Una quarantina di persone si riuniscono nel Lanificio Ajani alla Lungaretta, per organizzare l'insurrezione di supporto alla campagna militare garibaldina, in quel momento attestata a Monterotondo. Verso le 12 e mezzo, una pattuglia di zuavi pontifici, attacca la sede del lanificio, sparando da via del Moro e dal campanile della chiesa di Santa Rufina e Seconda. In poco tempo, le truppe pontificie hanno la meglio e riescono a farsi strada all'interno dell'edificio. Alcuni congiurati fuggono, mentre altri sono catturati. Sotto il fuoco rimangono uccise 9 persone, tra cui Giuditta Tavani Arquati, incinta del quarto figlio, il marito e il loro giovane figlio.
Inaugurazione del monumento a Giuditta Tavani Arquati e ai martiri trasteverini dell'eccidio nel lanificio Ajani alla Lungaretta.
In via della Lungaretta, demolendosi una casa poco distante dalla chiesa di S. Crisogono, si sono trovate fra i materiali di costruzione due lapidi, che qui si riproducono sull’apografo dal prof. Gatti.
La prima è una stele di marmo, mancante della parte inferiore, che sotto il rilievo di due uccelli, uno dei quali ha afferrato nel becco una lucertola, reca l'iscrizione:
D M | MPERELIO | CERDONI | M PERELIVS | MITHRES | LIB OPTIMO FECIT
L'altro è un meschino frammento di lastra marmorea con le parole: TI FECIT | DITE Q V
In via della Lungaretta, per i lavori del collettore delle acque sulla sponda destra del Tevere, è stato scoperto a m. 2,80 sotto il livello stradale, un piccolo tratto di antica strada lastricata a poligoni di selce. Ivi presso si rinvenne un'arca di terracotta, contenente uno scheletro.
Di contro alla Fabbrica de' tabacchi, i medesimi lavori di sterro pel collettore delle acque urbane, hanno fatto tornare all'aperto una notevole scoltura in marmo bianco, che giaceva a cinque metri sotto il piano stradale. È un gruppo di molto effetto artistico, composto da un Satiro seduto in terra, che in atto procace stringe una ninfa, la quale cerca divincolarsi dalle braccia di lui. Ambedue le figure, completamente nude, hanno l'altezza di m. 1,10.
Il gruppo, condotto con discreta arte, può attribuirsi al secondo secolo dell'impero. È ben conservato e quasi intiero, mancando soltanto la testa e il braccio sinistro della ninfa, ed un piede del Satiro.
Giuseppe Gatti.
Per i lavori del collettore sulla riva destra del Tevere sono tornati in luce, presso la torre degli Anguillara, e propriamente nel punto ove la via della Lungaretta è attraversata dalla strada che va al ponte Garibaldi, importanti avanzi di antichissime costruzioni romane. Consistono in grandi arcate d'opera quadrata di tufo, non molto dissimili dai fornici delle mura serviane. La loro lunghezza è di circa sei metri; e dal lato di tramontana terminano in un muraglione egualmente costruito a grandi parallelepipedi di tufo.
La importantissima scoperta consiste nel ritrovamento di notevoli e ben conservati avanzi di antica costruzione romana, fatta in pietra da taglio, che presenta un piedritto su cui insistono due arcate di m. 2,85 di luce, e nella’ quale si riscontrano tutti i caratteri di un’opera dei primordi della repubblica.
Insiste l'anzidetto piedritto o pilastro, su di una base di m. 2,35 X 6,00, e le arcate che vi poggiano sono composte di una armilla dello spessore di m. 0,50, suddivisa in una serie di 11 cunei di tufo vulcanico, ben serrati e connessi, senza cemento di sorta. L'altezza del raggio delle arcate comprende di fronte sul piedritto quattro ordini di pietra simili, della misura complessiva di m. 2,30, l’ultimo dei quali si accavalca sopra l’estradosso dei voltoni, superandone la chiave di m. 0,73.
