Codice identificativo monumento: 667
Durante i lavori di consolidamento del viadotto ferroviario presso porta Maggiore, vivne riscoperta una sala basilicale ipogea. Corrado Ricci racconta la scoperta:
Il giorno 23 aprile 1917 alla R. Soprintendenza agli Scavi di Roma diretta dall'illustre prof. Ancolini, fu data dall'ing. Francesco ispettore principale delle ferrovie, notizia che sotto i binari della linea Roma-Napoli, meno di due chilometri dalla stazione ferroviaria di Roma, erasi scoperto un antico edificio. La scoperta, devesi ad un caso fortuito, cioè al cedimento del terreno sotto i binari stessi.
L'ufficio lavori delle ferrovie dovette allora esplorare il sottosuolo , ciò che condusse al rinvenimento. In seguito, la Soprintendenza stessa continuò il lavoro di sterramento e di esplorazione, agevolata però grandemente clan amministrazione delle ferrovie, tutta compresa della grande importanza dell'edifici rinnvenuto.
Il quale consiste in un vasto e principale ambiente diviso in tre navate con un abside di fronte alla mediana, nonchè in un pronao illuminato da un'apertura (praticata nella volta a guisa di lucernaio, forse affiorante a terra) e messo in comunicazione col mondo esterno a mezzo di una galleria o corridoio non totalmente esplorato, quantunque ora percorso per quasi trenta metri.
Tanto il tempio (chiamiamolo così), quanto il pronao appaiono decorati da una serie di pregevolissinú stucchi. Nel pronao si hanno inoltre delle pitture. I soggetti sono numerosissimi; alcuni sono semplicemente decorativi, altri rappresentano figure o scene mitologiche quasi interamente riconoscibili, come il ratto di una Leucippide, Giasone e il vello d'oro, la liberazione di Esione, Ercole che ricevei pomi da 'bui Esperide, Apollo che scortica Marsia, ecc.; altri ancora rappresentano corse, lotte, danze, pigmei, oppure funzioni o suppellettili rituali.
Il magnifico monumento è così complesso e ancora così enigmatico circa la sua stessa originaria destinazione, da consigliare per ora molta prudenza nell'avanzare congetture. Non conviene quindi che degli Scavi (quantunque avverta certe affinità Con le primitive forme cristiane e sia persuaso che si tratti di un luogo di culto recondito e misterioso) crecenti ipotesi che ulteriori indagini pos-sono senz altro distruggere.
Edoardo Gatti. Storia della scoperta e topografia dello scavo sul monumento sotterraneo, rinvenuto presso Porta Maggiore.
Il giorno 23 aprile 1917 fu denunziata alla R. Soprintendenza agli scari di Roma la scoperta di un antico edificio esistente sotto la linea ferroviaria, nel tratto compreso tra il ponte in cemento armato sulla via Malabarba ed il cavalcavia ferroviario sulla via Prenestina. La scoperta si deve ad un fatto puramente fortuito, cioè al cedimento del terreno sotto uno dei binarii della linea di Napoli.
Per accertare le condizioni del sottosuolo e la causa che determinò la frana, 1' Ufficio lavori delle Ferrovie dello Stato eseguì uno scavo nel punto dove il terreno aveva ceduto, e quivi, alla profondità di circa m. 8,00 sotto il piano dei binarii, fu scoperto un pozzo a sezione circolare del diametro di m. 0,90, costruito sopra la volta di' una galleria che in quel punto piega ad angolo retto. Dalla galleria, in gran parte interrata, si penetrò, per mezzo di una apertura nella parete est, nell' interno di un grandioso ambiente, anch'esso interrato per un terzo circa dell'altezza.
Allo scopo di rendere più agevole l'accesso nel monumento (pianta fig.' 1) e per provvedere allo sgombro della terra, fu stabilito di aprire un pozzo, nell'area fuori la sede dei binarii verso la via Prenestina, fino a raggiungere il piano del monumento, che trovasi a m. 13,34 sotto il livello dei binarii ; quindi fu cominciato lo sterro del vestibolo che precede l'ambiente suddetto. Il vestibolo era completamente pieno di terra penetratavi da un ampio lucernario rettangolare esistente nella volta. Per sostenere il soprastante terrapieno, alto circa m. 6,00, e sopra il quale corrono due delle più importanti linee ferroviarie, fu necessario di chiudere il detto lucernario con volticine a mattoni.
Il vestibolo o pronao misura m. 8,62 X 3,50 di lato, ed ha il pavimento di musaico a tasselli bianchi, con doppia fascia a tasselli neri lungo le pareti. Il piano del pavimento è. leggermente inclinato verso il centro, dorè esiste un pozzetto, largo m. 0,88 X 0,53, profondo m. 2,55, circondato da una doppia fascia nera ai cui angoli sono delle palmette a tesselli neri. Inferiormente, nella parete settentrionale del pozzetto medesimo, si apre un cunicolo che discende con sensibile pendenza per una unghezza di circa m. 8,80, e termina nel piano in una specie di vasca concava. Tanto il pozzetto quanto il cunicolo sono scavati nel terreno vergine (cappellaccio di pozzolana), e servivano per raccogliere e smaltire l'acqua che eventualmente cadeva dal lucernario.
Le pareti del vestibolo conservano su tutta la superficie, le tracce della decorazione a figure in bassorilievo di stucco bianco, eccettuato lo zoccolo e la fascia che ricorre sotto l'imposta della volta, che sono dipinti di rosso con scent figurate a colori di buono stile; la volta è divisa in scomparti, alcuni dei quali racchiudono figure in stucco, altri sono dipinti.
Sopra il lucernario, in corrispondenza di uno dei lati lunghi, fu riconosciuto un muro di buona opera reticolata di tufo, dello spessore di m. 0,60, il quale serviva a recingere il vuoto del lucernario a guisa di parapetto.
Il vestibolo ha due ingressi arcuati: quello nella parete nord, largo m. 1,40, comunica con la galleria che dava accesso al monumento dall'esterno; l'altro, che si apre nel mezzo della parete est, largo m. 1,49, comunica direttamente con l'interno del monumento.
Questo misura m. 12,00 di lunghezza e m. 9,00 di larghezza; la sua forma è quella caratteristica della basilica, costituita da tre navate; quella centrale, larga m. 3,00, termina nel fondo con un'abside semicircolare ; le due laterali, larghe m. 2,00, comunicano con la principale per mezzo di quattro archi a sesto alquanto ribassato, che impostano sopra pilastri rettangolari di m. 0,95 X 1 ,25 di lato. Le navate sono coperte con volte a botte a tutto sesto.
I pilastri hanno, nella parete verso la navata centrale, una incassatura rettangolare, delimitata da cornice a stucco. Ciascuna di queste cornici doveva conteneruna lastra figurata od inscritta, fermata con grappe di ferro. Sotto ciascuna di queste incassature, al piano del pavimento, rimangono le tracce di pilastrini di muratura in pietrame, alti m. 0,80, larghi m. 0,35, serviti di base a qualche oggetto. Giova notare a questo proposilo, che sui pilastri, in ciascuna delle pareti opposte alle precedenti, sono riprodotte a bassorilievo di stucco teste virili e muliebri, probabilmente ritratti, dei quali tre soltanto sono in parte conservati. Ne diamo qui uno che è il meno danneggiato.
Il pavimento di tutto l'ambiente è di musaico finissimo a tesselli bianchi; una doppia fascia nera ricorre lungo la pareti ed intorno ai pilastri; alcune aree quasi quadrate negli spazi fra i pilastri, ed altre rettangolari esistenti nella navata centrale sono delimitate da una doppia fascia nera, simile alla precedente ; in dette aree dovevano essere compresi quadri figurati di musaico o di intarsii pregevoli, dei quali però non rimane la più piccola traccia.
L'abside, esistente nel fondo della navata centrale, è semicircolare col raggio di m. 1,55; nel mezzo di essa e sopra il pavimento era una cathedra o thronus, di cui sono tuttora visibili nel muro le incassatui 3 dei due fianchi. Nella parte cilindrica dell'abside è raffigurata una Nike, recante la palma e la corona, in mezzo a due figure adoranti; nella parte superiore è rappresentata una scena di cui or ora si dirà.
Il pavimento, nella zona semicircolare, ha un Vano, scavato nel terreno vergine, che si estende fin sotto il muro di fondazione dell'abside, formando un piccolo loculo, entro il quale si trovarono gli scheletri di due animali, l'uno di cane, l'altro di maiale. Notevole è la presenza di due fossette concave, scavate sopra due piani differenti, e servite con molta probabilità per il sacrificio dei suddetti animali, allorché fu consacrato l'edificio.
Il monumento era illuminato da un vano esistente sopra l' ingresso, a contatto del lucernario del pronao, e formato in modo che tutto il pavimento della navata centrale era investito dalla luce djretta che entrava dal lucernario. Le navate minori dovevano essere invéce illuminate con lampade, situate sotto ciascun arco degli interpilastri, e sospese a fasce di metallo di cui rimangono evidenti tracce sotto gli archi stessi.
La galleria di accesso al monumento, nel tratto verso il pronao, è in piano orizzontale, mentre la parte che piega ad angolo retto verso est, per raggiungere l'ingresso sopra terra, va salendo con una pendenza di circa il 15°/0. Questo secondo tratto di galleria fu esplorato, per una lunghezza di oltre 25 metri, mediante un cunicolo praticato nella parte alta ; e si constatò che la volta di copertura della galleria medesima è completamente franata con buona jarte dei piedritti; si riconobbe invece un altro pozzo a sezione circolare, eguale a quello esistente sull'angolo della galleria, dal quale dista m. 20,50. Ambedue i pozzi servivano alla necessaria aereazione dell edificio sotterraneo, ed in parte anche alla illuminazione.
La volta della galleria doveva essere decorata con -stucchi figurati e dipinti, dei quali si rinvenne qualche frammento fra la terra di scarico. Del pavimento non rimangono che poche tracce dello strato di calce, sopra cui doveva probabilmente poggiare il piano di musaico.
Il monumento, orientato da est ad ovest, fu fatto appositamente sotterraneo, trovandosi l'estradosso delle volte ad un- piano più basso di quello dell'antica via Prenestina. La costruzione, come si può congetturare, deve essere stata eseguita mediante cavi aperti nel terreno vergine, in corrispondenza dei muri perimetrali e dei pilastri, e riempiti quindi con calcestruzzo di selce, di cui si compone essenzialmente tutto il monumento. Anche le volte e gli archi sono della medesima struttura dei muri, e sembrano ostruiti sopra centine ricavate nel terreno vergine. Tale congettura, relativa alla ostru '.ione dell'editino, può essere avvalorata dalla sensibile irregolaita, della linea dei muri, e dalla non simmetrica disposizione dei pilastri, rispetto l'asso longitudinale del monumento, non credendo possibile che tali difetti siano stati determinatamente voluti.
Un tratto della galleria che dà accesso al pronao, trovasi addossato alla parete est del muro perimetrale del monumento; ciò potrebbe indurci alla ipotesi che la galleria medesima, sia stata costruita dopo ultimata tutta la muratura del tempio e del pronao, e dopo avere tagliato il nucleo di terra vergine, rimasto fra i mini di perimetro e l'intradosso delle volte.
Il tempio, ora scoperto presso porta Maggiore, deve classificarsi nel numero di quei monumenti nei quali si celebravano culti di misteri; la sua origine deve riportarsi ai primi decennii dell' impero, in considerazione della buona e caratteristica struttura delle varie parti del monumento, e della ricca decorazione con stucchi e dipinti di buono stile, che coprono la quasi totalità della superficie delle pareti e delle volte.
Molto sagacemente il prof. Francesco Fornari ha potuto determinare, in base ad accurati studi oltre l'uso e la destinazione del tempio, anche il possessore del fondo in cui esisteva tale monumento, il quale interessa grandemente lo studio topografico della località, la storia dell'arte e soprattutto quella delle religioni.
