Il sig. Giuseppe Spithoever cominciò gli scavi del ninfeo negli orti Sallustiani, sotto la vigilanza dell'ing. cav. Rololfo Lanciani, il quale intorno alle scoperte finora avvenute in quel luogo e nelle adiacenze, compilò il rapporto che qui appresso trascrivo:
Furono rinvenute finora cinque opere di scultura, di non comune importanza, queste sono: 1. Statua marmorea grande al vero, rappresentante il giovinetto Endimione addormentato sulle rupi del Latmos. Benchè la scultura sia men che perfetta, pure la rarità della rappresentanza rende questo marmo pregevolissimo. 2. Statua marmorea alquanto minore del vero, rappresentante Leda col cigno stretto al seno, sul motivo della Leda capitolina. Il volto è alquanto corroso; il cigno è appena riconoscibile. 3. Statua marmorea grande al vero, riproduzione trascurata del Fauno di Prassitele. Manca della testa e delle mani. Al tronco d'albero è sostituita una stele. 4. Statua marmorea grande al vero, di personaggio barbato e togato. Manca delle braccia. 5. Figura di montone in rosso antico, molto danneggiata. I num. 1,2, 4, 5, sono stati trovati negli sterri per le nuove strade del quartiere, e nelle fondazioni delle nuove case sull'area già occupata dagli orti Sallustiani. Il n.3 è stato trovato negli scavi del ninfeo. Per ciò che spetta alla topografia degli orti Sallustiani, due scoperte meritano speciale attenzione.
La prima è quella del selciato della Salaria, a circa 150 met. dalla porta Collina, dalla quale aveva origine. È avvenuto presso l’attuale bivio delle vie Venti settembre e di porta Salaria.
La seconda è quella delle fondamenta del famoso tempio di Venere Ericina, più comunemente detta Venus hortorum Sallustianorum. Il tempio, fondato com'è sul terrapieno Serviano, ha sostruzioni robustissime, grosse più che due metri, profonde dodici.
Sono costruite a scaglie di selce, impastate col cemento fra le shadacchiature, delle quali possono riconoscersi i più minuti particolari. In due mesi di lavoro continuo, non si è riusciti a demolirne che una piccola parte, non ostante l’uso della dinamite. Dalla pianta delle fondamenta può dedursi, che il tempio fosse periptero esastilo. All’infuori degli accennati muri -a sacco, non è stato ritrovato il più piccolo frammento d’architettura. Ho visto un solo tronco di colonna di granito rosso, troppo piccolo per potersi attribuire ad una fabbrica così grande.
Scavandosi in via di porta Salaria, nell'area della villa già Valenti Gonzaga, poi Bonaparte, ora della Banca Italiana, alla distanza di 17 m. dal margine della strada ed alla profondità di m. 6, è stata scoperta una cella lunga m. 3,60, larga m.1,50, la quale oltre all'essere disadorna e grezza, non ha alcuna apparenza di aver servito per sepolcro.
Vi giacevano cinque o sei cippi spezzati e martellati, alcuni leggermente, altri integralmente, oltre ad altri frammenti di scolture diverse. Quattro cippi sono stati ricomposti. Hanno tutti il vuoto o incavo per le ceneri, coperchio pulvinato con antefisse, ornati elegantissimi, degni in tutto della prima metà del primo secolo dell'impero.
Rodolfo Lanciani.
Tre cippi vengono trovati nel fondare il pilone della casa che viene ora a trovarsi immediatamente dopo la zona superstite della Villa Bonaparte alla profondità di circa 6 metri ed alla distanza dalla moderna via Salaria di circa 15 metri. Relazione di G. Henzen:
Debbo alla gentilezza dell amico comm Lanciani le seguenti lapidi rinvenute testè in una camera antica sco perta sulla via Salaria in un terreno tagliato dalla villa Bonaparte a cagione della costruzione d una strada nuova Vi giacevano rotte o mutilate insieme con altri cippi non scritti o con iscrizioni cancellate Le riportiamo qui con alcune correzioni del ch Barnabei che le avea vedute dopo e con più agio del Lanciani.
