Informazioni storiche

Informazioni storiche artistiche sul monumento

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Codice identificativo monumento: 9851

Cronologia

7/1881

In una cantina vicino alla piazza di Palestrina furono scavati due pezzi di un obelisco in granito rosso-egiziano, con scrittura geroglifica, eguale in tutte e quattro le facce. I detti frammenti per cura dell'ispettore degli scavi sig. P. Cicerchia furono acquistati dal comune, e conservati ueUa residenza municipale. Lo stesso ispettore nel mandare la notizia del rinvenimento, soggiunse che nel 1790 fu scoperto un altro pezzo forse dello stesso obelisco, il quale fu venduto' in Roma, Avendo fatto esaminare dal dott. E. Schiaparelli le rappresentanze geroglificha lette nei frammenti ora trovati, mi fece egli sapere che a suo credere, questa non possa ritenersi per opera di scalpello egiziano, ma sia un lavoro d'imitazione. Ciò risulta dalle forme dei segni ripetuti sulle quattro fecce, e dal modo con cui questi sono raggruppati, che rivela nell'esecutore una ignoranza assoluta della lingua e della scrittura egiziana. Nè devesi trascurare il fatto, che nella località medesima vennero già in luce molti altri monumenti ed oggetti di stile apparentemente egiziano, ma che in nessuna maniera si possono considerare come prodotto dell'arte e dell'industria dell'antico Egitto.

Fonte: 1881. Notizie degli scavi di antichità.

2/1903

Ulteriore esplorazione di un antico pavimento a musaico appartenente al tempio della Fortuna Primigenia. Scoperta di un pregevole frammento epigrafico.

È noto agli archeologi che la parte inferiore del gran tempio della Fortuna in Preneste contiene il sacrario propriamente detto (ora cantina del Seminario), ove si scoprì, nel secolo XVII°, il famoso musaico della inondazione del Nilo, e che a questa era unita per mezzo di un criptoportico una grotta artificiale scavata nel masso, in cui si volle riconoscere il luogo ove si conservavano le celebri sortes praenestinae e perciò chiamasi fino da molti anni col nome di Antro delle sorti. Io penso però che questa grotta fosse piuttosto il luogo ove si presentavano i devoti ad interrogare l'oracolo e dove ne ricevevano i responsi, come dimostrerò in uno speciale scritto che vengo preparando su tale argomento.

Questa grotta fu scoperta nel 1869 dall'ispettore Pietro Cicerchia di ch. mem. ed allora si videro nel pavimento alcuni laceri avanzi di un'antica e finissima decorazione a musaico, rappresentante il fondo del mare popolato da pesci di forme svariate. Però il musaico apparve in pessime condizioni, essendovi qua e là grandi lacune prodotte dalle barbarie dei passati tempi, allorquando senza conoscere il pregio della splendida decorazione qualche ignorante proprietario ridusse la grotta a spegnitoio di calce.

Il barbaro lavoro, durato chi sa quanto tempo, distrusse molte parti del musaico e ne coprì delle altre con una dura incrostazione calcarea, in modo che ben poco eravi restato da vedere e da studiare; e perciò di questo monumento niuno si occupò di proposito illustrando le antichità prenestine. E così appena poche parole vi scrisse sopra il Fernique e un cenno fugace ne diè il Blondel nel suo restauro del tempio della Fortuna (1882) ed io stesso ne trattai con molta brevità in una monografia su quell'antica città del Lazio.

