Codice identificativo monumento: 8591
Nei disterri per la nuova via dello Statuto, fra la via Merulana e la chiesa di S. Martino ai Monti, alla profondità di m. 4,00 ed in suolo di scarico, è stato scoperto un simulacro della Fortuna, scolpito in marmo greco, di buon artificio. Manca della testa, del timone, e del cornucopia: nel resto è intatto; tal che il marmo conserva in molti punti la lucentezza primitiva. La statua è alta sino alla frattura del collo m. 1,13.
Rodolfo Lanciani.
Nei disterri per la via dello Statuto (oggi via GIovanni Lamza), a circa 30' metri di distanza dalla abside di S. Martino ai Monti, è stato ritrovato uno stanzino di 4 m. quadrati, coperto a volta di tutto sesto. Il pavimento è commesso di palombino e lavagna: le pareti sono dipinte di oltremare e cinabro. Nella parete di fondo, s'apre una nicchia semicircolare : nelle pareti di lato, due piccole nicchie rettangole per ciascuna. Le nicchie hanno mostre, cornici e timpano intagliati in istucco, di vaga maniera.
Nella nicchia di fondo, sta collocata una statua marmorea di proporzione al vero, rappresentante Iside con gli attributi della Fortuna- Abbondanza , vale a dire col cornucopia nella sinistra e il timone nella destra. Ha la stefane sormontata dall'uréus.
La faccia della dea è in gran parte dorata; nell'abbigliamento e nel cornucopia si osservano traccio di policromia. Nelle quattro uicchiette laterali, sono state ritrovate le seguenti scolture: Una figurina di Venere. Altra statuetta di Ercole. Statuetta di Plutone sedente, con Cerbero a lato. Busto di Giove Serapide. Testa di Giove. Tre ermette bacchiche.
Altri frammenti di torselti ecc. Una tavoletta votiva di squisito lavoro egizio, intagliata in pietra dura (verde ranocchia) con la perfezione di un cammeo. È interamente ricoperta di figure e di geroglifici, l'interpretazione dei quali sarà prontamente suggerita da distinto egittologo.
Rodolfo Lanciani
Nella via dello Statuto (oggi via Giovanni Lanza), presso la tribuna di S. Martino, è stata scoperta la fronte del larario di casa privata, già descritto nelle Notizie del mese scorso.
Il larario corrisponde nel mezzo del lato orientale dell'atrio, il quale era ornato di preziose colonne di giallo. Sulla destra della cappellina (la quale forse in origine ebbe diversa destinazione, essendo identica nell'architettura a talune fontane di atrii pompeiani) s'apre una bassa porta, con architrave monolite di travertino, e per essa si penetra in un andito angusto ed oscuro, in fondo al quale si ritrova una scaletta.
Discesi otto gradini, si veggono a destra e a sinistra duenicchiette, tagliate irregolarmente nelle pareti reticolate, ognuna delle quali contiene una figurina di marmo, esprimente, secondo ogni probabilità, il Genio del solstizio, vestito alla frigia, con la face all'iugiù. In fondo alla scala, alla profondità di m. 4,00 sotto il piano dell'atrio, si ritrova uno stanzuolo quadrilatero, già destinato per uso di mitréo.
Nella parete a sin. dell'ingresso, all'altezza di m. 1,50 sul pavimento, v'è uno sporto, formato da lastra di marmo retta da due mensole, sul quale è collocato, a fil di muro, il bassorilievo col Mitra taurottono e coi noti simboli del cane, dello scorpione etc. In alto il busto del Sole radiato, lo sparviero etc. Sull'orlo della mensola marmorea si veggono perni di metallo, con traccie delle faci di legno resinoso.
Sulla mensola istessa stanno collocate alcune rozze lucerne fittili, ed altre si veggono poste entro nicchiette tagliate irregolarmente nelle pareti. Dinanzi al rilievo mitriaco, e quasi nel mezzo dello speleo sta l'altare, formato con un capitello ionico, capovolto, e posto sopra uno zoccolo cilindrico.
Giacciono dispersi sul pavimento vasellini fittili di varia forma; ma può darsi che sieno rotolati giìi dalla scala, e che non abbiano relazione alcuna coi misteri che celebravansi in quest'antro profondo e nascosto.
Continuandosi la esplorazione della casa, cui appartenevano il larario ed il mitréo precedentemente descritti, sono stati ritrovati i seguenti oggetti: a) Cammeo a due strati, di forma ellittica, il quale misura 57 millimetri nel diametro maggiore, 43 mill. nel diam. minore, e presenta um busto imperiale in altissimo rilievo. Benché lavoro del secolo terzo, pure è mirabile per la perfezione del disegno e dell'intaglio.