Francesco Fornari. Osservazioni sul monumento sotterraneo, rinvenuto presso Porta Maggiore.
La scoperta, come si comprende facilmente dal cenno che ne ha dato E. Gatti, offre un notevole interesse sotto molti punti di vista e apre il campo a diversi ordini di ricerche: innanzi tutto la forma stessa del monumento che rientra, per lo schema fondamentale della pianta, nella classe delle basiliche dette di tipo greco e precorre l'applicazione del medesimo tipo architettonico alle chiese cristiane, poi la ricca decorazione onde sono coperte le pareti, che può venire studiata sia rispetto ai soggetti rappresentati che alle forme artistiche, infine la destinazione del monumento.
La parte più attraente è costituita senza dubbio dalla decorazione in stucco che offre ai nostri occhi una ricca serie di elementi ornamentali e di rappresentazioni figurate. Sono palmette e candelabri stilizzati, oscilla di vario genere, vasi ed arredi di eulto, disposti talora su trapeze, gorgoneia e figurette di Vittorie stilizzate con le braccia aperte e spesso con un fiore sulle mani: Nike stessa, nel fondo dell'abside, in mezzo a due adoranti, ad uno dei quali tende la corona con quello stesso atteggiamento che aveva nella statua della Curia Julia.
Le scene mitologiche più diverse, quali ad esempio il ratto di Elena, la liberazione di Esione, Giasone ed il vello d'oro, Heracles ed una Esperide nella navata centrale, la punizione delle Danaidi nella navata di destra, ed il supplì zio'diMarsia in quella di sinistra, si alternano con scene di culto, come un sacrifìcio campestre offerto da Baccanti e riti mistici, come rappresentazioni di corse in presenza di pedotribi, come figure di pigmei.
E nel fondo dell'abside spicca una grande composizione non ancora chiaramente interpretata, nella quale si vede una donna ammantata e velata che, spinta da Eros, scende da uno scoglio nel mare ove è accolta da un Tritone, il quale si appresta a trasportarla, in un drappo teso, agli scogli che le stanno di fronte. Su questi sono due uomini, uno seduto in attitudine pensosa, l'altro in piedi ; nel mare attende un altro Tritone che dà fiato alla buccina.
Ho accennato solo ad una piccola parte delle figurazioni, ma voglio almeno ricordare, sia pure di sfuggita, alcune piccole scenette intorno al lucernario del pronao, ove si vedono, fra l'altro, due Erotini che perseguitano farfalle, e Menadi su pantere ed Eros che guida un carro tirato da caproni.
Non continuerò nell'elenco che non ancora potrei dare compiuto e non voglio indugiarmi nella descrizione neppure delle scene che sono già visibili; per ora basterà accennare. Ma l'esame di queste figurazioni potrà riuscire molto interessante non solo per la conoscenza del monumento in sé, ma anche per più vaste considerazioni di storia dell'arte. Molte di queste rappresentazioni offriranno un nuovo contributo per lo studio di originali dell'arte greca, dai quali senza dubbio dipendono, originali che, anche da un esame sommario, si rivelano di età diverse.
Nella volta della navata centrale, per esempio, si vedono giocolieri come in un vaso di bronzo del Louvre, che dipende, senza dubbio, da un originale alessandrino, e che sul collo ha una scena di pigmei come se ne vedono anche nel nostro monumento. Invece la rappresentazione di Heracles con la Esperide che gli porge i pomi sembra una metopa del quinto secolo a. C., e non è improbabile che l'esecutore si sia inspirato appunto ad un originale di quel tempo, in cui la forma del mito, che qui vediamo riprodotta, fu più comune in Attica.
Si inspirarono dunque gli autori della decorazione ad originali di età diverse e nella scelta furono eclettici in quanto che*adoperarono, accanto ad elementi "artistici che possono risalire al quinto secolo av. Cr., altri che sono del quarto, altri ancora ellenistici, e riprodussero figure arcaizzanti.
All'eclettismo nella scelta dei tipi fa riscontro la disuguaglianza di esecuzione nelle diverse parti; con la sicura larghezza di modellato e con la precisa conoscenza anatomica di alcuni quadri, come una scena di ratto della volta centrale, contrasta la esecuzione sommaria e trascurata delle grandi figure, copiate senza dubbio da statue, che si vedono nelle navate laterali; qui l'artista ottiene il massimo effetto con pochi tocchi da impressionista sapiente, coi quali ha reso per esempio il volto di un vecchio pedagogo seduto e ammantato, là si indugia con rara delicatezza a riprodurre le figure di Nikai dinanzi a candelabri, che ricordano assai da vicino quelle analoghe degli stucchi della Farnesina e sembrano uscite dalle mani di un cesellatore d'argento; altre parti sono lavorate con una tecnica che richiama gì intagli dei cammei.
Evidentemente diverse mani hanno lavorato a decorare questa basilica e le differenze che ho notato si devono spiegare in parte, io credo, con le diverse attitudini dei vari esecutori, in parte con le caratteristiche proprie di ciascun originale imitato, che si risentono ancora nella copia.
La disparità di esecuzione rende naturalmente più difficile stabilire con esattezza la cronologia della decorazione. Ma forse, anche sotto questo riguardo, una simile disparità non è priva di insegnamenti per noi, poiché ci ammonisce ancora una volta contro l' uso di attribuire un monumento ad un'età piuttosto che ad un'altra, partendo dal solo esame della maggiore o minore finezza di esecuzione. Se volessimo applicare unicamente questo criterio, dovremmo giudicare di età differenti varie parti di una decorazione che sono sicuramente contemporanee.
Una analisi minuta di tutti gli elementi stilistici e tecnici sarebbe in questo momento inopportuna, quando ancora non abbiamo dato la descrizione intera di tutti i particolari. Ma intanto si può fin da ora notare che nel la disposizione generale degli elementi decorativi e figurati, la decorazione del nostro monumento offre molte affìnità con gli stucchi della casa della Farnesina e si avvicina ad essi anche più che a quelli delle tombe della via Latina, delle quali specialmente la tomba con gli stucchi colorati .è ispirata ad un sistema decorativo notevolmente diverso. Se si volesse quindi attribuire questa decorazione al primo secolo dell'impero, credo che non si potrebbe trovare negli stucchi medesimi nessuna opposizione.
Neppure la costruzione del monumento che manca di paramento visto ed è costituita del solo emplecton, offre un criterio cronologico sicuro. È però una costruzione ottima, i cui caementa sono composti esclusivamente di pezzi di selce, tra i quali non si notano mai, almeno nelle parti visibili, né frammenti di marmi, né di mattoni, onde essa si rivela di età certamente abbastanza antica.
Ma un più preciso indizio cronologico ci è fornito da pochi avanzi di ottima muratura reticolata, che il mio amico E. Gatti osservò durante alcuni lavori, presto interrotti, sull'estradosso del lucernario del pronao, nel punto in cui esso si apriva nel soprassuolo. Questi frammenti di reticolato, di buon periodo, inducono ad attribuire il monumento al primo secolo dell' impero, ossia ad una data che non è contradetta né dalla muratura stessa della basilica, né dalla decorazione degli ambienti.
Per ora non è possibile determinare più strettamente i termini della cronologia; ma non è escluso che ciò si possa fare, quando, terminata la esplorazione, ci sarà dato di esaminare il monumento in tutte le sue parti. Ed ora eccoci alla parte che nella ricerca deve essere necessariamente ultima, ma che risponde al quesito che si affaccia primo alla mente di chi entra in questo edificio. Quale ne era la destinazione?
La risposta credo che non possa essere dubbia ed è quella che abbiamo dato al quesito fin dalle prime volte in cui siamo discesi nel monumento e che è stata accolta da quanti studiosi lo hanno poi visitato. I resti di un sacrificio di fondazione, trovati sotto il muro dell'abside, attestano chiaramente che il luogo era sacro. D'altra parte il carattere di ambiente sotterraneo e recondito, al quale si giunr geva dopo un cammino certamente tortuoso e non sappiamo quanto lungo a traverso gallerie sotterranee, rivela chiaramente che non siamo di fronte ad un tempio dei più comuni. Evidentemente vi si celebrava un culto misterioso, ed a questo uso si adatta bene la forma basilicale del monumento, che fu già adoperata, almeno fin dal tempo ellenistico, per sale di misteri...
Una delle caratteristiche principali della basilica di Porta Maggiore sta nel fatto che essa era sotterranea, ciò che fa subito pensare agli spelei mitriaci. Tuttavia in questo nostro monumento non v'è nulla che alluda alla religione di Mitra, né alle maggiori divinità orientali, Cibele, Iside, dèi Siriaci, che ebbero culto durante l' Impero.
Le rappresentazioni figurate sono tratte dalla mitologia classica, e l'elemento dionisiaco è senza dubbio largamente diffuso nella decorazione. L'origine di questi misteri dovrà cercarsi dunque piuttosto nel mondo greco che in quello orientale. Il Leroux, studiando l'origine dell'abside negli editici classici, ha messo bene in evidenza il fatto che l'arte del quinto e del quarto secolo av. Cr. adoperava il naos con abside e la tholos rotonda solamente per culti di dei ctonii, e più tardi l' uso si estese ad altri generi di costruzioni.
A culti di dèi ctonii ci riportano pure gli avanzi del sacrifìcio di un porcellino lattante e di un cane rinvenuti sotto l'abside, sacrificio certamente catartico, come attesta la natura degli animali immolati. In Grecia il porcellino lattante era sacrificato soprattutto nelle cerimonie di espiazione, ed il sangue di esso era considerato uno dei mezzi più potenti di purificazione. Più raro è il sacrificio del cane, ma del pari essenzialmente catartico ed espiatorio, come è provato da molti luoghi di autori antichi, innanzi tutto di Plinio e di Plutarco.
I Greci lo immolavano ad Hekate e solo gli efebi di Sparta anche ad Ares, il dio seminatore di strage, ed in questo caso la cerimonia aveva luogo di notte, come era uso frequente per i sacrifìci a numi ctonii. Anche a Roma il sacrificio del cane fu sempre connesso con cerimonie espiatorie e catartiche.
Con questo sacrificio dunque i fondatori della basilica sotterranea di Porta Maggiore vollero compiere un rito di purificazione e di espiazione, inteso evidentemente a placare i numi ctonii e a renderli propizi al nuovo edificio e, quel che più importava, agli atti che si dovevano compiere in esso. Che altri sacrifici del medesimo carattere si fossero fatti anche dopo la costruzione del monumento, qi, indo era in uso, parrebbero attestarlo e poche ossa di porcellino trovate nel cunicolo sotto il pronao, avanzi forse delle purificazioni che dovevano precedere ogni iniziazione.
D'altra parte la decorazione stessa di tutto l'ambiente è bene intonata al carattere di un luogo di misteri nel quale dovevano compiersi cerimonie di purificazione. A riti di tale natura alludono alcune scene figurate nella navata laterale sinistra; e forse anche gli oscilla, dei quali si vedono numerose riproduzioni, accanto alla funzione decorativa, avevano pure quella di ricordare la loro proprietà purificatrice per mezzo dell'aria.
I misteri che si celebravano nel monumento dovevano tendere, come tutti quelli antichi, al conseguimento della felicità nell'oltretomba. Nelle scene di ratto e di liberazione, che vi sono figurate, si può scorgere un'allusione alla sorte dell'anima liberata dai vincoli della morte e rapita nel mondo di là.
Un accenno al medesimo concetto si può vedere anche in un quadro del pronao — uno dei pochi già puliti — che rappresenta una scena di apoteosi, in cui Yeidolon del morto è portato in alto da un genio. E non à improbabile che la grande composizione dell'abside alluda appunto al viaggio dell'anima verso le isole dei beati.