Cippo marmoreo cinerario con coperchio pulvinato intagliato a teste d Ammone rotto a metà:
M LICINIVS M F MEN CRASSVS FRVGI PONTIF PR VRB COS CLAVDI LEG AVG GERMANICI IN M (auritania)
M Licinio Crasso Frugi figlio del console dell'a. 740 della tribù Menenia resse i supremi fasci nell'anno 27 dell'era volgare. Era stato pretore urbano nell'anno 24 suffetto a M Plauzio Silvano, come c'insegnano i fasti de fratelli Arvali (acta fratr. Arv. p CCXLIV). Dopo la pretura fu curator locorum publicorum iudicandorum ex s. c. sotto la presidenza del consolare T. Quinzio Crispino Valeriano (C.I.L. 6, 1266; cf Mommsen Staatsrecht 2 p 953, 4) dopo il consolato legato dell imperator Claudio in una provincia del cui nome non ci rimangono che parte d'una M in principio ed un'A in fine, avanzi che non possono appartenere se non alla Macedonia oppure alla Mauretania. Ora non può esser stato un legato imperiale in quella provincia nell'epoca di Claudio. All'incontro è noto che sotto lui la Mauretania fu definitivamente incorporata nell'impero e benchè fra generali che vinsero quelle popolazioni varie volte ribellate, Crasso non venga mentovato, sono tanto scarse però le notizie tramandateci intorno a quelle guerre, che forse non è troppo ardita la congettura, esser stata la Mauretania quella provincia, nella quale egli guadagnò gli ornamenti trionfali di cui per la seconda volta fu onorato a cagione del trionfo britannico di (Claudio Svet Claud 17). Più tardi peraltro quando nell'anno 47, l'imperatore fece uccidere il di lui figliuolo Cn Pompeio Magno, marito della sua figlia Antonia, la medesima sorte toccò a lui ed alla sua moglie Scribonia (Seneca lud 11 2 e 5).
Cippo marm cinerario vagamente intagliato fatto a pezzi:
CN POMPEIVS CRASSI F MEN MAGNVS PONTIF QVAEST TI CLAVDI CAESARIS GERMANICI SOCERI SVI AVG
Figlio del precedente, fu il Cn Pompeio Magno della seconda lapide. Trasse i nomi dalla famiglia della madre Scribonia, discendente dal lato materno da Pompeio triumviro e riunì in sè le glorie delle grandi case dei Pompei de Licini Crassi de Calpurni Pisones Frugi de gli Scribonii Libones. Il padre che abbiamo veduto chiamarsi fatuum da Seneca, per mera vanigloria al parer del Mommsen, gli avea dato i nomi del proavo materno come al figlio minore diede quei dell'avo paterno. Era quel cognome di Magno che sotto Caligola gli portò pericolo di vita ma lo salvò la sua giovinezza e l'imperator geloso si contentò di vietargli di portar il ridetto cognome. Questo poi gli fu restituito da Claudio, che nell'anno 41 gli diede in matrimonio Antonia, figliuola sua dalle seconde sue nozze con Elia Petina (Dio 60 5; ef Sveton Claud 26 27) senza però conferirgli onori maggiori, giacchè volle che come tutti i giovani nobili così anche Pompeio entrasse nella carriera senatoria, come uno de vigintiviri, e che poscia sostenesse la prefettura urbana in tempo delle ferie latine, permettendogli solo più tardi di sollecitare le magistrature superiori cinque anni prima del termine legale (Dio l. c). Fu peraltro fratello Arvale e come il padre membro del collegio de pontefici, secondo c in segna la nuova lapide. Accompagnò Claudio nell'espedizione britannica e fu da lui mandato a Roma per annunciarvi le vittorie riportate. Nella carriera politica giunse alla questura che sostenne come attaccato alla persona dello stesso imperatore suo suocero.