Il busto è giovanile, imberbe, laureato, paludato. La conservazione è perfetta, b) Anello d'oro, con gemma incastonata, lavorata d'intaglio ad alto rilievo. Eappresenta un busto virile barbato, con qualche rassomiglianza ai lineamenti di Socrate, c) Colonna integra di portasanta, lunga m. 3,70 larga all'imoscapo m. 0,45. Non sembra che sia stata mai in opera, d) Due mezze colonne di nero antico, alte m. 1,60.
Rodolfo Lanciani.
Relazione del prof. Michele Stefano de Rossi sul larario e del mitrèo scoperti nell'Esquilino presso la chiesa di S. Martino ai Monti.
Le scoperte dei monumenti riferibili a tempi assai più recenti; ed in ispecie gli avanzi di una casa di qualche splendidezza e decoro, sono stati presi a disamina e studiati dal prof. Enrico Stevenson, il quale ne avrebbe qui stesso prodotto un'accurata descrizione ed un commento, se una prolungata indisposizione di salute non gli avesse impedito di condurre a termine l'intrapreso lavoro.
Siccome peraltro la scoperta del larario conservatissimo di detta casa, e quella del mitreo domestico, rinvenuto pressoché intatto nei sotterranei della medesima, hanno destato in modo singolare la erudita curiosità e l'attenzione del pubblico, così mi è parso opportuno di non differire più a lungo la pubblicazione di questi due monumenti; e tanto più, essendone già da qualche tempo apparecchiati i disegni, che furono ricavati sul luogo ed eseguiti con lodevole perizia in litografia, per mano del pittore sig. Luigi Ronci.
Io dunque, lasciando intatto il campo al prelodato collega, per lo scritto che vorrà compiere e divulgare in appresso, quando ancora tutta la icnografia del luogo sarà stata riconosciuta e delineata, mi ristringerò ad esibire le tavole di cui si tratta, corredandole di qualche brevissima annotazione, e di un elenco degli oggetti di scultura, che si trovarono, o al posto, o fuori di posto, nell'interno del larario.
La tavola III ci offre la veduta prospettiva di esso larario, o cappella domestica (sacrarium); addossato ai muri del cavedio, ed avente a fianco una porticina, per cui si scende nel mitrèo sottoposto. Si sa che nelle case, lo quali non aveano peristilio, il sacrario si facea nel cavedio, o nell'atrio.
Siccome ognuno vede, il larario ha la forma di una edicola, sormontata dal suo frontone ed isolata, tranne la parte posteriore, aderente, come dicemmo, alle pareti del cortile. Molto sovente, com'è notissimo, i lararii prendevano appunto la forma di edicola, come si vede in Pompei: e noi ne abbiamo anche in Soma un bellissimo esempio in quella casa antica del Trastevere, che nel secolo III dell'era volgare era occupata dallo escubìtorio della coorte VII dei vigili, reso poi carissimo agli epigrafisti dalle iscrizioni, che quei militi vi lasciarono incise su per gli intonachi delle pareti.
Il larario trastiberino, peraltro, è costruito semplicemente di buona opera laterizia, destinata a rimanere scoperta; mentre quello di cui trattiamo, appartenuto certamente ad una casa più cospicua, ostentava e materiali più ricercati, ed una decorazione più sontuosa.
La casa di cui fece parte questo sacrario, sebbene sia fondata sopra costruzioni più antiche, tuttavia nella massima parto delle sue strutture si palesa edificata circa il tempo di Costantino, o poco innanzi; siccome ha giudicato l'illustre collega comm. Laudani di un altro fabbricato poco discosto, anzi forse formante in origine tutto un corpo con questo. I mattoni bollati che ne furono estratti comprendono un largo intervallo di tempo: poiché ve ne ha taluno dell'età degli Antonini, mentre poi non ve ne mancano della cristiana officina Claudiana, e di quelli ben noti del re Teoderico.
Ma intorno a ciò tratterà di proposito il collega Stevenson in altra occasione. Venendo adunque al larario, le riproduzioni accuratissime che ne diamo mi scusano al tutto dallo estendermi nella sua descrizione.