Sulla natura di questi misteri per altro non credo sia lecito dire di più oggi. Ma, se non è possibile conoscere ancora con precisione i riti che si celebravano nel monumento e le credenze di coloro che vi convenivano, credo che invece noi possiamo identificare con molta verosimiglianza i proprietari di esso.
Innanzi tutto bisogna tener presente che il genere della costruzione sotterranea, eseguita con mirabile solidità e cura, e specialmente il lusso della decorazione, condotta sul posto da artisti che erano senza dubbio tra i migliori del genere dimostrano chiaramente che l'edificio dovette essere molto costoso e che per conseguenza apparteneva ad una classe di gente ricca. il fatto che il monumento era sotterraneo e che vi si celebravano riti mistici, sui quali si voleva mantenere il segreto, o che almeno si volevano circondare di una parvenza di segreto, attesta evidentemente che quelli che vi si riunivano disponevano pure del soprassuolo o, in altri termini, che i proprietari del soprassuolo dovevano essere iniziati e forse i capi della setta.
Basterà quindi identificare i proprietari del terreno nel tempo in cui il monumento fu costruito, per sapere a chi esso appartenesse. La località, situata sulla sinistra della via Prenestina, presso al punto ore essa si divideva, almeno fin dagli ultimi tempi della Repubblica, dalla Labicana, era al principio dell'Impero extra-urbana e ricca di sepolcri.
A duecento metri circa dal nostro monumento, sullo stesso lato della via, esistevano infatti nel primo secolo dell'era nostra le sepolture dei servi e dei liberti della gens Statilia, che ci hanno reso una larga messe di materiale epigrafico. A duecento metri dunque dalla basilica sotterranea stava un pezzo di terra che nel periodo di tempo che va da Augusto a Claudio apparteneva certamente agli Statilii.
Sorge quindi spontaneo il sospetto che la proprietà di questa gente ricchissima si estendesse anche alla zona vicina e comprendesse il terreno nel quale era scavata la basilica e che nessuna via o diverticolo, per quanto sappiamo, divideva dalle sepolture.
Se la induzione si fondasse solo su questo sospetto così generico, potrebbe sembrare forse un poco debole; ma credo che essa acquisti un valore di probabilità molto più forte, quando si consideri che nel sepolcreto degli Statilii fu trovata la bella urna di marmo greco, ora nel Museo delle Terme, sulla quale è scolpita una scena relativa a misteri. La ipotesi che in quell'urna fossero raccolte le ceneri di un iniziato ai misteri è ovvia e pienamente giustificata; la formulò già infatti la contessa E. Lovatelli che per prima la illustrò.
Non sappiamo precisamente quale personaggio fosse sepolto in quell'urna, ma certo per il costo del materiale e del lavoro non doveva trattarsi di un umile schiavo. L'urna del Museo delle Terme ci rivela dunque una relazione tra la familia degli Statilii e le religioni dei misteri. E un secondo indizio è fornito dal fatto che uno dei liberti sepolto nel colombario presso Porta Maggiore aveva il cognome di Mystes, non molto frequente nella onomastica latina e che ben si addice ad una famiglia della quale facevano parte iniziati.
agli Statilii i quali vi si riunissero coi loro amici e liberti per la celebrazione di riti, a cui essi stessi fossero iniziati. Ma, giunti a questo punto del ragionamento sorgerà spontaneo alla memoria un ricordo che ci darà, credo, la fiducia quasi assoluta nella giustezza della nostra ipotesi: il ricordo della fine di T. Statilio Tauro, il console del 44 d. Cristo. Tacito narra che Agrippina, desiderosa di impadronirsi degli orti di questo personaggio, famoso per le sue ricchezze, lo fece accusare da Tarquizio Prisco, che era stato suo legato durante il governo proconsolare dell'Africa; ma Tauro si tolse la vita prima della sentenza del Senato.
L'accusa consisteva, piuttosto che in pochi delitti di estorsione, in pratiche magiche (pauca repetundarum crimina ceterum magica» super stitiones). Che sotto il nome di magicae superstitiones potessero esser comprese non solo pratiche magiche propriamente dette, cioè operazioni di fattucchieri, intese a costringere la natura alla volontà del mago, ma anche pratiche di culto mistico e segreto, non è necessario dimostrarlo ; che anzi col vocabolo superstitio Tacito indica appunto culti mistici o orientali del genere di quelli che dovevano essere praticati nella basilica di Porta Maggiore, e non diversamente egli qualifica pure il Cristianesimo.
Mi sembra quindi sommamente probabile la ipotesi che la recente scoperta ci abbia restituito il luogo nel quale T. Statilio Tauro compiva, insieme con altri iniziati, raccolti in una sua proprietà suburbana, quei riti che servirono di pretesto ai suoi nemici per mandarlo in rovina.
Tutte queste considerazioni mi sembra che rendano probabile la ipotesi di un rapporto tra la basilica recentemente scoperta e le tombe che si trovavano immediatamente vicine ad essa, o in altri termini, che questa basilica appartenesse appunto.
Relazione di Rodolfo Lanciani sul santuario sotterraneo scoperto recentemente ad ad Spem veterem.
Per quanto concerne le congetture, ne ricordo una sola suggerita da Gatti per ispiegare la strana goffaggine del monumento, ma che a me, sembra poco convincente. Il monumento egli dice, oriettato da est ad ovest, fu fatto appositamente sotterraneo trovandosi l'estradosso delle volte ad un piano più basso di quello dell'antica via Prenestina.
La costruzione, come si può congetturare, deve essere stata eseguita mediante cavi aperti nel terreno vergine, in corrispondenza dei muri perimetrali e dei pilastri, e riempiti quindi con calcestruzzo di selce, di cui si compone essenzialmente il monumento.
Anche le volte e gli archi sono della medesima struttura dei muri, e sembrano costruiti sopra centine ricavate nel terreno vergine. Tale congettura può essere avvalorata dalla sensibile irregolarità della linea dei muri, e dalla non simmetrica disposizione dei pilastri rispetto all'asse longitudinale del monumento.
Il sistema strutturale suggerito dal Gatti presenta difficoltà pratiche tali che, almeno nel caso presente, non lo credo ammissibile. Può darsi tutt'al più che abbiano proceduto a questo modo: Scavato nel terreno vergine il telaio del muro perimetrale (lungo m. 13, largo m. 10,00) e riempiutone il vuoto di calcestruzzo, hanno scavato tutto il blocco parallelepipedo di tuia e cappellaccio, di metri cubi mille trecento venti, e dopo il consolidamento del getto, hanno aggiunto pilastrate, volte, ecc., valendosi di forme di legno simili a quelle che oggi si adoperano pei getti di cemento armato.
Ma, come ho detto poc'anzi, nessuna spiegazione sin qui proposta sembra pienamente soddisfacente.
Quando discesi la prima volta nell'interessante ipogèo per cortesia del defunto prof. Colini e del suo ispettore E. Gatti, la prima impressione che ne ricevetti fu che si trattasse di una conserva d'acqua, ridotta più tardi a loggia di qualche società segreta.
Infatti caratteristiche di simili ricettacoli sono: la Costruzione a impasto di scaglie di selce; la divisione dell'ambiente in corsìe o navate per mezzo di pilastri rettangoli; la rozzezza della forma; le trombe o pozzi di aereazione e di comunicazione col suolo esterno; l'inclinazione dei piani verso un punto di massima depressione, e finalmente il rafforzamento degli angoli rientranti, sia orizzontali sia verticali, per mezzo di cordoni di cocciopesto.
Avrei anche potuto produrre a sostegno della mia tesi l'esempio assolutamente identico della cripta e di tanti altri vicini ricettacoli, trasformati in ricchissimi sepolcri degli Acilii Glabrioni nelle catacombe di Priscilla. Ma la mia congettura cade davanti a tre ostacoli che sono : a) l'abside della nave centrale, di fattura contemporanea a quella di tutto il sotterraneo e che non s'addice ad una piscina; la fossa augurale con le ossa del cagnuolo e del porcellino; il vestibolo e corridoio di discesa.
Siamo dunque tutti d'accordo nel considerare il complesso del sotterraneo come opera non Idraulica, costruita d'un getto, ma con negligenza strutturale poco degna del secolo d'oro.
In cosi grande incertezza cronologica, artistica, archeologica, io credo che possa giovare alla soluzione del quesito il paragone di questo sotterraneo con altri quasi identici, scoperti nei tempi addietro, e specialmente con le piccole basiliche di Crepereio Rogato, di M. Poblicio Ilaro, di Scipione Orfìto, e, dentro certi limiti, con quelle di Giunio Basso, e della Colonia Siriaca al Bosco delle Furrine.
Monografia di Goffredo Bendinelli sulla bailica ipogea di Posta Maggiore, dove ipotizza che la struttura serviva da grande tomba e luogo di celebrazioni, per una ristretta cerchia di aristocratici della famiglia degli Statili.
Due questioni, dunque, dipendenti una dall'altra, rimangono tuttora aperte nello studio del monumento: la questione dell'età e quella della sua natura e destinazione. Risolta definitivamente la prima, sarà certo più agevole che non sia stato finora, procedere alla soluzione della seconda. I due primi illustratori del monumento nelle Notizie degli Scavi, E. Gatti e F. Fornari, proposero per l'età il primo secolo dell'Impero, anzi i primi decenni del secolo. Effettivamente questa è la data che si affaccia spontanea dopo un esame accurato dello stile e degli elementi decorativi. Senza qui addentrarmi, che non sarebbe il caso, in una descrizione particolareggiata della decorazione, intendo richiamare l'attenzione del lettore su taluni punti principali, o più significativi, nei riguardi della cronologia.
Nell'atrio che precede la sala basilicale, lo zoccolo consiste in una fascia dipinta a fondo monocromo rosso, divisa in riquadri con scene di paesaggio alternate a motivi floreali e animali. Tra un riquadro e l'altro, ciascuno limitato da una cornice a filettature sottili, una figura in piedi su candelabro, in funzione di Cariatide. Fondi monocromi, paesaggi e Cariatidi simili si osservano dipinti ripetutamente sulle pareti della casa romana della Farnesina (età augustea), e scene di paesaggio similmente alternate a soggetti naturalistici, come uccelli e fiori, si riscontrano pure ripetute nella decorazione del Colombario di Villa Doria-Pamphyli (fine della Repubblica).
Sopra lo zoccolo, poi, le pareti dell'atrio sono divise, fino a una certa altezza, in ispecchi regolari, a mezzo di alti ed esili candelabri rilevati a stucco. I candelabri sono riuniti in alto fra loro da festoni penduli fatti di rami fronzuti, dei quali si conserva appena la traccia lasciata sulla parete dallo stucco caduto. In mezzo, fra un candelabro e l'altro, una maschera od altro oggetto pende dall'alto, sospeso a una tenia, come un oseillmn. La divisione di pareti in ispecchi, eseguita a mezzo di candelabri, si può notare nella camera sepolcrale entro la Piramide di Caio Cestio (fine della Repubblica); e meglio ancora a mezzo dì candelabri assai simili, esili e scanalati, o a mezzo di colonne pure scanalate, riunite talora da festoni, si riscontra così nella pittura pompeiana del 2° stile, come nella pittura romana contemporanea.
Se ne hanno esempi notevoli sulle pareti di camere nella casa della Farnesina, come in una sala della villa Item presso Pompei, ed altrove. Lo stesso sistema decorativo è riportato dalla pittura nella scultura contemporanea: ciò che ha speciale importanza per noi, trattandosi di stucchi a rilievo. La decorazione a festoni è ripetuta ancora nel fregio dipinto che corre in alto lungo le pareti dell'atrio come coronamento, e ad immediato contatto con le vele della volta.