I pochi avanzi visibili del musaico mostrano una incomparabile finezza di lavoro, forse in qualche parte anche maggiore del celeberrimo musaico nilotico oggi nel palazzo baronale dei Barberini. E perciò alcuni anni or sono io, in compagnia del defunto ispettore Vincenzo Cicerchia figlio del primo scopritore, tentai di rimetterne in luce qualche altra parte; e così in un angolo apparve il principio di una scena che accennava ad un edificio. Ma il lavoro essendo assai faticoso e lungo, fu subito interrotto. Pochi mesi or sono essendomi io trattenuto per qualche tempo in Palestrina e preparando un nuovo studio sul tempio della Fortuna, come ho accennato di sopra, mi posi nuovamente all'opera dello scoprimento di altre parti del prezioso musaico, coadiuvato abilmente dall'egregio e benemerito ispettore attuale cav. Alessandro Sbardella che mi ha assistito anche in tutto il rimanente mio studio, e servendomi dell'opera diligente del custode degli scavi Mercuri.

Il lavoro durò parecchie settimane e potemmo recuperare altri nove frammenti elegantissimi, con figure di pesci svariati ed anche assai grandi, notanti nelle acque. Si potè così constatare che l'artista aveva voluto dare la illusione che la grotta stessa detta delle sorti fosse sulla spiaggia del mare e che il mare si internasse nelle sue cavità e che la parte anteriore della grotta, cioè il suo ingresso, dovesse rappresentare la terra ferma, essendovisi chiaramente riconosciuta la linea ondulata della terra con piante e qualche animale terrestre.

La continuazione di questa linea di terra è interrotta da due grossi pilastri di muro, ivi piantati da almeno due secoli, per sorreggerere una pubblica strada che passa li sopra; ma al di là del secondo pilastro, là dove era apparsa nel musaico qualche traccia di una scena con edifizî, come già dissi, avendo ivi concentrato specialmente i nostri lavori di restituzione, potemmo scoprire, assai meglio che prima non fosse, la scena stessa ivi rappresentata, quantunque essa manchi di varie parti per la deplorata calcinazione del musaico.

Vi si riconosce con ogni certezza il lido del mare posto in una insenatura, e in fondo a questa un emiciclo in mezzo al quale sorge un'alta colonna divisa in più zone e che porta una fiamma sul capitello.

Al fusto della colonna sono appesi due scudi ed accanto è effigiato il tridente di Nettuno. Innanzi all'emiciclo apparisce un basamento di opus quadratum su cui sorge un'ara accesa, adorna di festoni di fiori ed a questa si avvicina una figura virile ignuda che sembra salire da un punto più basso.

Non v'ha dubbio che la scena rappresenti un porto di mare con il suo faro presso il quale dovea trovarsi un qualche santuario importante. Il posto occupato dal nostro musaico, che era disposto simmetricamente al Barberiniano ricordato di sopra, e la tecnica del suo lavoro assai somigliante a questo, mi indussero a giudicare che siano dell' epoca stessa, cioè dei tempi di Adriano, e che perciò i soggetti delle due composizioni possano avere qualche relazione fra loro.

E credo di aver potuto felicemente scoprire una tale relazione, che non sarebbe qui il luogo di dimostrare, eccedendo ciò i limiti di una semplice relazione di lavori ed abbisognando di piante e disegni illustrativi.

Tratterò quanto prima di questo importante argomento nel lavoro speciale che ho già annunziato; ma intanto voglio soltanto accennare di volo al sistema di spiegazione da me proposto.

In una mia prima illustrazione del musaico Barberiniano dimostrai che in esso si volle rappresentare una carta prospettica dell'Egitto, dai dintorni di Memfi ai monti dell' Etiopia; ed in uno studio ulteriore riconobbi una evidente analogia fra le svariate figure di animali ivi dipinti e la descrizione che di questi animali medesimi ci ha lasciato lo scrittore Eliano (').

Ora poi continuando il mio studio su quell’insigne monumento e mantenendo sempre le accennate mie spiegazioni, credo di poter aggiungere (come dimostrerò a suo tempo) che le scene dell'inondazione del Nilo e dei diversi animali e dei gruppi strani che ivi appariscono, possono assai bene spiegarsi supponendo che l'artista abbia avuto il concetto di alludere all'arte divinatoria (divinatio) la quale era. specialmente praticata nel tempio prenestino, attestandolo anche Cicerone nel libro che scrisse su quella superstizione antichissima (de Divin. 11. 41).