La tavola III rappresenta, come dissi, la edicola nello stato in che fu rinvenuta, veduta alquanto di fianco. La
tav. IV e V, che contiene anche la sezione del mitrèo, lo esprime di fronte ed in proporzioni alquanto maggiori. Tanto all'esterno, quanto all'interno avea un ricco rivestimento di lastre marmoree, delle quali rimangono qua e là poche tracce; ma di cui ben si veggono sull'intonaco le impressioni delle commissure.
La volta della edicola era dipinta di rosso: dipinti a diversi colori erano pure gli stucchi delle cornici che adornano, sì la nicchia principale dov'è la statua della Fortuna Iside, e sì le minori laterali, di forma quadrata, ov'erano disposte le immagini dei Lari e dei Penati. Il pavimento di marmi (Uthostroton) e formato di tanti segmenti romboidali, alternati di marmo bianco e di nero. L'altezza totale della edicola è poco più di tre metri. Faccio seguire la descrizione e qualche nota sugli oggetti che vi furono rinvenuti.
1) Iside-Fortuna, statua minore alquanto del vero. Marmo pentelico; alta, compresa la pianta, m. 1,50. Conservazione quasi perfetta, mancando soltanto un dito della mano sinistra, e la punta del cornucopia. Mantiene qua e là, ma specialmente nel volto, chiarissime tracce della doratura, Era posta nella nicchia principale del larario.
La figura insiste sulla gamba dritta: è vestita di tunica, con mezze maniche abbottonate, cinta sotto il seno da uno strofio, e di manto, che dalla spalla sinistra, girando dietro il dorso, scende sul fianco dritto, e di colà è richiamato sul braccio sinistro, che regge il cornucopia colmo di frutta, e sormontato dal vomere: il braccio dritto abbassato stringe il manubrio del timone poggiato sul globo, ed insieme un mazzolino di spighe e di papaveri. La dea ha la testa cinta di stefane, la quale è sormontata dal disco lunare posto fra due serpenti; e dal disco suddetto si erge un gruppo di spighe. Ha i capelli divisi sulla fronte e riavviati verso l'occipite, dove formano un nodo, cliclascia due ciocche pendenti sulle spalle. Il tipo della figura o all'incirca il medesimo che si trova sovente adottato dall'arte greco-romana per rappresentare la Fortuna; e di cui esistono ben molti esemplari, e due bellissimi nel museo vaticano (Museo pio clem. II, tav. XII; mus. Chiar. Il, tav. XIV).
Che la statua rappresenti Iside-Tiche non accade dimostrarlo, poiché lo pongono fuori di dubbio, da una parte, il governale appoggiato sul globo ; dall'altra, il mazzolino di spighe che la dea porta in mano, e sulla stefane (Isis fugifera caelestìs Orell. 1894); ma specialmente il disco lunare accostato dai due serpenti: questo è speciale caratteristica d'Iside, la quale espressamente le venne appropriata da Apuleio; e perciò un tale ornamento distingue parecchie sue immagini ; come, per esempio, un busto vaticano; uno della villa Albani s; e la testa antica riadattata della nota statua del Belvedere al vaticano; alla quale, essendo stati modernamente aggiunti gli attributi di Igia, fu da E. Q. Visconti denominata Iside Salutare.
La rappresentanza di Iside-Fortuna già incomincia a comparire nelle pitture pompeiane. Ella si trova fra i Penati dei lararii domestici; ed a questo uso devono aver servito le molte statuette in bronzo di questa duplice divinità, che si rinvennero in Ercolano ed altrove. Nel nostro larario ella tiene il luogo principalissimo, come quasi la regina dei Penati della casa.
2) Giove Serapide : statuetta sedente del tipo consueto. Marmo lunense, alta m. 0,25. È acefala, e mancante di parte delle braccia, delle quali il sinistro era sollevato e si appoggiava allo scettro. Il nume siede sul suo trono a largo dorsale,
con suppedaneo sotto i piedi. È vestito di tunica discinta, e di manto, che parte dal braccio sinistro e passando dietro il dorso scende a coprire le gambe. Presso la gamba dritta sta Cerbero. Stile trascurato.
3) Giove Serapide: busto con suo peduccio. Marmo lunense, m. 0,48. Ha il petto vestito di tunica, con manto sulla spalla sinistra. Il tipo del volto, e lo stile della barba e dei capelli ricordano il Giove di Otricoli. Il modio, in forma di kalathiskos, distaccato dalla testa, e fatto a incastro, per esservi inserito, porta intagliati arbusti di alloro. Il peduccio è profilato di due tori ed una gola. La testa manca della punta del naso. Il busto è infranto al petto.