Sopra gli specchi e i candelabri ricorre una prima serie di quadretti, quindi un fascione continuo a volute di largo disegno, con
palmette, e infine una seconda serie di quadretti, tre su ciascuna parete. Essendo caduto quasi completamente lo stucco dei rilievi, occorre una certa applicazione per riconoscere sul fondo della parete le linee fondamentali dei motivi. Di taluno di questi si trova il simile nelle vòlte a stucco della Farnesina. Ma ciò che ò particolarmente degno di nota sono i quadretti centrali della fila più alta su ciascuna parete.' Questi quadretti, con figure come gli altri, presentano, ai lati, degli sportelli mobili su cerniera, completamente aperti e disegnati di scorcio. Altrettanto si osserva al sommo delle pareti di una stanza nella casa romana della Farnesina, dove questo particolare dei quadretti a sportelli, alternati a quadretti semplici, costituisce una delle principali caratteristiche.
Le vele della vòlta sono poi divise regolarmente e simmetricamente in riquadri i quali assumono tutti una rigorosa e ben determinata figura geometrica, come quadrati, rettangoli, cerchi, settori di cerchio. I motivi ornamentali che riempiono i riquadri sono parte dipinti, parte a rilievo. Fra i riquadri dipinti notiamo motivi floreali stilizzati, i cui petali si sviluppano fra diagonali nettamente rilevate. Piccoli riquadri simili, a motivi stilizzati, si trovano dipinti sulle pareti e rilevati nelle vòlte a stucco della Farnesina. Anche quello degli Amorini su bighe in corsa ed altri simili sono motivi prediletti dell'arte augustea e in genere del I secolo, e si riscontrano in opere diverse di scultura e di pittura, e particolarmente in dipinti pompeiani.
Quanto a finezza di esecuzione artistica, se anche questa può e deve servire quale criterio cronologico assoluto, basta con
siderare la eleganza impeccabile e la maestria con cui sono eseguiti taluni dei motivi, di piccole proporzioni, sulla vòlta dell'atrio, nonché la decorazione a rilievo degli stipiti e dell'archivolto della porta di accesso all'atrio, con candelabri e palmette, per convincersi che i rilievi a stucco non sono da meno di quelli finissimi della Farnesina; e ciò in contrasto con l'opinione generalmente diffusa. Certi motivi, anzi, risentono della tecnica del cesello e sfidano, direi, la bravura di un Benvenuto Celimi. Come si vede anche da un esame sommario, la decorazione dell'atrio, nonostante la conservazione mediocre, è tutt'altro che priva d'interesse e fornisce, anzi, elementi particolari di giudizio, come le fasce e i quadretti a colori, di cui la sala basilicale è del tutto mancante.
Entrando ora nella sala principale, ciò che più colpisce il visitatore si è naturalmente la struttura architettonica della sala a tre navate, con abside in fondo alla navata centrale; struttura caratteristica e notevole per essere uno dei modelli più antichi conosciuti di quegli edifici pagani, sulla pianta dei quali è opinione di molti che siasi sviluppata l'architettura delle chiese cristiane L'originale struttura architettonica della sala ha costituito finora il punto di partenza per interpretazioni, come vedremo, completamente errate del monumento.
E anche qui del massimo interesse la decorazione delle pareti e delle vòlte, tutta quanta eseguita a stucco e a.rilievo e, in genere, benissimo conservata e facile a restituirsi anche nelle lacune. È opportuno ridurre in tre gruppi distinti le varie parti del complesso disegno della sala: 1°) vòlte; 2°) pareti e abside; 3°) pilastri. La sola vòlta centrale comprende non meno di 65 riquadri con motivi figurati, mitologici e ornamentali, svariatissimi.
La decorazione risulta distribuita secondo un sistema di cui si riscontra il simile sulla vòlta dell'atrio. La superficie da decorare è stata anzitutto divisa, per mezzo di linee parallele e linee normali all'asse longitudinale, in una vera e propria scacchiera di quadretti tutti uguali. Spezzando quindi in più punti e simmetricamente le linee divisorie fondamentali e fondendo in varia maniera i quadretti della scacchiera in riquadri maggiori (i quali assumono la forma ora di quadrati veri e propri, ora di rettangoli risultanti dall'unione di più quadretti fondamentali), è stato con mezzi semplicissimi ottenuto un complicato sistema divisorio, elegante, variato e gradevole all'occhio.
Un tale, sistema divisorio di vòlte non è nuovo nell'arte decorativa romana Se ne riscontra il simile nelle vòlte della Farnesina e perfino nello zoccolo della Sala nera della stessa casa romana. Altri esempi se ne hanno nella vòlta del Colombario degli Arrunzì presso Porta Maggiore, ed anche nella vòlta del criptoportico della casa detta di Domiziano sul Palatino e nella così detta Vòlta dorata della « Domus Aurea», per non citare se non gli esempi più noti; il primo degli accennati termini di confronto è così calzante ed eloquente al caso nostro, che converrà ritornarvi sopra. Diversi notevolmente e più complicati sono ad esempio i sistemi divisorii delle vòlte nelle tombe con rilievi a stucco sulla via Latina, di età più tarda.
Le scene mitologiche, di cui è ricca la vòlta centrale, non forniscono per se stesse criteri cronologici sicuri. Si osserva, però, che la scena di ratto della Leucippide trova esatto riscontro in un medaglione tondo di vòlta nel Colombario degli Arrunzì. Alle scene mitologiche si alternano quadretti di genere: scene della vita privata e della palestra e scene di strada. Particolarmente degne di nota queste ultime, poiché qui vediamo riprodotti personaggi dai tratti somatici e fisionomici caratteristici, e dal costume addirittura esotico. Sono Negri e Pigmei i quali danzano o giuocano in uno sfondo di paesaggio, da indicarsi genericamente come un paesaggio nilotico.
Ora sappiamo che un tal genere di soggetti è peculiare del IV stile della pittura pompeiana, ma si trova già impiegato con qualche frequenza nella pittura del II stile. Motivi simili, del resto, sono già largamente in uso nella decorazione del citato Colombario Dotia-Pamptìyli. Le Vittorie volanti e i ThymiaTeria si ritrovano sulla vòlta della Farnesina e su quella del colombario degli Arrunzi.
Un particolare tipo di Tiymiaterion, eseguito sulla vòlta principale, si riscontra poi affatto identico nel celebre quadro delle Nozze Aldobrandine alla biblioteca Vaticana. Motivi isolati, di carattere simbolico e ornamentale, come Attis, Eroti e maschere gorgoniehe, stanno in gran parte per un'attribuzione cronologica generica entro larghi confini. Ma la maschera che frequentemente ricorre, così detta di Giove Aminone, e il motivo del duello fra Grifo alato e Arimaspe, ripetuto ai quattro angoli della vòlta, sono motivi caratteristici dell'arte della prima metà del secolo. Grifi e Arimaspi in lotta si veggono pure sulle vòlte della casa romana della Farnesina, come su pitture pompeiane del II e del III stile. La maschera di Giove Aminone è poi comunissima su monumenti funerari (cippi e urne) della prima metà del 1 secolo.
La decorazione delle vòlte nelle navate laterali si rivela, rispetto a quella della navata centrale, di una maggiore semplicità, così nel sistema di riquadratura, come nelle cornici e nella decorazione dei singoli quadretti. Anche la finitezza artistica delle figure è minore. Quanto al sistema di riquadratura, questo è affatto simile a ciò che si osserva nella navata centrale, essendo stato ottenuto mediante incroci variamente combinati di cornici longitudinali e trasversali all'asse delle vòlte. Entro taluni riquadri sono stati iscritti dei rombi, allo scopo di evitare la monotonia derivante dalla semplicità del sistema. Termini di confronto eloquenti offre anche a tale riguardo la vòlta del Colombario degli Arrunzi.
Dei motivi e nelle scene dei fastioni non troviamo nulla di assolutamente caratteristico per l'età del monumento. Nei due fascioni centrali sono però degne di nota le grandi maschere gorgoniche, la cui larga faccia è mancante, ma la cui capigliatura a ciocche ondulate disposte a raggiera, tra cui spuntano le alette, è di un effetto pittorico che ricorda un poco la Medusa bronzea del lago di Nemi. È caratteristico, poi, che il motivo dionisiaco, ripetuto costantemente lungo i due fascioni posti alla base della vòlta di ciascuna navata minore (un kàniharos fra due pantere affrontate, o Grifi muniti di ali), si incontri su tavole fittili di fabbrica romana, riconosciute fra le più antiche; e che il motivo dei Grifi alati si trovi ripetuto con la medesima insistenza lungo i fascioni più bassi nelle vòlte dell'ipogeo degli Arrunzi.
Si degni ora di uno sguardo la decorazione delle pareti della sala basilicale sopra lo zoccolo liscio. Anche qui vediamo i noti riquadri o specchi, intramezzati da candelabri a stelo alto e sottile, o da tirsi. Mancano i festoni, ma si presentano con insistenza gli oscilla penduli dal sommo della cornice. Nell'insieme la riquadratura e, divisione degli specchi presenta una innegabile affinità con la decorazione della camera entro la Piramide di Caio Cestio.
I motivi centrali, poi, del tipo delle invenzioni architettoniche già notate sulle pareti dell'atrio e sulle quali molto sarà da dire un giorno, sono una caratteristica di quelle pitture di carattere idillico e religioso, proprio del II e del III stile, recentemente studiate dal Rostowzew. Esempì notevoli se ne hanno in Róma negli stucchi della Farnesina e nel Colombario Doria-Pamphyli. Tali motivi, di carattere non soltanto ornamentale, sono nell'arte romana un'eredità dell'arte ellenistica, la cui influenza è risentita in particolar modo nel primo secolo dell'Impero.
Nell'abside osserviamo la scena del catino, con la figura dèlla donna pronta a slanciarsi sui marosi, spinta da Eros. Il nimbo, formato dall'ampio manto intorno alla testa della figura, è un motivo pittorico di origine ellenistica, che frequentemente ricorre nell'arte del secolo di Augusto Si noti poi la Vittoria nel centro del fregio sottostante, con palma e corona nelle mani. Occorre si dica essere questo un motivo, se non creato dall'arte augustea, quanto meno assai comune nell'arte di quell'età. Vittorie con corone e bende nelle mani si trovavano, del resto, dipinte sul soffitto della camera sepolcrale nella piramide di Caio Cestio, più volte ricordata. Le grandi figure in piedi, statuarie, collocate sulle pareti delle navate al di sopra dei pilastri e nei corrispondenti punti delle pareti di fondo, alla stessa altezza del fregio dell'abside, rispecchiano anch'esse, per la collocazione, una caratteristica dell'arte romana come negli affreschi della Farnesina, dove figure di proporzioni notevoli, in funzione per lo più di Cariatidi, sono collocate al di sopra dei grandi specchi, in corrispondenza delle membrature disegnate sulle pareti.
Anche la decorazione dei pilastri è ottenuta mediante la divisione delle superfici in grandi specchi rettangolari o quadrati, contornati da semplici cornici e variati da motivi diversi. Poco di segnatamente notevole si nota qui, ove si eccettuino i ritratti di profilo eseguiti sulle facce dei pilastri, interne alle navate minori: ritratti che, nonostante lo stato di conservazione imperfetto, rivelano nel trattamento dei capelli e della linea del collo una stretta somiglianza con monete cammei e gemme di età non posteriore al secolo di Augusto. Il tipo, infine, delle Vittorie stilizzate, dritte sui candelabri, è un tipo anch'esso comune nell'arte decorativa augustea, come si rileva dagli stessi stucchi della Farnesina e da quelli del Colombario degli Arrunzi.