Cippo simile lettere in parte martellate:
dIS MANIBVS L CALPVRNI PISONIS FRVGI LICINIANI XV VIRIS F ET VERANIAE Q VERANI COS AVG F GEMINAE PISONIS FRVGI
Fratello minore del precedente, figliuolo ultimo del console dell'anno 27 il quale come al figlio primogenito diede i nomi del proavo materno, così al più giovane conferì quei dell'avo paterno, aggiungendovi il cognome di Liciniano, desunto dalla famiglia sua propria. Nacque nell'anno 38 e visse lungo tempo in esilio, mentre i fratelli Pompeio Magno e Licinio Crasso Frugi, furono uccisi quello da Claudio questo da Nerone (Tac. hist. 1 48 4 42; Plin. ep. 1 5 3). Da ciò si spiega che la lapide sua non gli attribuisce alcuna magistratura non chiamandolo se non quindecimvir sacris faciundis il qual'sacerdozio avrà ottenuto allorquando dopo la morte di Nerone l'imperator Galba, che prima per testamento gli avea già conferito il nome ed i beni suoi (Svet Galba 17) al giorno IIII Idus Ianuarias dell'a 69, l'adottò in presenza delle coorti pretoriane, nominandolo Cesare e successor suo (Tac. 1 14 segg; Plut Galb 23). Assunse quindi i nomi di Ser. Sulpicio Galba Cesare e così lo chiamano gli atti de fratelli Arvali di quell anno, nel protocollo del sacrifizio fatto a cagione della sua adozione. Quattro giorni dopo fu ucciso da pretoriani ribelli insieme col padre adottivo (Tac. hist 1 39 segg; Svet Otho 6; Plut. Galba 27). La testa tagliatasi fu concessa a Verania sua moglie (Plut. Galba 28) che insieme col di lui fratello Crasso Scriboniano (Tac. hist 1 47) seppelì il corpo dell'infelice marito. Essa ci era nota anche da Plinio (ep 2 20 2) ma se n'ignorava finora il cognome di Gemina.
Ulteriori scoperte epigrafiche nella Villa Bonaparte sulla via Salaria. Relazione di Enrico Stevenson:
Alle iscrizioni sepolcrali liciniane edite dal prof Henzen nel precedente Bullettino aggiungo tre altre pregevoli epi grafi della medesima famiglia Scoperte poco dopo le prime esse manifestamente provengono dall istesso monumento sepolcrale che potrà chiamarsi dei Licinii dopo che i Calpurnii Pisoni Frugi entrarono in quella gente.
Giusta le osservazioni del Mommsen, M Licinio Crasso Frugi, console nel 27 e. v., fu figliuolo di L Calpurnio Pisone Frugi, cons. nel 739 di Roma ma adottato da M Licinio Crassom cons. nel 740, trasmise ai posteri i nomi propri della sua famiglia. Di lui e di due dei suoi figli sono le epigrafi già illustrate. I marmi che io produco vengono ad accrescere le notizie che avevamo intorno a quei discendenti e ad insegnarci cose nuove circa il loro parentado.
Il primo dice così:
C CALPVRNIO PISONI CRASSO FRVGI LICINIANO
È manifesto che costui è un discendente di Licinio Crasso Frugi e che in esso furono riuniti tanto i nomi che questi portava prima dell'adozione, quanto quelli del padre adottivo. Riesce però difficile il determinare il posto che deve ottenere in mezzo a siffatta discendenza. Può darsi che fosse figlio di quel Licinio e perciò fratello di Gneo Pompeo Magno di L Calpurnio Pisone Frugi Liciniano, di M Licinio Crasso Frugi e di Crasso Scriboniano. Osservando la somiglianza dei nomi con quelli del figlio di Licinio, nominato in secondo luogo, nasce il pensiero che possa trattarsi di un figliuolo di lui, ma L Calpurnio fu adottato da Galba e perì ucciso assieme all'imperatore e gli storici come Tacito, Svetonio e Plutarco, che riferiscono questi fatti, non ricordano la circostanza che sarebbe stata notevole dell'avere Galba lasciato un nipote. Ad ogni modo conviene osservare che il cippo è senza menzione di cariche e di onori e che perciò il nostro Calpurnio, morì forse giovane ed oscuro o che fu coinvolto in qualche modo nella proscrizione o nell'uccisione di L Calpurnio di Pompeo e di M Licinio. Degno di attenzione è il prenome Caio di cui ragionerò fra breve.
