Pubblicazione: 1882
5 Marzo 1882: "Il passato carnevale si è lasciato dietro, a Roma, uno strascico luttuoso. Alla corsa dei barberi, nacquero lagrimevoli disgrazie. Il popolo è stato calpestato dai cavalli. Vi furono feriti; e pur troppo dei morti! Bisogna finirla con questa corsa dei barberi! — si grida da tutte le parti. — Bisogna sopprimerle. Sono un avanzo di barbarie.
Descriviamolo con due tratti questo avanzo di barbarie che ogni anno co sta al popolo, che ne è ghiotto, sangue e lamenti. In Piazza del Popolo, a Roma, donde i barberi prendono le mosse, c'è uno steccato con palchi e gallerie ed arena in mezzo. Lo sfondo è semi-circolare, i lati sono in linea retta, e davanti spazia e si allunga il Corso. I posti nei palchi coperti e nelle gallerie scoperte costano dall'una alle tre lire; e si pigliano d'assalto fin dal mezzogiorno.
Per ingannare l'aspettazione fino alle cinque, ora della corsa, si osserva il corso che passa: si censurano le carrozze, i carri, le signore; si buttano e si ricevono mazzeltini di fiori, galanterie di carta; si sbucciano aranci; si leggono i giornali. Intanto le rustiche fioraie girano coi loro canestri e vociano il querulo e monotono: Ecco fiori I e si abbrancano agli sportelli delle carrozze per esitare forzatamente la loro merce. Le maschere strepitano, si saltano sulle spalle, i Pulcinella si fanno largo colla loro irruenza brontolona, i monelli si gittano persino sotto le carrozze a ghermire mazzetti di fiori.
Una detonazione di mortaretti, che fa rizzare le orecchie e sussultare le gambe ai cavalli, avyerte le carrozze perchè si apparecchino a sgombrare il Corso. Un'altra detonazione le fa andar via tutte. Intanto si è gremito di gente persino il terrazzo del Pincio su cui spicca la frotta curiosa dei seminaristi; sui frontoni delie chiese, sui tetti, stanno righe di curiosi; e a cavalcioni di un fumaiuolo, si asside un monello come sul vertice dei proprio monumento.
Fuori dello steccato il pubblico pedone curiosa; l'altro si rizza in piedi sulle carrozze e sulle botti; e su tutti predomina, in aria, un mazzo di palloncini areostatici color rosso che il venditore, manovrando la cordicella in pugno, richiama in giù e libera in su a prova della loro leggerezza. Si ode un primo squillo di trombette. È giunto il classico tempo di far largo fra la folla; ciò che si faceva soto il regno del Papa con la memoranda carriera dei dragoni. Di questa carriera è rimasto appena un embrione in Piazza del Popolo fra lo steccato.
Dal fondo si avanza a passo serrato un mezzo pelot| tone di cavalleria pesante, fiancheggiato da carabinieri a cavallo. A giusta distanza, sèguita un manipolo di guardie di pubblica sicurezza, col kepi perpendicolare, e colla larga tunica a vita lunga, terrore od amore delle erbaiuole. Dopo esse, viene una schiera di pompieri col brave elmo di Scipio. di tutto ottone. Il pubblico, incalzato da quel corpo di esercito, si ritira lentamente.
Sgombrato lo steccato dell'ultimo pagliaccetto, che è passato e ripassato sotto il ventre di un cavallo, si avanzano quattro o cinque spazzini municipali e si chinano per terra a raccogliere con le pale e con le Unghie i pezzettini di carta colorata troppo vistosa, che potrebbe fare adombrare i barberi sospettosi. Davanti l'emiciclio si suonano un'altra volta le cornette. A momenti, i barberi devono arrivare. Invece arriva un cane, il solito cane che giunge, appena si è fatto largo nella folla.
Finalmente si aprono i cancelli e compaiono i barberi esili, lunghi. Sono numerati, segnati di gesso, e conosciuti al loro numero. Oltre ai numeri, si vedono sulle schiene dei barberi scatole di tormenti, perette, legature, ricami di metalliche mosche canine. Passano, guidati dai mossieri a piedi, che portano casacche corte, nere, babottonate e berettoni róssi e lunghi. I barberi sono frenati a stento dai mossieri, che li tengono per mano, e scalpitano. Suonano ancora le trombe. I barberi sciolti scattano duramente e sfolgorano.