4) Giove con corona di quercia: attributo del Giove di Dodona in Epiro. Testa distaccata, come sembra, da un busto. Marmo greco, in. 0,18. Ha i capelli sollevati alquanto dalla fronte, e cinti di corona di quercia; jiel tipo ricorda un noto busto del museo di Parigi. La barba è meno ricca e prolissa che nel busto precedente. Manca della punta del naso.
5) Diana triforme : triplice statuetta del tipo consueto. Le tre figure addossate sono acefalo, e mancanti delle mani: conservano tracce di policromia. Marmo lunense, m. 0,32.
6) Venere: statuetta del tipo della medicea. Presso la gamba sinistra è il delfino cavalcato dal putto. Manca della testa, della parte media del braccio sinistro, e della gamba dritta, dal ginocchio fin sopra il piede. Lavoro trascurato. Marine greco, m. 0,48.
7) Marte: Torso di statuetta virile ignuda, di bello stile e lino lavoro. Manca della testa, delle braccia, della gamba sinistra, della coscia e gamba dritta. 1 piedi, che posano ambedue a terra, sono conservati insieme col plinto. Sull'alto della coscia dritta resta un attacco del marmo, che doveva puntellare il braccio alquanto distaccato dal fianco : il braccio sinistro dovea essere piegato al gomito. Può darsi che la figura rappresentasse Marte; ed infatti ricorda, pel tipo e per la positura, il noto Marte borghesiano del museo del Louvre. Del resto, la immagine del mitologico progenitore di lìomolo difficilmente paramancata nei romani lararii, anche in tempi relativamente tardi. In quello ricordato più sopra dello escubitario della coorte VII dei vigili nel Trastevere, la figura di questo nume vi è dipinto nella spalla dell'arco.
8) Ercole: statuetta acefala. Marmo luuensr; alta, compresa la pianta, m. 0,33. Oltre la testa, manca la mano sinistra. la parte anteriore del braccio dritto, e la gamba dritta dal ginocchio fino al piede. Due bende, che ornavano probabilmente là corona atletica, pendono sulle spalle, come si osserva in qualche altra immagine di Ercole, ed in molti ermi che lo rappresentano in età giovanile. Presso il piede sinistro ò una testa di toro, e su quella l'eroe dovea appoggiare la clava, che reggea con la mano sinistra, e di cui rimane qualche segno presso la gamba. Un largo tronco serve di sostegno alla gamba dritta: il braccio destro era distaccato dal fianco e sorretto da un puntello. Sebbene manchino la testa e la spoglia leonina la quale è ordinario, ma non indispensabile attributo dell'Alcide, e quantunque le proporzioni del corpo non sembrino avere quella esuberante atletica robustezza, che distingue per solito la figura di Ercole, con tuttociò il soggetto è abbastanza
chiarito dagli indizii della corona agonistica, ed anche più dalla testa di toro già sottoposta alla clava.
9) Ercole : erma architettonico. Ha la barba divisa in grandi ciocche, e la testa cinta da corona tortile, cui sono innestate alcune foglie: i nastri della corona si ripiegano dietro le orecchie, e lasciano i lembi pendenti sulle spalle. Gli occhi sono incavati, per ricevere le pupille di altra materia. Marmo lunense; m. 0,18.
10) Altro simile, molto corroso. Ambedue questi piccoli ermi, sebbene siano stati trovati nei loculi, del larario, sembra tuttavia che, almeno in origine, non dovessero essere destinati a tale uso, ma piuttosto per una decorazione architettonica. Altrettanto dicasi dell'oggetto seguente.
11) Arianna, o Baccante: piccolo erma architettonico di giallo antico, assai danneggiato; alto ni. 0,15. Ha i capelli ornati di pampini, e cinti da una benda; gli occhi sono incavati.
12) Frammento di statuetta rappresentante una deità muliebre assisa su di una seggiola, con dorsale lavorato a traforo. Manca della testa, delle gambe e delle braccia, ed è assai danneggiata dal fuoco. Marmo lunense; alta in. 0,12.
13) Metà inferiore di statua accoccolata, con le ginocchia strette contro il petto, di stile egiziano (Veggasi p. e. E. Q. Visconti Op. Var. Ili tav. V). Marmo lunense; alta, compresa la pianta, m. 0,24.