Al di sopra ricorre un altro ordine di pietre disposte per testa, alto m. 0,53 e sporgente m. 0,25 dalle due fronti della costruzione, a guisa di fascione che s'innestava nell'interno con una crepidine o margine stradale, e sul quale era costruito probabilmente un parapetto.
Benchè di tale costruzione, nel cavo aperto per dar luogo al nuovo collettore, non sia venuto in luce che un tratto di m. 6,70, pure per quanto emerse dalle indagini e dai rilievi fatti, mi è riuscito indovinare l’uso e la destinazioue dell’opera non che l’importanza del monumento, in guisa da poterne dedurre in modo abbastanza certo alcune notizie interessanti intorno alle vicende e alla topografia antica della regione transtiberina.
Ritengo infatti doversi riconoscere nell'antica costruzione, ora descritta, gli avanzi di un viadotto, che in epoca antichissima fu costruito lungo la riva destra del fiume, a fine di mettere in comunicazione da quel lato i ponti Palatino, Cestio e Gianicolense.
Evidentemente, lungo il tracciato di questa via ed appunto nella località ora esplorata mediante lo scavo in corso, esisteva già una depressione del suolo, ove confluivano ed in parte forse pure stagnavano le acque del bacino o vallata orientale dei colli gianicolensi.
Fu dunque necessario ai romani sollevare in tal punto la strada, per tutto il tratto depresso, e costruire un viadotto mediante una serie di piedritti e di arcate, fino a superar la vallata, ed in modo che fosse lasciato libero il passaggio alle acque che da quella parte affluivano al Tevere.
In questa scoperta osservai ancora, essere addossati al viadotto gli avanzi di altre antiche fabbriche, ma dell’epoca imperiale. Consistono in alcuni muri laterizî basati sopra grandi massi di travertino, ricorrenti ad un livello eguale a quello d’'imposta delle arcate del viadotto, le quali da tali muri venivano nascoste ed ostruite. Anche questo, facilmente si comprende.
Infatti, elevatosi in progresso di tempo, per colmatura naturale od artificiale il livello della valle percorsa dal viadotto, e deviate forse le acque, le quali o per drenaggio o per conveniente sistema di fognatura furono portate a scolare nel corso inferiore del fiume, non fu più necessario mantenere libero alle acque il sottopassaggio per le arcate dell’antico viadotto.
Fu allora, che, dopo prosciugata la detta zona e cresciuto indi a poco il bisogno di edificare in quella regione per l'ingrandirsi della città, sorsero le nuove fabbriche imperiali, i cui muri furono poggiati sopra una serie di pilastri basati sopra grandi massi di travertino allestati semplicemente sul terreno di scarico; il che si è potuto verificare in più punti, quasi in tutto il tratto scavato pel collettore.
Avvenne inoltre, che in tale epoca, l'antico viadotto testà scoperto, il quale prima correva in campo aperto, fu fiancheggiato dalle nuove case e direi quasi incassato tra due ali di fabbricati, sui quali sorsero presso a poco anche i fabbricati moderni lungo la via della Lungaretta.
Il livello però, e la stratificazione del viadotto, è da ritenersi che restasse uguale a quello antico durante l'epoca imperiale, non essendosi riscontrata alcuna traccia di altra strada nel taglio delle terre sovrapposte al viadotto.
Cadute poi le fabbriche di detta epoca, e dopo le vicende urbane del medioevo, eguagliato di nuovo il suolo sparso di ruine, le terre ricoprirono l’antico viadotto per un'altezza di m. 3, formando così il livello della strada moderna della Lungaretta.
Mediante tale nuova scoperta, trova nuova conferma la congettura che la moderna via della Lungaretta segua una direzione pressochè identica alla antica sottoposta via, come identico ne è anche oggi il servizio di comunicazione tra i ponti Palatino e Gianicolense.
D. Marchetti
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