È, questa che ho tracciato, una rivista sommaria e affrettata di motivi artistici i quali possono però essere presi come gli indici, più significativi dell'età del monumento. Altri numerosi, taluni forse essenziali, porterebbero alle medesime conclusioni, e sono stati omessi per ragione di brevità. Qualcuno degli accennati motivi, singolarmente preso, potrebbe essere anche riportato ad età diversa. Ma l'eloquenza degli elementi decorativi nei riguardi della datazione del monumento non è data tanto da motivi artistici isolati, quanto piuttosto dal loro insieme, unico e artisticamente inscindibile, che serve a costituire la fisonomia caratteristica della decorazione. Più si sarà persuasi che il monumento, a prescindere dal suo significato e dalla sua natura, è un'opera d'arte organica e perfetta in tutte le sue parti, più la decorazione di esso dovrà essere considerata in tutto il suo insieme e giudicata in base ai criteri che sono forniti dalla quasi totalità dei motivi che in essa si riscontrano.
La conclusione del nostro excursus e quella già preveduta. L'ipogeo di Porta Maggiore ci offre, insieme colle pitturo della casa di Livia, cogli stucchi e le pitture della Farnesina, cogli stucchi del Colombario degli Arrunzi, colle pitture del Colombario Doria Pamphyli e della Piramide di Caio Cestro e con monumenti funebri affini, nonché con pitture pompeiane, un quadro sempre più completo di quello che furono in Roma, e in altre parti d'Italia, la pittura e d'arte decorativa in genere, detta del II stile. Esso può quindi essere datato con sicurezza al principio del I secolo dell'Impero, all'apogeo cioè dell'arte augustea.
Natura e destinazione dell'Ipogeo.
Il saggio pubblicato da Franz Cumont nella Reme Archéologique del 1918 intorno all'ipogeo di Porta Maggiore, sembrerebbe aver quasi eliminato, colla profonda dottrina che l'ispira, ogni necessità di ulteriore discussione intorno alla natura di quello, a giudicare almeno dai larghi consensi che le conclusioni del Cumont hanno trovato presso studiosi che si sono intrattenuti di proposito sull'argomento. È bene tuttavia ricordare che l'idea del santuario, sviluppata dal Cumont con l'abituale larghezza di dottrina, era, più che in germe, espressamente dichiarata nella relazione del Fornari, il quale appunto ricorreva a cerimonie ed a culti misteriosi celebrati nel sotterraneo da una qualche sètta la quale fosse tenuta a sfuggire la luce del sole. Tale concetto è stato acutamente svolto dal Cumont, là dove questi attribuisce la costruzione e l'uso del sotterraneo precisamente a una sètta neo-pitagorica, e ribadito quindi in un successivo articolo dello stesso autore nella Rassegna (VArte antica e moderna, del febbraio 1921.
Non sarebbe difficile ridurre coteste ipotesi ingegnose entro i loro veri termini e dimostrarne la scarsa consistenza, anzi la fragilità addirittura, a contatto colla dura realtà, osservando come assolutamente nulla di preciso e concreto si conosca di sètte e di culti neopitagorici in Roma; inoltre, come di una'divinità, che per il suo naturai culto richiedesse l'oscurità ed il segreto assoluti, non sia traccia alcuna effettiva durante il primo secolo dell'impero; e infine come la decorazione figurata, si presti poco di buon grado a una simile interpretazione.
A tale procedimento negativo si preferisce qui, come più efficace, il procedimento positivo, intendendosi non già dimostrare ciò che il monumento non è, ma che cosa effettivamente esso sia. Anche a tale riguardo, poiché a tutta prima non sembra che dalla pianta si possa trarre alcuno speciale chiarimento, occorre anche qui rifarsi dalla decorazione, questa non potendo a meno di essere in qualche modo connessa con la natura dell'edificio.
Veramente, quanti hanno finora trattato l'argomento non hanno creduto di poter trarre alcun lume dal complesso della decorazione, giacché, per esprimermi con parole altrui, di tanti quadretti diversi di forme e1 di proporzioni, anche tra quelli giustapposti sarebbe
difficile trovare una qualsiasi continuità o conclusione, trattandosi di cose tra cui non sembra possibile cogliere un nesso. Nell'esame della decorazione occorre anzitutto orizzontarsi per mezzo di divisioni e classificazioni. Or noi distinguiamo le seguenti principali categorie di soggetti: a) scene e figure mitologiche; b) scene, figure e oggetti di contenuto religioso e simbolico; c) soggetti di genere.
Sulla vòlta della navata principale attirano, anzitutto lo sguardo ì riquadri maggiori centrali in numero di tre, di cui uno distrutto, tutti di proporzioni uguali fra loro, disposti sull'asse longitudinale della nave. I due riquadri conservati presentano due scene di ratto, e cioè il ratto di Ganimede, ad opera di Eros, e il ratto di una Leucippide. Nulla vieta, anzi è molto logico di supporre che una terza scena di ratto fosse rappresentata nel riquadro oggi mancante, che è il più vicino all'abside, Tra i riquadri minori è poi riconoscibile Hermes in funzione di psychopompós Ora sappiamo che nell'arte classica, e particolarmente nell'arte romana, le scene di ratto presentano un contenuto simbolico e un'allusione funebre evidentissima, con la figurazione materiale del passaggio repentino e violento da questa ad altra vita.
Così vediamo rappresentati su sarcofagi e su cippi funerari romani il ratto dì Proserpina, il ratto delle Leucippidi, e perfino il ratto di Elena. La stessa regola vale per le urne funebri etnische, dove a volte ricorrono pressapoco gli stessi soggetti. Il ratto di Proserpina, rappresentato a colori forse anche in una delle pareti del Colombario Doria-Pamphyìi, è certo in un Colombario di Ostia, insieme con scene mitologiche simili. Importa osservare che il Colombario degli Arronzi, oggi distrutto, non doveva distare più di due o trecento metri dal nostro monumento.
Una serie di quadretti mitologici sulla vòlta della navata destra ci porta ancor più addentro nel campo dell'arte funeraria, simbolica, greco-romana. Sono qui rappresentate le Danaidi, in numero di tre, occupate nella improba eterna fatica; Mercurio psychópompós, conducente una figura velata (Alcesti?), e infine Eracle e Alcesti. Occorre qui ricordare quanto fosse in uso nell'arte funeraria romana una simile collana di miti. Il mito delle Danaidi era rappresentato, dipinto in apposito riquadro, sulle pareti di un colombario romano, certo del I secolo, oggi perduto e di cui non ci rimane se non un misero ma prezioso disegno, ripubblicato nello Jahrbuch del 1913. Il mito di Alcesti, con Admeto, è figurato ampiamente su un riquadro a stucco della vòlta di una delle tombe sulla via Latina, la tomba degli Anici, e a colori in un Colombario recentemente scoperto presso San Paolo. La funzione di Hermes psychópompós è poi conosciuta per troppi esempi nell'arte greca e romana, perchè valga la pena di soffermarvisi di proposito. Il mito, poi, di Demetra e Trittolemo, rappresentato sopra uno dei pilastri, è pure, non occorre dire, un mito di carattere schiettamente catactonio.
Un'altra ricca mèsse di scene e di figure isolate si riporta facilmente al ciclo dionisiaco, a motivo dell'ostentazione di attributi dionisiaci. Tali alcune scene rappresentate sulla vòlta della navata sinistra. Su vari scompartì del soffitto, laterali al fascione centrale, si osserva così una danza orgiastica di donne Baccanti, una scena, di sacrifizio compiuta forse da Menadi, e inoltre Menadi varie in riposo. Figure statuarie di Menadi sono inoltre eseguite a grandi proporzioni nella navata centrale, al di sopra dei pilastri.
Anche la decorazione dell'atrio è, nella zona superiore, ispirata in grandissima parte a motivi dionisiaci con Satiri e Menadi. E Menadi isolate appaiono entro riquadri della vòlta dell'atrio. Particolarmente notevoli 4e due figure di Baccanti (o Arianna stessa?) sedute sul dorso di una pantera, entro i due medaglioni tondi della vòlta. Al culto e al simbolismo dionisiaci è poi ispirato il motivo delle due fiere affrontate, divise da un Mfifharos: motivo impiegato come elemento unico di decorazione, lungo fascioni delle vòlte minori.
Il simbolismo dionisiaco informa di se tutta l'arte funeraria romana. Personaggi e motivi dionisiaci vari s'incontrano scolpiti sopra urne cinerarie, sopra sarcofagi, e rappresentati a colori o a rilievo nella decorazione di numerose camere sepolcrali romane anche del I secolo (tomba dei Valérii sulla via Latina).
Nella scena rappresentata in luogo così centrale ed in vista, quale il catino dell'abside (tav. X), è forse da riconoscere, secondo l'interpretazione offertasi come la più ovvia alla mente di tutti e dello stesso Fornari e da questo poi scartata, ma accolta recentemente e trattata da C. Densmore Curtis — il salto di Saffo dallo scoglio di Leucade. L'elemento marino è qui rappresentato largamente, non soltanto dalle onde accavallantisi, ma anche dai due Tritoni che sulle onde si librano e partecipano vivamente all'azione, quale essa sia. Ora i motivi ispirati alla fauna mitologica marina sono largamente rappresentati non soltanto nel catino dell'abside, ma ancora sui fascioni centrali delle vòlte delle navate minori, con Nereidi, Tritoni e ippocampi in isvariati e graziosi atteggiamenti.
Sulla parete di fondo della basilica, al di sopra della porta d'ingresso, come altro punto assai in vista, è riprodotta nel mezzo, al sommo della porta, la maschera di fronte dell'Oceano, lungochiomata e barbata, con due Tritoni ai lati. Anche nell'atrio, entro i quadretti delle pareti, al di sopra dei grandi specchi, son figure di Tritoni e di Nereidi, riconoscibili sull'abbozzo preliminare a stecca o sulla traccia lasciata dallo stucco caduto.
Che sul catino dell'abside sia rappresentato il transito simbolico di una gentile figura di donna, Saffo od altra eroina (certo una personificazione dell'anima), per simboleggiare la morte e il passaggio alle isole dei Beati, fu questa un'idea espressa, prima d'ogni altro, dallo stesso Fornari, quindi dal Cumont. Il mare, colle sue figurazioni mitologiche, assume perciò, nel simbolismo dell'azione, un'importanza essenziale. Allo stesso ordine di idee non possono a meno di collegarsi le figure dell'Oceano e dei vari Tritoni e Nereidi disseminati sulle pareti e sulle vòlte dell'ipogeo., E anche questo della fauna mitologica marina è un tema caratteristico dell'arte funeraria romana. Non si contano i sarcofagi e i cippi scolpiti con figure di Tritoni e di Nereidi, combinate talora con la maschera dell'Oceano E tuttavia degno di attenzione un particolare decorativo della tomba degli Anicii sulla via Latina, dove sopra gli archivolti delle porte è ripetuto costantemente il motivo dei due Tritoni racchiudenti al centro la maschera dell'Oceano.
Figure mitologiche isolate, nelle quali la funzione decorativa non soffoca il contenuto simbolico, sono poi: la figura di Attis, quattro volte ripetuta nella navata principale, agli angoli del riquadro centrale della vòlta; le varie maschere di Medusa, le quali ricorrevano e ricorrono in parte tuttora sulle pareti dell'atrio, sull'archivolto della porta d'ingresso della basilica, sulle facce principali dei pilastri, ma soprattutto numerose sulle vòlte delle tre navate; le maschere di Giove'Aminone, ripetutamente eseguite sulla vòlta della navata centrale. Il tipo di Attis pensieroso — Attis funerario, come si esprime il Cumont — è un simbolo funebre che s'incontra nella decorazione di monumenti funerari. Maschere di Medusa e di Giove Aminone si ripetono poi con una frequenza straordinaria sopra urne cinerarie e cippi, specialmente del I secolo dell'Impero.
