Architetto
Nascita: 1406 Genova
Morte: 20/4/1472 Roma
Tra il 1441-50 scrive la Descriptio urbis Romae.
1432
Leon Battista Alberti, divenuto segretario del patriarca di Grado, si trasferisce a Roma con questi, e viene nominato abbreviatore apostolico (il cui ruolo consisteva per l'appunto nel redigere i brevi apostolici).
1443
Leon Battista Alberti ritorna a Roma con la curia papale. Continuerà a ricoprire il ruolo di abbreviatore apostolico fino alla morte.
1446
Il cardinale Prospero Colonna, signore di Nemi, incarica l'architetto Leon Battista Alberti del recupero delle Navi romane nel Lago di Nemi. Il resoconto dell'impresa è narrato da Flavio Biondo nella sua Italia illustrata: grazie ad alcuni esperti nuotatori genovesi, si esplora la nave più vicina a riva, determinandone distanza e profondità; poi se ne tenta il recupero mediante una piattaforma galleggiante munita di corde e uncini.
« Prospero Colonna il Cardinale, essendo per eredità signore di questi due castelli, Nemore e Cintiano, ed avendo da quelli di Nemore inteso alcuna volta dire che erano in quel luogo due navi annegate, e che non erano così putride, ancorchè se ne venissero a pezzi con le reti che vi si erano a caso alcuna volta impicciate; o colle funi che vi avevano apposta, per tirarle su, attaccate; nè si potevano facilmente così intiere da tutti quei paesani tirare su nel secco; venne voglia al cardinale, studiosissimo delle buone lettere e delle istorie antiche, di voler vedere e sapere a che cosa ed a che proposito si fossero così gran navi gittate in così picciol lago, e circondato d'ogni intorno da altissimi monti; onde fu perciò chiamato Leon Battista Alberti, gran geometra del tempo nostro, che ne ha composti bellissimi libri d'architettura.
Costui adunque fece legare insieme in molti ordini alcune botti vuote, per potervi tenere su, quasi su ponti, alcune macchine, dove erano molti uncini di ferro, attaccati con lunghe funi, e tirate poi su con ingegni da maestri legnaiuoli; e furono condotti da Genova alcuni marinari, che nuotavano come pesci, i quali attuffandosi giù nel fondo del lago sapevano dire la grandezza delle barche, e quante fossero le intiere o le rotte, e vi attaccavano poi quei tanti uncini di ferro.
Essendone dunque legata una nella prora, e tirandosi su si spezzò, e ne venne solo una parte; per la quale vennero da Roma i più belli ingegni della corte romana per vedere come era fatta. Essa era composta tutta di tavole grosse tre dita di un legno chiamato larice; e tutta intorno al di fuori era coperta d'una. buona colla di color giallo, o purpureo; e sopra questa vi erano tante piastrelle di piombo, chiavate con spessi chiodi, non di ferro, ma di bronzo, che mantenevano la nave e la colla intiera e la difendevano dall'acqua e dalle pioggie.
Di dietro poi era talmente fatta, che non solo era sicura dall'acqua; ma si poteva dire e dal ferro e dal fuoco. Era prima sopra il legno tutto disteso di buona creta, sparso tanto ferro liquefatto (sarà stato in altra maniera), che faceva una piastra, poco meno quanto era tutta la nave di tavole; ed in qualche uogo era grossa un dito, in alcun altro due; e sopra il ferro era un’altra impiastrazione di creta; e ci parve di vedere che mentre era il ferro caldo vi fosse su posta la creta; per essere talmente così la creta di sotto, come quella di sopra, afferrata e ristretta col ferro, che pareva ed il ferro e la creta una medesima colla. Mentre che per trarre su detta nave si affaticava ciascuno molto, furono nel fondo del lago trovate alcune fistole, o tubi di piombo, lunghe due cubiti e ben massicce, le quali si vedeva, che erano attaccate l’una all'altra, ed atte a gire molto in lungo.
In ognuna di quelle erano scolpite belle lettere, le quali dimostravano (come pensiamo), che l'autore della nave fosse stato Tiberio Cesare; e giudicò Leon Battista Alberti, che dal bel fonte ed abbondante che scaturisce presso Nemore, e dove sono oggi li molini, si stendessero molte di quelle fistole di piombo infin nel mezzo del lago, per condurre acque in servizio delle case suntuose e belle che noi crediamo che fossero sopra quelle navi edificate. Bella cosa e quasi meravigliosa a vedere i chiodi grandi di bronzo, d'un cubito lunghi, così intieri e così puliti che pareva che allora appunto fossero da mano del maestro usciti »
1450
Leon Battista Alberti termina di scrivere Descriptio urbis Romae.