Pubblicazione: 1909
L'Illustrazione Italiana. 1 Agosto 1909.
"La Passeggiata archeologica sarà fra quindici mesi un fatto compiuto. La zona che si vuole isolare è quella in cui più fu sviluppata la vita pubblica al tempo di Rane imperiale, quella in cui più si esercitò la forte operosità dei nostri padri, ed in cui essi lasciarono le più luminose tracce della loro grandezza.
Dal Campidoglio al Colosseo, e (costeggiando il Foro il Palatino e il Circo Massimo) alle Terme di Caracalla, questa è la nuova Passeggiata che, per larghissimi viali, interrotti da grandiose platee, Roma offrirà compiuta ai suoi ospiti del 1911.
In verità, se anche altro essa non potesse offrire, i visitatori non avrebbero diritto di lagnarsi, nò alcuno potrebbe dire che în questa occasione sia mancata all’ Italia la coscienza chiara e precisa dei doveri che essa ha verso la civiltà, verso la storia e verso Roma, verso questo Latiale caput, che, secondo l'alto, indimenticabile ammonimento di Dante, cunetis pie est Italis diligendum, tamquam commune sua civitatis principium.
Da Piazza Venezia, anzi dal monumento a Vittorio Emanuele, la nuova ampia via passa sotto il Campidoglio, e lasciando a destra la Basilica Giulia, la Basilica Emilia, il Tempio di Antonino e Faustina, il Tempio di Romolo, la Basilica di Costantino, il Tempio di Venere e Roma e l'Arco di Tito, sbocca nel piazzale del Colosseo.
Ahimè, noi non possiamo rimettere al suo posto il Colosso di Nerone, che forse diede il nome al monumento, nè ricostruire la Meta sudans, la meravigliosa fontana da cui sgorgava un torrente d'acqua: ma intorno all’Anfiteatro sarà però ripristinata l'antica amplissima piattaforma e quell’immenso anello di travertino che lo ricingeva. E un larghissimo piazzale circonderà l'Arco di Costantino, che, riportato all’antico piano, acquisterà di bellezza e di grazia, perdendo quell’aspetto un po' tozzo è pesante, che gli dànno ora le basi mezzo sepolte.
L'odierno viale di San Gregorio, che passa sotto l'Arco di Costantino e che è così simpaticamente riprodotto dalle nostre fotografie nel tumultuoso momento attuale, vien portato a cinquanta metri di larghezza e viene annesso come zona riservata al Palatino: così che gli avanzi del Settizonio di Settimio Severo che sono ora sotto la strada, potranno, quando siano prosperi i tempi, e senza troppa fatica e dispendio, essere rimessi in luce.
Perchè questo è un altro dei vantaggi certi dell’opera che ora si va compiendo: quello di comprendere in una zona che si potrebbe dire sacra, tutti i luoghi monumentali, e d'impedire che vi si fabbrichi sopra, rendendone o impossibile o difficilissimo lo scoprimento.
La via del traffico, la via dei trams e dei carri è distinta affatto dalle vie e dalle piazze della Zona monumentale; essa gira dietro al Colosseo, e passando sopra l’attuale Orto botanico, il quale non è che terra di scarico, prosegue, rasentando la Chiesa di San Sisto vecchio fino alla Porta latina e alla Porta di San Sebastiano, perfettamente separata dalla via attuale di Porta San Sebastiano.
Questa, che è ora il proseguimento del viale di San Gregorio e che è una via relativamente moderna sotto il cui percorso giace però l’Appia antica, regina viarum, è appunto perciò incorporata nella zona archeologice. Vengono così isolate le antiche Chiese di San Nereo è Achilleo e di San Cesareo, e quella deliziosa palazzina cinquecentesca del cardinal Bessarione che ora è quasi invisibile.
E la nuova via arriverà, divergendo, fino alla Porta Metronia, dove è l’accesso al nuovo grande quartiere Appio, che dovrà diventare uno dei più popolosi sobborghi della Capitale.
Tutto che vi è d'importante archeologicamente ed artisticamente in questa vasta zona sarà conservato: l’area della Porta Capena, ove sorgeva il monumento augurale di Augusto (del quale nessun rudero è rimasto a fior di terra) non sarà in alcun modo occupata; nò sarà distrutta quella casetta, che va sotto il nome del Vignola, ma che con le sue gracili forme eleganti e col suo vivo senso di pittoricità, ha invece un così amabile e squisito sapore bramantesco.
Alla fine del nuovo viale di San Gregorio si stende la Platea archeologica, che isola e ricinge le Terme di Caracalla, delle quali è già restituita in luce quella parte che appena sporgeva dal suolo, affondata com’era da immensi massi di terriccio. La Platea, spiccandosi dal Palatino e comprendendo nella sua ampiezza tutto il piano dell'antichissima Porta Capena e della Via Appia arriva così alle Terme e le circonda.
La Platea è un immenso rettangolo che sarà per la maggior parte occupato da boschi di querce, di lecci, di platani e di pini, corsi da acque, traversati da strade, e divisi da piazze. Niente giardini, niente aiuole azzimate e pettinate: la severità del luogo non altro consente che le amiche e profonde ombre dei grandi alberi, cari a Catullo e a Virgilio.
Nel centro sorgerà un’alta e ampia fontana: e all’un capo e all’altro, Guido Baccelli vorrebbe che fossero poste le due famose statue di Giulio Cesare e di Augusto che sono ora in Campi doglio. Ed è bene che così si faccia: degni sono i due veri autori e padri della romana grandezza che le loro immagini, tornino, e forse, secondo il merito, coronate l'una del grande decoro del lauro, l’altra del minor pregio della quercia, in mezzo al popolo di Roma.
Di quasi venti secoli è più vecchio questo popolo, da quando l'artefice scolpi quelle statue ; e, nel lungo spazio di tempo, ha più volte provato la più varia e mutevole fortuna: sceso all’ultima abbiezione nell'alto medioevo, risalì in qualche onore dopo il mille: ripiombato nel baratro tre secoli dopo, risorse ancora con la fortuna del papato e delle arti, se non della politica; finchè, dopo alternative di dolori e di gioie, proclamò un’altra volta, e durevolmente, insieme alla libertà e all'unità d'Italia la gloria di Roma.
Se dunque le immagini dei grandi non sono soltanto un vuoto artifizio, privo di contenuto ideale, ben tornino ora quelle dei due fondatori dell'Impero romano, nella più grande e nobile piazza della loro Roma, divenuta in più alto e umano è civile senso che non. fosse in antico, la Capitale d’Italia; tornino tra il popolo, al sole, innanzi al Campidoglio e al Palatino, e se ci sarà chi voglia dire che così si fa della retorica morale, sarà bene rispondergli che, guidati da una retoricadi questo genere,or sono cinquant'anni, si è fatta l’Italia,
Con bei sillogismi di tutt'altra natura sì riuscirebbe forse a disfarla.
ARTURO CALZA"