Ma più significativo, per noi, di tutte le scene figurate, sinora passate in rassegna, e un quadretto inframmezzato nella decorazione della vòlta dell'atrio, di un simbolismo, come subito ini parve, assai trasparente. È quivi riprodotta una scena di apoteosi, con un genio alato volante, il quale regge sul dorso una figura di donna seduta, così come è figurata l'apoteosi di Antonino e Faustina sulla base della Colonna Antonina, e l'apoteosi, ancor più meritamente famosa, di Augusto nella zona superiore del grande cammeo di Francia, a Parigi. Particolare ancor più significativo, il Genius Aeternitatis (che tale la figura alata non può a meno di essere) tiene fra le mani un'anfora con la bocca rovescia. Chiara allusione dell'anima rapita da una forza sovrumana fuori del mondo, mentre i resti mortali, rappresentati dagli avanzi del rogo, sono abbandonati alla terra.
Quanto a motivi inanimati, i quali si contano in gran numero nella decorazione delle varie parti dell'ipogeo, sono importanti i motivi architettonici eseguiti in rilievo al centro degli specchi sopra lo zoccolo delle pareti della basilica, come di quelle dell'atrio. I motivi sono di vario genere, architettonici e statuari; ma scartando momentaneamente i secondi (statue specialmente di divinità), è facile qui riconoscere due tipi caratteristici di monumenti, compresi fra quelli elencati dal Rostowzew: cioè forte sacre e monumenti funerari propriamente detti, questi ultimi con colonna sormontata da un'anfora, presso un albero sacro, e chiusi entro un alto recinto, semicircolare per lo più, intersecato da finestre.
L'impiego di simili motivi nell'arte decorativa romana del I secolo, dovuto alla moda introdotta dall'arte ellenistica, s'incontra anche nella decorazione di edifìzì dai quali esula qualsiasi carattere funebre, come la casa romana della Farnesina. Ma il vederli ripetuti nella decorazione di camere sepolcrali e simili, come il Colombario Doria-Pamphyli, e il loro carattere innegabile di monumenti funerari, ci permette, insieme cogli altri motivi citati, di trarre indizi abbastanza sicuri intorno alla vera natura del monumento, dove, a differenza di altri casi, essi sono così numerosi e collocati tanto in vista.
Da tutta questa larga e pur affatto incompleta rassegna dei motivi ornamentali dell'ipogeo, risulta, credo, in maniera oramai sufficiente, il carattere spiccatamente funebre di esso. Di numerosi motivi, pur essi artisticamente e simbolisticamente non meno importanti di quelli accennati, non è qui contenuta menzione alcuna. Or potrebbe sorgere il dubbio che la scelta presente fosse una scelta intenzionale, a tesi, o quanto meno, che lo studio completo dei motivi, quali appaiono nella decorazione dell'ipogeo, possa modificare più o meno profondamente l'impressione generale. Soltanto l'illustrazione dettagliata del monumento in tutte le sue parti potrà eliminare un giorno simili dubbi. Ma è certo, ad esempio, che scene mitologiche di cui non si è fatto cenno (come quella di Medea e Giasone col vello d'oro nella volta centrale, di Eracle e di un'Esperide sopra una faccia di pilastro) possono essere facilmente ridotte ad esprimere un simbolo funebre, sia per la natura dei personaggi, sia per l'azione rappresentata (la vita e la felicità ultraterrene).
Un'altra scena mitologica ben nota, il supplizio di Marsia, trovandosi spesso ripetuta sopra sarcofagi romani scolpiti, si vede come fosse particolarmente adatta per la decorazione parietale di un monumento funebre; così la scena con Achille e il centauro Ghirone che vediamo riprodotta nella vòlta centrale, e ripetuta in bassorilievo, oltre che su sarcofagi, sopra un timpano ornamentale del colombario di Pomponio Ila.
Scene di genere; poi, come quelle ritraenti soggetti esotici, cioè motivi e personaggi africani, non sembrano presentare nessun carattere che ne giustifichi la presenza sopra monumenti di funebre destinazione, ma a questi non risultano neppure disdicevoli se l'artista del Colombario Doria-Pamphyli se ne servì introducendoli nella sua decorazione (3). Anche la scena delle nozze, figurata dentro uno dei riquadri lunghi della vòlta centrale, può avere, dato l'uso frequente che se ne fa nell'arte funeraria romana, un contenuto simbolico funebre di non diffìcile interpretazione.
Non si vorrà dubitare, infine, che le svariate figure di Eroti e di Vittorie, sparse a profusione sulle vòlte e sulle pareti dell'ipogeo, possano nulla modificare del contenuto funebre della decorazione. Per le Vittorie specialmente basta ricorrere agli eloquenti raffronti con il Colombario degli Arrunzì, ripetutamente citato (stucchi della vòlta), con la camera sepolcrale di Caio Cestio, con il Colombario dipinto di Pomponio Ila e altri simili numerosi.
Pur concedendo, come non si può a meno, una ragionevole libertà d'iniziativa alla fantasia dell'artista in mezzo a tutta una decorazione così eccezionalmente vasta e complessa quale quella dell'ipogeo anonimo di Porta Maggiore, e volendo ammettere che una tale libertà siasi esplicata anche ail'infuori del carattere e della destinazione del monumento, si dovrà tuttavia riconoscere che tale decorazione risponde a un chiaro e costante criterio informativo, il quale si riassume nello sforzo di sottolineare la destinazione funebre del luogo.
Scene di ratto, scene dionisiache, scene marine, figure mitologiche isolate come Attis, maschere di Medusa e di Giove Aminone, quadretti di genere come soggetti nilotici o cerimonie di nozze, scene mitologiche varie, motivi architettonici, tutto ci riconduce, con un'insistenza sempre più pressante, nello stesso ordine d'idee, e cioè che l'ipogeo ha destinazione funebre e che la ricchissima decorazione simbolica, nel suo complesso, ne è la più chiara testimonianza, poiché l'idea fondaamentale che l'ispira è quella della separazione dell'anima dal corpo. Cade così ogni ingiustificata prevenzione di inorganicità e irrazionalità degli elementi decorativi: circostanze, queste, le quali costituirebbero un serio ostacolo anche per l'asserito esclusivo carattere religioso del monumento.
Se l'ipogeo è dunque nient'altro che un edificio sepolcrale, si domanda ora perchè la cosa sia passata sinora inavvertita da tutti, ad eccezione del chiaro prof. Hiilsen che avanzò l'ipotesi del cenotafio di Antimoo, e dove mai fosse il luogo per le ceneri, tenuto conto che agli inizi del I secolo dell'Impero vige quasi incontrastato il rito della cremazione,' così per i ricchi come per i poveri. Si avverta bene che il contenuto funebre di talune scene, di taluni motivi isolati, non è sfuggito, si può dire, ad alcuno di coloro che trattarono finora del monumento, senza che perciò alcuno si ritenesse autorizzato, a ricavarne delle conclusioni decisive per l'esegesi monumentale. Così, studiosi eminenti come Fornari, Cumont, Paribeni, notarono e sottolinearono il contenuto funebre di talune rappresentazioni. L'ipogeo, del resto, è ben lungi dall'essere pervenuto sino a noi nella sua integrità.
Si è detto e ripetuto come a contatto con la parete interna dell'abside si trovasse già un sedile o trono, e sopra questo sedile si è lavorato abbondantemente di fantasia. Quale dio, quale sacerdote di culti misteriosi pontificava da quella cattedra. Due modesti incassi verticali sulla parete, distanti fra loro m. 0,60 e larghi ciascuno m. 0,15, alti m. 1, giustificano agli occhi di molti la presenza di una cattedra incassata in parte nel muro. Ma se, invece di una cattedra, si fosse trattato di un basamento, del piedistallo di una statua, assicurato in qualche modo, per mezzo di tiranti, alla parete? Certo è che, mentre di nicchia o abside può aver bisogno una statua, un'immagine anche di culto, mai, ch'io mi sappia, non si sono viste delle cattedre, dei troni internati nel muro, quando la persona che li occupa ha bisogno di essere a contatto e come circondata dalle altre persone che le fanno corteggio, e non già di restare nascosta in parte ed isolata da quelle.
Di antiche e spietate manomissioni, inoltre, sono segno evidente non solo le lacune dei quadretti ritagliati nello stucco ed asportati dalle pareti dei pilastri e il vuotò lasciato nell'abside, asportandone la statua di cui si ornava), ma ancora le incassature rettangolari rimaste vuote sul pavimento della sala negli intervalli fra i pilastri, altre incassature simili, più piccole, addossate ai pilastri stessi, e infine quella più grande di tutte, presso il limitare, nella navata centrale. Le prime incassature accennate misurano in media m. 0,50 X 0,40, le altre m. 0,34 X 0 34, l'ultima m. 1 X 0.62. Le dette incassature, oggi riempite di cemento allo scopo di regolarizzare il piano, onde non è più possibile calcolarne con esattezza la profondità originaria, misuravano ima profondità da 15 a 20 centimetri.
Dovendo renderci ragione, possibilmente, della presenza di queste lacune del pavimento, contornate da fasce nere di mosaico, non potremo davvero pensare che a quel posto si trovassero dei quadretti preziosi di mosaico, come da taluno si è ritenuto,! quali facessero tutt'una cosa col resto del pavimento: giacche nè quello sarebbe stato il posto indicato per quadri vistosi in mosaico, nè questi avrebbero potuto essere asportati facendo così piccolo danno al pavimento intorno. Si dovrà piuttosto pensare che negli interpilastri fossero piantati dei pilastrini, forse marmorei, con le basi di dimensioni esattamente uguali a quelle delle incassature del pavimento.
Di che offrono la prova tuttora evidente le tracce rimaste di pilastrini già appoggiati alla fronte principale dei grandi pilastri delle vòlte, in corrispondenza degli incassi suddetti. La presenza e le dimensioni di piccoli plinti, alti m. 0.85, sormontati da cornice, è dunque documentata; solo la destinazione resta incerta. Ma altrettanto innegabile, a mio parere, è la originaria presenza di plinti simili negli intervalli fra i pilastri. Incerta naturalmente l'altezza, ma possibile a determinarsi approssimativamente quando si considerino le dimensioni delle basi. Tali plinti marmorei, collocati fra i pilastri delle vòlte, in numero di sei in tutto, non poterono ad altro servire se non a sostenere urne o vasi, pur essi di marmo o d'altra più preziosa materia, contenenti le ceneri dei defunti. I plinti minori, poi, appoggiati ai pilastri delle vòlte, poterono servire come mensole per deporvi, se non vasi cinerari, parte della suppellettile funebre.
Che l'aspetto originario dell'ipogeo debba essere ricostruito appunto con plinti e vasi cinerari, collocati negli interpilastri, è cosa provata non soltanto dalle precedenti constatazioni, ma a più chiare note ancora da alcuni ornaménti a rilievo sulle pareti, ornamenti di carattere non semplicemente riempitivo. Lungo le due pareti longitudinali della basilica, al di sopra degli specchi, insieme con altri oggetti, sono disegnate a rilievo delle anfore e dei crateri in numero di otto, di notevoli dimensioni, in modo da dar nell'occhio, e di nobile ed elegante disegno e decorazione, collocati su plinti con basi e cornici sagomate. Quale e perchè il significato, la presenza, anzi la persistenza, di codesti vasi?
E ormai certo che l'artista ebbe presenti ai suoi occhi o alla sua mente gli oggetti da cui egli traeva l'ispirazione, usandone come partito decorativo. Del resto, nepppure qui l'artista ha saputo o voluto essere del tutto originale, avendo fatto ricorso a un partito che sembra fosse già in uso nella decorazione pittorica interna delle tombe monumentali. Nella camera sepolcrale della Piramide di Caio Cestio, infatti, vasi certo di carattere sepolcrale, di snelle e variate forme metalliche, poggiati su piccoli plinti, si alternano a figure muliebri simboliche, al centro di ciascuno specchio delle pareti, là dove nel nostro ipogeo sono collocati motivi architettonici e figure statuarie.
I nostri musei sono ricchi di vasi cinerari di marmo o di alabastro, di forme eleganti e riccamente decorati a rilievi. Poiché la decorazione di codesti vasi occupa intera la loro superficie esterna, senza soluzione di continuità, si può ammettere che almeno qualcha volta le urne fossero fatte per esser non già collocate nelle nicchie dei colombari, ma messe in maniera da essere vedute da ogni parte; il che era possibile soltanto quando i vasi cinerari fossero stati collocati sopra appositi plinti.