II popolo dei marciapiedi freme, grida, fischia, e si assiepa. Sulle cantonate, i monelli si sporgono col petto, quasi per dare di spalla al barbero amico. E spesso ne sono essi sconvolti e fracassati, con curiosi e servette, che vanno a gambe in aria.
I puledri trafitti dalle perette nella rabbia del moto accelerato, che accresce il dolore per fuggirlo, corrono, corrono. Hanno le criniere al vento, fumano, nitriscono, gittan fuoco dagli occhi, sangue dal morso. Sono orribili, spaventano. Dall'alto dei balconi il Corsoda Piazza 'dei Popolo a Piazza Venezia è un solo formicaio, un solo cappello nero.
In tre minuti i barberi, si veggono giungere allo steccato di Piazza Venezia, dove c’è moltitudine come in Piazza del Popolo. In via della Ripresa, allo stesso balcone da cui qualche papa godeva dello spettacolo, ora siedono giudici i consiglieri del Municipio, e pende, come una bandiera, il drappo di premio. Una doppia tenda bianca chiude la via della Ripresa; percotendo in essa, i barberi si arretrano confusi, o ciecamente la sfondano.
Gli stallieri penosamente li acciuffano e li traggono sotto un portico da lato, donde escono i due barberi vittoriosi ; e su essi cala la bandiera del premio. II pubblico sfolla faticosamente, con soddisfazione primitiva, selvaggia. Delle sventure accadute alle corse dei barberi il 21 febbraio, i giornali quotidiani recarono ragguagli dolorosi.
Una gran folla assisteva anche in quel giorno al corso delle carrozze ed alla corsa dei barberi. Allo sbocco della piazza di San Lorenzo in Lucina fra il palazzo Ruspoli e il palazzo Fiano, si era formata una folla compatta, attrat ta vi anche perchè il Re e la Regina assistevano al corso in quel punto.
I segnali di cornetta, con i quali i vigili annunziano l’avvenuta partenza dei cavalli, non furono ascoltati in que punto. I barberi giunsero improvvisa mente, investirono quella massa compatta di cprpi umani. Il barbero, ch’era primo, cadde; sopraggiunto il secondo, cadde esso pure, due cavalli rialzandosi s’impennarono, e, volendo retroce dere, urtarono e calpestarono molte persone: finalmente ripresero la loro strada.
Tale fatto produsse un indescrivìbile panico, li Re ch’era affacciato al balcone, vedendo i cavalli urtare contro la folla, non seppe trattenere un ohi accompagnato -da un gesto d’orrore. La Regina impallidì commossa dal triste spettacolo: la principessa d’Ottajano, dama di corte, che accompagnava la Regina, svenne.
Molti corsero a soccorrere i cadmi, e li trasportarono all'ospedale di San Giacomo. Un ragazzo di dieci anni, israelita, morì appena giunto all'ospedale I feriti o contusi gravemente, fra’ quali due guardie municipali, una guardia di pubblica sicurezza ed un carabiniere moribondo avendo riportata una forte commozione cerebrale, vennero circondati di cure. Una delle guardie munici pali aveva la gamba destra frantumata. Fra i feriti v’era un muratore, un cappellaio, un manovale, un macellaio una donna con un bambino di sette anni. Alcuni feriti meno gravemente furono portati allo spedale della Consolazione.
II Re volle recarsi subito al tetto dei feriti e li confortò con affettuose parole. E si aperse subito una colletta a favore delle loro povere famiglie e il Re sottoscrisse primo per egregia somma.
Non più corse di barberi! — si grida tuttora. — Non più corse di barberi! E si grida a ragione. Noi noia mo il nostro voto a quel grido umanitario.
Una volta, sotto il regime dei papi, si facevano correre gli ebrei, i vecchi zoppicanti, i gobbi nudi: e perchè destassero le più grasse risate, nella corsa goffa e impacciata, venivano costretti a rimpinzarsi prima di Cibo; se no, le erano frustate mortali, quelle che toccavano! Orribile barbarie anche questa, che scomparve sotto il dominio di sentimenti più cristiani. Così deve scomparire l’uso delia corsa dei barberi che ricordano tempi brutali e violenti in cui per assistere meglio tra la folla a spettacoli siffatti si metteva mano ai coltelli e più di qualche cadavere cadeva insanguinato e stecchito tra i piedi dei prepotenti.
Ripetiamolo: si sopprimano le corse dei barberi su questo numero."