormi di tufo grigio, disposti senza calce e non collegati fra loro riposa su fondazioni in calcestruzzo costruite direttamente sul vergine e sporgenti di circa m. 0,30 dai piedi del muro. Ciò prova che quest'ultimo, difficilmente può risalire ad un'età anteriore al V secolo di Roma. L'ipotesi di Pirro Ligorio che quell'area avesse racchiuso un ustrino ottenne una immeritata fortuna. Giustamente il Nibby vi riconobbe il sacer campus Horatiorum ricordato da Marziale, colla quale denominazione siamo nuovamente ricondotti ai fondi rustici della famiglia Orazia.

L'area probabilmente fu acquistata e recinta dallo Stato per compiervi le solenni cerimonie ambarvaliche, le quali avevano luogo ai confini del primitivo territorio romano nei punti di accesso al medesimo, cioè lungo le grandi vie, in luoghi che, come ci avverte Strabone (V, 3, 2) erano situati appunto tra il V ed il VI miglio dalle rispettive porte del cosiddetto « recinto serviano ». Di questi Festi se ne conoscevano due, uno sacro alla dea Dia, situato al V miglio della via Campana, l'altro ad un'altra forma od indigitamento della stessa divinità, cioè alla dea Robigo, e questo esistente al V miglio della via Claudia; il recinto al V miglio dell'Appia è il terzo ormai noto.

Non conosciamo sotto quale indigitamento o nome fosse quivi invocata la divinità protettrice dei campi, poichè la grande popolarità della leggenda riportataci da Livio e da Dionigi fece sì che all’area sacra il popolo, diversamente da ciò che avvenne negli altri /esti, conservasse il nome degli antichi proprietarî, dei quali si mostravano ancora lì presso gli onorati sepolcri. i

Nel VI secolo di Roma questo tratto dell'Appia era ancora in ottime condizioni; l'abbandono e la rovina cominciò più tardi. Nel medio evo una borgata si annidò tra le ruine della prossima villa dei Quintili; il tratto di terreno interposto tra i sepoleri © e O fu allora in parte recinto in /, ove il muro più antico in reticolato L,8,9 era caduto presso che interamente; e nell'interno, per mezzo di pessimi muretti in tufo e laterizi %, tolti dalle circostanti rovine, furono costruiti dei miserabili sepoleri a fossa destinati a contenere i morti della vicina borgata.

Dopo il rinascimento, a settentrione della tomba A fu impiantata una calcara che lavorò a danno dei marmi e dei travertini tolti dai circostanti monumenti. Nel 1854 il Canina sterrò e sistemò queste ruine senza riconoscerne tutta l'importanza; e d'allora in poi abbandonate, senza inventario, guardate da un solo custode che non può certo sorvegliare contemporaneamente tutta la strada da Capo di Bove a Boville, quei monumenti soggiacciono a continue spoliazioni e guasti, nè che io mi sappia, i provvedimenti suggeriti dalla Commissione centrale per ovviare a tale iattura hanno ancora avuto un principio di attuazione; ma io spero che lo avranno in un non lontano avvenire.

Fonte: Notizie degli scavi di antichità

Stampe antiche

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