Il tipo per una tale sistemazione delle urne cinerarie nell'interno di camere sepolcrali era poi offerto dall'architettura funebre in uso all'aperto, con colonne sormontate da vasi; i numerosi esempi del genere, offerti dell'ipogeo di Porta Maggiore, sono oltremodo istruttivi a tale riguardo. Che non tutti i vasi rappresentati in rilievo sulle pareti dell'ipogeo abbiano la forma di anfore, e che questi possano essere piuttosto interpretati come vasi agonistici, è argomento questo di nessun nocumento alle nostre conclusioni. Anche i vasi dipinti nell'interno della camera sepolcrale di Caio Cestio sono di forme svariatissime e certamente non tutti della forma di cinerari.
Per convincersi, poi, come appunto nel senso osservato fosse diretta la ricerca 'degli effetti decorativi negli edifici romani, basta considerare le belle tavole fìttili di età imperiale sino a noi pervenute, con prospetti architettonici di palestre. Negli intercolunnii di simili edifici, insieme con erme e statue propriamente dette, si veggono collocati dei ricchi vasi ornamentali, sopra alte basi o plinti. Dall'alto pendono degli oscilla di vario genere. Affatto identico era il caso dell'ipogeo, nel quale al sommo delle vòlte, fra un pilastro e l'altro, rimangono tuttora i fori, nei quali s'imperniavano le catene per sostenere gli oscilla L'artista poi ripeteva mediante lo stucco sulle pareti, con una certa libertà, dentro o fuori degli specchi, gli stessi motivi, ch'egli riprendeva dal vero. Dopo di che non credo che l'arte romana ci abbia lasciato, fuori dell'ipogeo di Porta Maggiore, un più interessante ed eloquente esempio della natura dello stile architettonico, o II stile.
E un altro problema è forse in gran parte risolto dalla restituzione del monumento nella maniera indicata: il problema della assoluta mancanza di epigrafi nell'interno dell'ipogeo. Iscrizioni funebri dovevano esservi; ma queste si trovavano probabilmente inserite entro cartelli iscritti nella decorazione stessa dei vasi, particolare anche questo di cui abbondano esempi. Qualche magnifico esemplare del genere si trova nella galleria dei Candelabri al Museo Vaticano.
L'interpretazione or ora data dell'ipogeo e del contenuto della sua decorazione procederebbe quindi senza gravi obbiezioni sino alla fine, ove una difficoltà, in apparenza di qualche rilievo, non si frapponesse al nostro cammino. Nella esplorazione del piano sottostante all'abside furono rinvenute ossa di animali, resti di un sacrificio espiatorio (3j. Residui di ossa di animali sacrificati si sarebbero anche trovati nelVimpluvium dell'atrio. Ritornano così in discussione la struttura architettonica dell'ipogeo, particolarmente adatta per un luogo di culto, e l'ara la quale già trovavasi collocata quasi all'ingresso della sala e di cui non rimane se non la traccia in cavità nel pavimento della nave centrale. Si aggiungano a ciò le figure di oranti, le trapeze con offerte votive, le immagini di divinità e le scene di culto disseminate sulle pareti della sala, più che mai indicate a corroborare l'idea del luogo di Culto. È stata dunque invano tutta la nostra fatica?
Prima di ritornare sui nostri passi, è il caso di domandarsi se l'idea di monumento sepolcrale e quella di luogo di culto siano così profondamente antitetiche da non poter in qualche modo sussistere una accanto all'altra. La religione cattolica ha lungamente permesso e permetterebbe tuttora di seppellire nell'interno delle chiese, ove tale costumanza non fosse stata già vietata, or è poco più di un secolo, dai regolamenti d'igiene. Un edificio di natura e destinazione sacra serve dunque occasionalmente anche da cimitero Ma non è questo il caso che possa valere per l'ipogeo di Porta Maggiore, ideile moderne necropoli accade tuttavia frequentemente di vedere delle cappelle funebri gentilizie, nelle quali, accanto agli avelli, trovasi eretto l'altare consacrato, per la celebrazione della messa e di altre sacre funzioni.
Quale prova abbiamo noi che una costumanza così tradizionale e diflusa nella religione cattolica, tanto più intollerante in fatto di liturgia, non potesse essere ammessa nella religione romana ? Bel resto, poiché anche il Fornari pensava a culti di dèi ctonii, la cosa diventa più che naturale per un sepolcro, dove incombe la presenza degli dèi Mani. Ma anche qui non ci vengono meno le testimonianze per una dimostrazione positiva della nostra tesi, nella figura di sopravvissuti monumenti sepolcrali romani. Il monumento lungamente denominato del dio Rediculus, presso la via Appia, è stato riconosciuto come un edificio sepolcrale, cui accedono delle caratteristiche di edificio sacro. Tali il monumento detto tempio della Tosse presso Tivoli, Tor de' Schiavi sulla via Prenestina, ed altri. Le are per i sacrificii probabilmente non mancavano neppure nell'interno di taluno di questi monumenti, sebbene, dopo tante sistematiche depredazioni, non ne rimanga traccia.
Altri monumenti del genere, basilichette sotterranee, cioè, rinvenute a Roma in tempi diversi, furono dal Lanciarli richiamati opportunamente a proposito della Basilica di Porta Maggiore; luoghi di culto quelli effettivamente riconosciuti per tali dalla presenza constatata di suppellettili, iscrizioni e ornati di indubbio significato. Ma allo stesso modo che per quegli edifici non si ebbe bisogno di riscontrare tracce di un sacrificio espiatorio qualsiasi per dare ad essi il loro vero nome, così mi sembra che la constatazione effettiva del sacrificio nel caso nostro non costituisca la prova definitiva della natura esclusivamente religiosa del monumento. Il quale conserva inoltre una decorazione complessa di un contenuto così speciale e presenta, inoltre, tali novità di particolari architettonici, (come i pilastrini o plinti ai lati della nave centrale), che non è assolutamente lecito prescindere da caratteristiche così notevoli, per correre dietro ad analogie di assai dubbio valore e significato.
La diffusione di un tipo di sepolcro o mausoleo, d'una forma cosi monumentale e caratteristica da potersi scambiare per un luogo di culto, è stato nel mondo romano e classico, in generale, maggiore di quanto si creda. E dello Strzygowski la scoperta e pubblicazione di un ipogeo dell'anno 259, rinvenuto presso Palmira, edificio a crociera, adorno di pregevoli pitture. Importante per. noi il fatto che su pilastri dell'ipogeo siano dipinti ritratti entro medaglioni sostenuti da Vittorie. È stato dagli archeologi ben notato che la pianta dell'ipogeo è quella stessa che viene poi adottata per edilizi cristiani, come è il caso della nostra basilica.
Sono comunissimi i cippi in forma di are, anzi è questa la loro forma più comune. Ai lati di questi cippi, o are funerarie, si trovano costantemente la patera e l'urceolo, cioè gli arnesi per le libazioni sacrificali. Non si sono mai trovati finora, nella esplorazione di sepolcri monumentali, avanzi di sacrifici catartici o purificatori, come nel caso nostro; ma ciò forse, più che altro, per insufficienza di accurate ricerche. In ogni modo ci basti stabilire che la destinazione sepolcrale di un monumento non ripugna alla celebrazione di sacrifici.
L'architettura sepolcrale romana ha sviluppato questo tipo di tempio-sepolcro, o mausoleo, anche in provincia, e particolarmente, sembra, nell'Africa settentrionale, dove se ne ammirano tuttora dei classici esempi. Per Roma basta ricordare il sepolcro degli Aterii figurato in un bassorilievo celebre, per formarsi un'idea appropriata della struttura esterna di monumenti sepolcrali, affatto simile a quella di un tempio. Tale architettura non può essere venuta in moda se non agli inizi del I secolo, in armonia col fasto dell'età augustea.
L'ipogeo di Porta Maggiore, trovandosi al principio di cotesta fase, riproduce solo all'interno certe forme architettoniche meglio indicate per edilizi di culto, dei quali in sepolcri posteriori, eretti soprassuolo, era esattamente imitato anche l'aspetto esterno. Esso risente invece della tecnica costruttiva ipogea comune ad altri monumenti sepolcrali contemporanei, scoperti in passato nelle adiacenze di Porta Maggiore.
Tali i Colombari degli Arrunzi e degli Statilii. A proposito del primo dei quali conviene insistere, più che non si è fatto sinora, sulla reciproca strettissima comunanza in fatto non soltanto di soggetti mitologici e simbolici, ma anche di minuti partiti decorativi, cosa che ci permette di considerarli assai strettamente vicini anche nel tempo. Le immagini di divinità, poi, si addicono abbastanza bene anche alla decorazione di un monumento sepolcrale come il nostro, per il costume, invalso si può dire in tutti i tempi e in tutte le religioni, di mettere i morti sotto l'immediata protezione della divinità. Basta, del resto, riferirsi ancora una volta alla tomba degli Anici sulla via Latina, per averne la conferma. Sulle pareti della tomba presso la vòlta, si veggono infatti, entro riquadri, le figure di Mercurio, Bacco, Sileno e Apollo. Tutti gli altri motivi ornamentali di carattere religioso si spiegano, quindi, secondo lo stesso simbolismo.
Le presenti conclusioni, del resto, non costituiscono, sotto un certo aspetto, una novità, ma sono piuttosto un corollario delle idee dello stesso Cumont, là dove egli dice che i caratteri della decorazione indicano che la Società esoterica che si riuniva in quel ritiro (o piuttosto, secondo noi, i superstiti della famiglia) assicurava ai suoi addetti la salute nell'altra vita. Potrà sorgere questione se il concetto religioso informativo sia da far risalire al neo-pitagorismo o al culto orfico e dionisiaco, oppure ad un sincretismo di queste varie correnti religiose, come è opinione di Leopold.
Ma è questione secondaria questa, che dovrebbe lasciarci indifferenti, ove non portasse una certa conferma all'idea del sepolcro. Tutti i monumenti sepolcrali romani, tombe dipinte, cippi, sarcofagi scolpiti e simili, ci presentano un repertorio figurato che dal punto di vista religioso non può a meno di essere riportato ad un sincretismo pitagorico-orfico-dionisiaco. Soltanto la pratica destinazione funebre del monumento serve a dare alla multiforme decorazione figurata quell'unità logica che altrimenti
non avrebbe: proprio come nel caso della nostra Basilica. La quale, per tutte le ragioni anzidette, assume un aspetto completamente nuovo, ben caratterizzato dal. termine proprio di Mausoleo.
La famiglia gentilizia che commise la costruzione di quel monumento di pietà per i suoi morti e l'architetto che ne curò, l'esecuzione pensarono di scavare nel suolo, come di solito sul margine di una via, un edificio di cui non si conoscesse l'uguale per grandiosità e magnificenza, un vero e proprio mausoleo, a prescindere dall'originalità o meno dell'architettura e dei motivi ornamentali, e in cui la destinazione sepolcrale non disdicesse alla celebrazione di sacrifici religiosi. Nonostante questa accessoria destinazione religiosa, intatto resta per il monumento il carattere sepolcrale, che ne giustifica l'origine, la truttura architettonica in parte e tutta o quasi la decorazione. Si avverta, però, che l'abside, con relativo catino decorato, doveva essere abbastanza in uso nell'architettura funebre del 1° secolo, riscontrandosi, ad esempio, nel Colombario di Pomponio Ila sulla via Appia.