E venendo al nuovo musaico dell'antro delle sorti, io credo che possa pure spiegarsi con lo stesso concetto del primo, tanto per le figure degli animali ivi espressi, quanto per ciò che si riferisce alla parte topografica della scena.

E perciò che riguarda quest'ultima parte osserverò che i due pavimenti erano collocati simmetricamente alle due estremità del criptoportico che univa la grotta delle sorti al sacrario della Fortuna. Ora, come nel musaico Barberini abbiamo la carta prospettica dell’ Egitto, cominciando in basso da Memfi e dal Canopo che si trova all'estremità inferiore sinistra del musaico, così mi par naturale che nel musaico della grotta, la quale formava come il vestibolo del sacrario stesso e dove vediamo un porto di mare con un grandioso faro, si sia rappresentato il porto di Alessandria con il faro celeberrimo dei Tolomei.

Parecchi particolari confrontati con la descrizione di Strabone confermano questa mia spiegazione; e ne tratterò nel mio scritto speciale. Ed intanto annunziando la scoperta di un'altra così notevole parte di un monumento pregevolissimo dell'arte antica, prendo questa occasione per fare i voti più ardenti onde una volta alfine voglia decidersi il Ministero a rivolgere la sua attenzione a quell'insigne edificio che è il tempio della Fortuna Primigenia; giacchè il più nobile centro di quel gruppo monumentale è nascosto da moderne costruzioni ed una sua parte notevolissima è tuttora adibita ad uso indecoroso, con meraviglia e disgusto dei numerosi visitatori italiani e stranieri.

Orazio Marucchi.

Fonte: Notizie degli scavi di antichità

9/1906

Nuova iscrizione dedicata alla Fortuna Primigenia.

Il R. Ispettore dei monumenti e degli scavi in Palestrina, cav. Alessandro Sbardella, ha riferito che presso gli avanzi del celebre tempio della Fortuna Primigenia, nello sgombrare un pianterreno prossimo all'Antro delle sorti, il quale nei secoli scorsi aveva servito come ossario delle vicine sepolture della Cattedrale, fu trovato in mezzo a materiale diverso un lastrone o cippo di travertino, alto m. 0,90 X 0,60 X 0,25, su cui leggesi: L VATRONIVS Q F BOLANVS FORTVNAE PRIMIGENIAE DAT

Il gentilizio Vatronius, come ha notato lo stesso sig. Ispettore, non è nuovo nell'onomastica prenestina, trovandosi più volte ripetuto nei titoletti sepolcrali della antica necropoli (cfr. C.I.L. XIV, 3143, 3287-3291). Il nome Bolanus poi, che nell'epigrafia latina trovasi assai più spesso come gentilizio, è derivato dall'oppido Bola dell'antico Lazio, nella regione degli Aequi; e come cognome era proprio specialmente della gente Vettia, di Milano (v. Hübner, Ephem. epigr. II, pag. 34). Un M. Vettio Bolano possedeva in Roma un nobile edificio nel Trastevere, che era appellato insula Bolani; e quivi sorgeva un santuario della Bona dea, nume tutelare di quella famiglia (v. C.I.L. VI, 65-67).

Il cav. Sbardella ha osservato che questo cognome Bolanus, portato da M. Va- tronio, fa riscontro ad altri nomi gentilizi, parimente dedotti da luoghi dell'antico Lazio, che si leggono su cippetti della necropoli di Preneste; come quello di Satricanius (C.I.L. XIV, 3239-3243; Hübner, 1. c. pag. 44), derivato da Satricum e l'altro di A. BOVEILIO, scritto sotto un cippo che il predetto Ispettore conserva presso di sè, il quale nome egli crede poter esser dedotto dalla città di Boville.

Giuseppe Gatti.

Fonte: Notizie degli scavi di antichità

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