14) Uno dei cos'i detti cippi del dio Horus. È una di quelle piccole stele che si usavano come talismani, e rappre- sentavano la vittoria del giovane e benefico dio sopra i coccodrilli, i serpenti, ed altri animali venefici; e che si credeva potessero preservare dagli animali suddetti, in virtù delle magiche forinole che vi erano incise. Nella fronte vi sta espresso il dio Horus, il quale calpesta due coccodrilli, e nelle mani stringe una gazzella, un leone ed uno scorpione. Ai suoi lati si ergono dei serpenti. Nella parte superiore si vede il capo del mostruoso dio Bes, che rappresenta il principio maligno. La parte posteriore è tutta occupata da svariate leggende geroglifiche, che ricorrono ancora nella grossezza della pietra ed in alcune parti della fronte. Basalte verde, alquanto danneggiato dal fuoco. Alto m. 0,16 < m. 0,10. Sarà divulgato nel Bullettino.
15.16.17) Tre piccole basi quadrate di marino, ima delle quali sormontata da plinto rotondo: sul piano vi si veggono i fori che servivano a ricevere i perni. Non ha dubbio che vi fossero sopra delle figurine di bronzo, e probabilmente quelle dei due Lari e del Genio.
18) Antefissa di marmo. Vi ò scolpita di alto rilievo un'aquila ad ali spiegate, con fulmine negli artigli. Marmo lunense; m. 0,30.
19-22) Quattro lucerne di cattiva fabbrica e di tempi assai tardi.
Vi si rinvenne ancora un frammento di colonna di bigio morato; e qualche pezzo di statua di grandezza naturale; oggetti che non poteano certamente aver luogo nel piccolo larario.
Per la porticina posta dietro il larario, dal piano del cavedio si discende nel mitrèo. Mi sembra evidente, che per avere lo spelèo mitriaco, il padrone di casa dovè fare il sacrifizio della sua cantina. Vi si discende per due capi di scale, l'uno di 9, l'altro di 7 scalini, divisi da un pianerottolo (v. Tav. IV e V). Nelle scale e nel sotterraneo si osservano delle costruzioni, di tempo molto anteriore a quello, cui accennano il larario, ed altre dipendenze della casa.
Vi è del buon reticolalo e della cortina assai regolare. Disceso il primo capo di scale, e presso l'orlo del pianerottolo, si trovano, a dritta e a sinistra, collocati entro due piccole nicchie, i due consueti ministri assistenti di Mitra, l'uno con face alzata, l'altro con face abbassata; simbolo di varie cosmiche vicende, ma specialmente dell'equi- nozio di autunno, e dell'equinozio di primavera, e strettamente collegati con le dottriue dei misteri di Mitra.
Sembra che questi due geni lauipadoibri dovessero, per disposizione ieratica, stare alquanto discosti dal santuario propriamente detto, ossia dal luogo dove si venerava il mistico sacrifizio del toro; perocché anche nell'insigne mitrèo discoperto in Ostia, dove ogni cosa fu trovata al suo posto, le statue de' due geni suddetti stavano collocate presso i due grandi scaglioni laterali, a metìi di spazio fra la porta e l'altare.
Ma nel piccolo spelèo domestico, del quale ora parliamo, sarebbe vano di ricercare quella conformazione, e quei particolari, che noi sappiamo essere state ptoprie dei templi e degli spelèi di Mitra destinati al culto pubblico, o almeno edificati a bella posta, e di maggiore grandezza.
Questo nostro è un mitrèo di ripiego; un'angusta cella quadrata, in una parete della quale, di fianco alla scala, è collocato in alto, sopra una tavola di marmo sostenuta da due mensole, il rilievo con la rappresentanza del Mitra taurottono, la quale' adombrava la parte più essenziale di quel mistico insegnamento. Dinanzi alla immagine del nume sacrificante, e posti sulla medesima tavola che la reggeva, si trovarono, più o meno conservati i sette focuii, o pirèi, allegoria dei sette pianeti del sistema solare, ed insieme dei sette gradi delle iniziazioni mitriaclie.
Appiè del piccolo santuario sta collocata in terra l'ara, che non potea mancare dinanzi a Mitra; essa è formata di un capitello ionico volto sossopra e incavato, cui serve di sostegno un pilo riquadrato. Quattro buchi quadrati si osservano nella stessa parete, e ve n' erano anche altri due, che furono poi occupati dalle due mensole, sulle quali posa la tavola di marmo che indicammo più sopra. Cotesti buchi erano, come sembra, praticati per gli usi della cantina, e doveano esservi incastrati degli assi, e sopra questi adagiata una tavola da posarvi sopra commestibili, od altro. Cambiato il luogo in mitrèo, furono poste in quei buchi delle lucerne, che vi durano ancora.