Quale culto fosse quivi celebrato, è cosa per noi, in fondo, di secondaria importanza, tanto più che un tale culto, quale si fosse, non può a meno di aver avuto (come si è detto) una stretta attinenza col culto dei morti. Una statua certo campeggiava nella nicchia dell'abside, e davanti a quella ardevano i sacrifici sull'ara in fondo alla basilica. Non è però escluso che, invece di una statua di divinità, fosse collocata al posto di onore una statua riproducente le sembianze e l'aspetto di uno dei defunti, di cui le ceneri si conservavano nel mausoleo; così come i medaglioni eseguiti in rilievo sui pilastri dell'ipogeo non sono se non ritratti di defunti.
Conviene qui ricordare che l'età dell'ipogeo può anche restare compresa fra la proclamazione del clivus Caesar e quella del divus Augusti. Del resto, è aperto il campo alle congetture intorno al culto, come intorno alla famiglia proprietaria dell'ipogeo. Per via d'induzioni speciose il Fornari, il quale pensava ad un santuario, era arrivato ad attribuirlo alla famiglia degli Statilii, servendosi sopra tutto di un passo di Tacito. Siccome, a mio modo di vedere, è da escludersi l'idea del santuario puramente e semplicemente, cadrebbe il ragionamento, su cui poggiava l'ipotesi del Fornari, già accettata, con entusiasmo forse intempestivo, da altri studiosi dell'argomento, come il Cumont e il Leopold. Il quale ultimo si è adoperato con iscarso frutto, a mio parere, a dare un principio di consistenza storica a quello sfondo di romanzo drammatizzato dal Fornari. Ma io non nego e certo sarebbe assai seducente, sebbene d'ardua dimostrazione che possa essere stato quello il mausoleo della stessa famiglia patrizia degli Statilii, cui ben si converrebbero la grandiosità ed il fasto spiegati nel monumento.
È stato osservato che la costruzione dell'ipogeo fu seguita con procedimenti tecnici i quali miravano ad escludere l'intrusione di occhi profani e a garantire il segreto intorno al monumento. I procedimenti tecnici speciali possono anche essere stati richiesti dall'eccessiva angustia dello spazio disponibile, dato che il sepolcro doveva sorgere in zona obbligata, presso la via Prenestina, stretto forse molto da vicino da monumenti del genere. Del resto, soltanto chi dimentichi quale gelosa e minuziosa cura gli antichi ponessero sovente nel tener lungi da occhi e da cupidigie profani le sedi dei morti: soltanto chi dimentichi le imprecazioni delle lapidi sepolcrali contro gli eventuali profanatori, potrà stupirsi del segreto onde si volle circondare il mausoleo; il cui segreto era certo più che giustificato dalla ricchezza della suppellettile funeraria, proporzionata alla ricchezza della decorazione parietale.
Secondaria in un senso, significativa in un altro, è poi la questione della irregolarità evidente di taluni particolari architettonici dell'ipogeo; irregolarità ancor tollerabile in un monumento destinato ad uso sepolcrale; ineseusabile, direi, in luogo unicamente frequentato per ragioni di culto.
Sfatate molte prevenzioni, sembra possa così finalmente restare assodato che l'ipogeo anonimo di Porta Maggiore nacque e servì come edifìcio sepolcrale gentilizio o mausoleo, e. non come santuario e tanto meno come luogo di misteri, quali si vogliano, anche se con una destinazione accessoria di culto funerario. Nulla di misterioso, dunque, nell'ipogeo, che si restituisce con sicurezza perfino nella suppellettile mancante.
Lo storico francese Carcopino dimostra l'appartenenza della basilica di Posta Maggiore ad una setta neopitagorica. Un passo poco conosciuto di Plinio il Vecchio, accenna ad una certa erba che aveva la proprietà di rendere affascinante all'altro sesso chiunque riusciva a trovarla nelle campagne, “a ciò credevano non solo quelli che si interessavano di magia, ma anche i pitagorici”.
La cosa capitò a Faone, e la povera Saffo, innamoratasi perdutamente di lui senza esserne corrisposta, si uccise lanciandosi dal promontorio di Leucade. L'episodio fa parte degli stucchi della basilica, ed occupa anzi una posizione predominante: tutta la parte superiore dell'abside semicircolare. Lo storico francese attribuisce l'appartenenza de complesso agli Horti Tauriani, proprietà di quel Tito Statilio Tauro citato in giudizio per pratiche magiche da Agrippina, la madre di Nerone, e che per non subire l'onta del processo, si tolse la vita nel 53 d.C..
Avrebbe dunque potuto far parte di una setta misterica (che fornì il pretesto alle accuse di magia) e la Basilica (presente a margine degli Horti Taurian) la sede di un culto neopitagorico. La datazione dell’ipogeo corrisponde infatti al periodo in cui il patrizio romano era in vita.
Per salvaguardare la Basilica ipogea di Porta Maggiore, dalle vibrazioni della soprastante ferrovia e dalle infiltrazioni umide, lo staff tecnico delle Ferrovie di Stato, sotto la direzione dell'ing. Ezio Orlandini, procedono con una imponente opera di consolidamento. La Basilica viene inscatolata in un solido involucro di calcestruzzo armato. Mediante opportuni condotti di sfiato collegati con l'esterno è garantita la ventilazione degli ambienti sotterranei. I lavori di isolamento della struttura, costati 320 milioni di lire, impiegano 1.000 quintali d’acciaio e 5.500 mc. di cemento.
La basilica, che si trova a margine degli Horti Taurian, fu operativa solo per pochi anni, come si ricostruisce dallo stato di conservazione di affreschi e muratura e dal fatto che non fu mai più riutilizzata. Fu completamente interrata e occultata o per una damnatio memoriae voluta dell’autorità imperiale o per deliberata scelta del proprietario che volle portare con sé, prima della condanna e del suicidio, i segreti di questi culti misterici.
Per la costruzione si adottò un metodo semplice ed economico: si scavarono nel tufo trincee e pozzi, che vennero poi riempiti con un getto di conglomerato cementizio di calce e pozzolana misto a scaglie di selce, divenendo rispettivamente i muri perimetrali e i pilastri divisori dell'aula.
L'impianto architettonico si compone di un corridoio di accesso che scendeva lungo il lato settentrionale del complesso per poi piegare ad angolo retto e raccordarsi al Vestibolo, caratterizzato da una pianta quadrangolare di 3,6 metri, con volta a padiglione traforata da un lucernario.
Il vestibolo o pronao misura m. 8,62 X 3,50 di lato, ed ha il pavimento di musaico a tasselli bianchi, con doppia fascia a tasselli neri lungo le pareti. Il piano el pavimento è. leggermente inclinato verso il centro, dorè esiste un pozzetto, largo m. 0,88 X 0,53, profondo m. 2,55, circondato da una doppia fascia nera ai cui angoli lunghezza di circa m. 8,80, e termina nel piano in una specie di vasca concava.
Tanto il pozzetto quanto il cunicolo sono scavati nel terreno vergine (cappellaccio di pozzolana), e servivano per raccogliere e smaltire l'acqua che eventualmente cadeva dal lucernario. Sopra il lucernario, in corrispondenza di uno dei lati lunghi, fu riconosciuto un muro di buona opera reticolata di tufo, dello spessore di m. 0,60, il quale serviva a recingere il vuoto del lucernario a guisa di parapetto.
Il vestibolo ha due ingressi arcuati: quello nella parete nord, largo m. 1,40, comunica con la galleria che dava accesso al monumento dall'esterno; l'altro, che si apre nel mezzo della parete est, largo m. 1,49, comunica direttamente con l'interno del monumento.
L'apparato decorativo viene arricchito dall'uso della policromia sia sulla volta, anche qui ripartita in quadretti figurati, sia sulle pareti dove si ripetono i temi paesaggistici vivacizzati dalla presenza di uccelli e ghirlande floreali.
Nelle due vele principali, racchiuse in medaglioni, sono raffigurate Menadi a cavallo di pantere, e nei campi minori sono rappresentati Eroti con anfore, con tiro di capre, con farfalle, oppure candelabri. Gli stucchi bianchi racchiusi in cornici, sono quasi scomparsi e ne rimangono solo le impronte. Un fregio in morellone accompagna lo stacco tra la volta e tra le pareti.
La base invece decorata da uno zoccolo dove sono presenti afferschi del III stile, quadretti con paesaggi, uccelli e figure femminili con ghirlande e strumenti musicali. Il pavimento è realizzato a mosaico con tessere bianche nello sfondo e due fasce nere lungo i muri perimetrali. e spighe agli angoli. Al centro si trova un tombino per drenare le acque che entravano dal lucernario, anch'esso circondato da una doppia cornice nera con quattro spighe.
Dal vestibolo si entra nell'aula principale di 12 metri di lunghezza, 9 di larghezza, 7 di altezza e 108m² di superfice, suddivisa da sei pilastri in tre navate coperte con volte a botte. La centrale più ampia, presenta sul fondo un'abside. L'allineamento della sala sull'asse est (abside) ovest (vestibolo), permetteva di illuminare al tramonto l'abside, tramite la luce del lucernario.
Cornici modanate delimitano specchiature geometriche con rappresentazioni figurate con temi della mitologia classica, di rituali mistici o scene di vita quotidiana: figure femminili e di offerenti, vasi, candelabri, strumenti musicali, mense. Realizzati utilizzando grassello di calce (un legante a presa aerea composto da idrossido di calcio e acqua) e polvere di marmo. Il bianco è il non-colore dominante di questi interni e bianco era il colore distintivo dei pitagorici e, in quanto leukòs, cioè luce, gradazione simbolica dell’apollineo. Febo è il dio della solarità mediterranea.
Nell'abside è rappresentata la poetessa Saffo che si lancia dalla Rupe di Leucade, al cospetto di Apollo e Feonte. Leucotea apre il suo velo e Saffo è accolta da un tritone. La scena rappresenterebbe la purificazione dell'animo dal peso della materia e la sua metempsicosi in una vita diversa, secondo l'insegnamento di Pitagora e seguito dai neopitagorici.
Sulla volta della navata centrale sono raffigurati Medea che offre una bevanda al drago che custodisce il vello d'oro, Calcante nell'atto di recidere le chiome ad Ifigenia, Ercole e Minerva, Paride ed Elena, uno dei Dioscuri che rapisce Leucippe, Oreste ed Elettra, Ulisse ed Elena, Ercole che lotta con un mostro marino, il Centauro Chirone e Achille, Calcante e Ifigenia, Arimaspi (uomini con un unico occhio) che lottano con grifoni, i segni zodiacali del Toro e dei Gemelli, una scena campestre, una danza grottesca, giochi della palestra, palmette, candelabri, donne con anfore, maschere di Ammone, Attis, un matrimonio, un maestro di scuola, candelabri e vittorie.
Le decorazioni del fondo delle navate laterali sono delle figure con braccia aperte e un fiore in ciascuna mano (in alto) e suppellettili varie (in basso).
Sulla volta della navata laterale sinistra sono raffigurati teste di Meduse, Nereidi, Vittorie alate, Apollo e Marsia, Fedra ed Ippolito, oggetti rituali, il culto del liknon, la danza di Agave, il culto del serpente.
Sulla volta della navata laterale destra sono rappresentati maschere gorgoniche, scene di sacrificio e liturgiche, gruppi sacri, un Erote con vasca, un Erote in corsa, Nereidi, Baccanti, Meduse, Danaidi, Oreste e Polissena, Hermes ed Alcesti, il culto del capriolo, il filo di Arianna.
Su ogni pilastro vi erano raffigurati due quadri: in uno Ercole è seduto con una delle Esperidi che gli consegna i pomi. Sono raffigurati anche ritratti. Sull'interno dei pilastri si trovano raffigurati candelabri. I fori al centro di ogni arcata testimoniano la presenza di lampade ancorate in sospensione con catene.
Il pavimento dell'aula è ricoperto da un mosaico a tessere bianche, con due fasce a tessere nere che incorniciano i muri perimetrali, i pilastri e le basi che si trovavano davanti ad essi e al centro delle campate, asportate in epoca antica.