La seconda lapide è del seguente tenore:
C CALPVRNIVS CRASSVS FRVGI LICINIANVS CON SVL PONTIFEX ET AGEDIA QVINTINA CRASSI
Cotesto C Calpurnio non può essere confuso in verun modo con Crasso Scriboniano di cui non conosciamo l in tera nomenclatura ma che ebbe dalla madre Scribonia un cognome che nella nostra lapide non figura. Nè può dirsi il console dell'anno 111, perchè questi portò il nome di Pisone. Nelle tavole arvaliche all'anno 87 figurano i consoli L Volusio Saturnino e C Calpu rnio (C.I.L. VI p 514). Il cognome di quest ultimo rimane incerto, per rottura del marmo. Qualsivoglia parere si voglia esprimere intorno alla data dell 87 dei fasci di lui, io stimo certo che è il medesimo personaggio ricordato dagli storici come ucciso sotto Adriano. Avendo cospirato contro Nerva (Dio LXVIII 3) fu rilegato a Taranto colla moglie, avendo poi tentato una nuova cospirazione sotto Traiano (Dio LXVIII 16) fu confinato in un isola d'onde poi essendo voluto fuggire sul principio dell impero d'Adriano, venne senza saputa dell'imperatore, ucciso da un procuratore romano (Vita Hadr 5).
Ecco il testo della terza epigrafe:
LICINIA CORNELIA MF VOLVSIA TORQVATA L VOLVSI COS AVGVRIS
Essa indica ignote relazioni fra i Licinii sepolti sulla Salaria ed i Volusii, il colombario dei cui servi e liberti, fu scoperto sull'Appia, nella vigna Ammendola. Licinia Cornelia, essendo detta la moglie di un L Volusio console ed augure, converrà cercare chi sia costui tra i Volusii, che ressero i fasci. La mancanza del cognome del marito la sigla cos e le altre circostanze accennano ai primi tempi dell'impero. È noto circa quel tempo L Volusio Saturnino, console nel 742, il cui figlio omonimo credo essere certamente il marito di Licinia.
Eseguendosi alcuni sterri nella nuova casa di proprietà dei sigg. Ciucci e Fontana, sul fianco destro della via Salaria, poco prima di giungere alla porta, nell'area della villa già Bonaparte, a m. 10 di distanza dalla strada, ed alla profondità di m. 8,10 si è scoperta una camera sepolcrale, contenente sette sarcofagi marmorei. Non cade dubbio, che la camera sepolcrale appartenesse ad uno dei tanti sepolcri che fiancheggiavano la via Salaria, sepolcro che dai bolli di mattoni e dalle sculture dei sarcofagi, dobbiamo credere costrutto all'epoca degli Autonini.
Potrebbe darsi, che fosse stato l'ipogèo dei discendenti dei Pisoni Frugi, dei quali personaggi si ritrovarono le iscrizioni sepolcrali a breve distanza.
Il primo dei sarcofagi scoperti è bisomo, lungo m. 2,25, alto m. 0,95, largo m. 1,25. È tutto liscio, e gli angoli, retti all'esterno, sono curvilinei nell' interno della cassa. Una lastra di marmo, che partiva dal fondo e che era incastrata nei lati corti, divideva i due cadaveri. Vedesi il guanciale marmoreo, ove poggiava il capo: questo guanciale è scolpito in tutti i sarcofagi qui trovati.
Il secondo sarcofago di elegante e corretto disegno, è lungo m. 1,25, largo m. 0,46, alto m. 0,45. Nel lato anteriore sono scolpiti genietti, alti m. 0,29, sorreggenti encarpi. Tra gli encarpi sono quattro maschere bacchiche. Nel lato sinistro vedesi un geuietto con lancia in resta, cavalcante un ippocampo, nell'altro lato un altro gemette con caduceo, cavalcante un capro marino. Il coperchio porta scolpite nei tre lati, scene di caccia alla tigre, al leone, al cinghiale. Nel lato di fronte vedesi un uomo a piedi, clamidato, con lancia in resta, nell'atto d'infilare la tigre; segue uno a cavallo, anch'esso clamidato, che cerca liberare un cavallo dalle strette del leone; chiude la scena la caccia al cinghiale. Nei lati sono un cane e una lepre. Le sculture del coperchio sono di gran lunga inferiori a quelle della sottoposta cassa.
Il terzo sarcofago elegantissimo, e di ottima conservazione, è lungo m. 1,46, largo m. 0,52, alto m. 0,45. Nella fronte sono scolpite quattro chimere, alte m. 0,58, affrontate due a due, con foculi nel mezzo. Tale rappresentanza, richiama alla mente il fregio del tempio di Antonino e Faustina, al Foro Romano. Nel lato destro vedesi una chimera in corsa. La stessa scena è riprodotta nel lato sinistro; v'ha di più una testa d'ariete, scolpita sotto la chimera. Il coperchio reca scolpiti sei genietti, affrontati, cavalcanti toro marino, tigre marina, leone e caprio marini, grifo e cavallo marini. Nel destro lato sono due verri pascolanti, nel sinistro è un ippogrifo.
Il quarto sarcofago ha il coperchio a tetto fastigiato con antefisse, ed è lungo m. 1,40, largo m. 0,55, alto m. 0,48. Ai quattro lati sono vittorie alate sorreggenti encarpi, i quali vanno a poggiarsi sugli omeri dei genietti alati, formando così un terzo encarpo. Nel lato anteriore, al centro, è una maschera baccliica, e di fianco sono i ritratti dei defunti. La pettinatura della donna è quella molto usitata all'epoca degli Antonini. Nel lato posteriore veggonsi encarpi sorretti dalle vittorie e dai genietti, e la maschera bacchica al centro come abbiamo visto nel lato di fronte, ma invece dell'effìgie dei defunti, sono scolpite due teste gorgonie. I lati corti recano anch'essi encarpi e teste gorgonie. La conservazione dell'arca è perfetta, il coperchio è rotto in vari pezzi. Un'arca del tutto simile esiste nel cortile ottagono del Museo Pio-Clementino.
Nel quinto sarcofago, di m. 2,25 X 0,80 X 0,50, sono ritratte scene dei baccanali a figure alte m. 0,42; ed il lavoro merita maggiore considerazione, e per disegno e per composizione. Nel lato anteriore a sinistra vedesi un Satiro, nell'atto di far mordere ad una tigre il manto agitato di una Menade danzante in atto orgiastico, e sorreggente il timpano colla mano sinistra e il tirso colla destra. Dietro questa Menade, sta la cista mistica dalla quale esce fuori il serpe; segue poi un altro Satiro danzante, con pedo nella mano dritta e fistola nella sinistra. Accanto è una base, con sopra due maschere bacchiche; segue quindi altra Menade, con timpano nella destra e con panneggio nel braccio sinistro.
Un'ara con fuoco ardente, che è scolpita subito dopo, forma il centro del sarcofago. Viene appresso Pan con pedo nella mano sinistra, e sorreggente colla destra un grappolo d' uva, verso il quale s'innalza un caprone dritto sulle zampe posteriori. Segue quindi Sileno ubbriaco, e sostenuto da un Satiro; chiude la scena da questa parte una Menade danzante, in atto di suonare il timpano. Tra questa Menade e Sileno ubbriaco è un pilastrino, con sopra un vaso.
Nel lato sinistro del sarcofago è scolpita una Menade suonante il timpano. Tra essa ed un'altra Menade, in atto di suonare i crotali, è un'ara con fuoco acceso ed im Satiro suonante la doppia tibia. Nel destro lato veggonsi due Menadi, l'una con tirso e manto, il lembo del quale ima tigre stringe coi denti; l'altra con coltello nella mano destra abbassata e col quarto di capriolo nella sinistra. Termina il quadro un Satiro, con pedo nella sinistra e col braccio destro sollevato. Il coperchio, a tetto fastigiato, non è scolpito.
Il sesto sarcofago, di m. 1,48 X 0,51 X 0,35, men pregevole degli altri per lo stile, è però il più importante per la scena che porta scolpita nella fronte. Questa scena rappresenta l'infanzia di Bacco; vedesi infatti un'ancella con berretto frigio, versante acqua da un'idria in un catino, forse per l'abluzione del piccolo Bacco; dietro l'ancella vedesi Pan, sorreggente una grande face. Il secondo gruppo componesi della Ninfa allattante Bacco, coronata di edera, di un vecchio Sileno che accostasi alla nutrice per prendere l'infante, e di una Ninfa e di un Satiro, che stanno dietro. Una tigre è sdraiata ai piedi della nutrice. Seguono due Ninfe, l'una col vaglio sulla testa, l'altra con tirso. Dopo di esse, viene un Fauno, che da un otre versa vino in un cratere.
Mirabile per composizione è il gruppo che segue, formato di Priapo ebbro, in veste cenatoria, dalla quale traspariscono le parti virili, con la corona convivale attraverso il petto ; di due giovani Fauni che lo sorreggono, e di un Satiro che con una face illumina la via. Seguono due Ninfe, l' una suonante i crotali, l'altra danzante e con tirso in mano. Termina la scena Pan danzante sulla cista mis-tica, dalla quale esce il serpe. Nei lati corti sono scolpiti due ippogrifi, affrontati, con tripode nel mezzo. Nel coperchio veggonsi ritratte scene di conviti, e figure giacenti sui letti tricliniarì.
Bello per lavoro e per esecuzione è il settimo sarcofago, di m. 2,20 X 0,70 x 1,05, nel quale è rappresentato il Ratio delle Leucippidì, che meno qualche particolare, è uguale a quello del Museo Vaticano, descritto da Eunio-Quirino-Visconti nel voi. IV, tav. 44 del Museo Pio-Clcmentiuo. Cf. Milliu Gall. Myth. CXIX, n. 523.
Apre la scena il gruppo di Ida e Lincèo, nudi, armati di scudo e corta spada, e portanti in capo un elmo chiomato, i quali come è noto, dovevano sposare le figlie di Leucippo, che furono dai Dioscuri rapite. Ida alza la spada e sta per slanciarsi sopra uno dei rapitori, ma è trattenuto da Lincèo. Il secondo gruppo è formato da uno dei Dioscuri, clamidato, con pileo in testa, e dalla fanciulla rapita eli' egli sorregge.
Al centro vedesi la sorella più giovane Arsinoe, in atto di dolore e di disperazione pel triste fatto; alla sua sinistra è l'altro dei Dioscuri col'altra figlia di Leucippo. Segue Filodice, alla quale s'attacca la figlia por non essere rapita. Chiude la scena Leucippo nudo, armato di scudo e corta spada. Agli angoli anteriori del sarcofago sono due figure muliebri alate sorreggenti cornucopie. Nelle due testate, la scena è la medesima, vedesi cioè Castore o Polluce colla ragazza rapita, su di una quadriga, nel punto di passare sotto un arco. Nel grosso coperchio sono scolpite quattro Vittorie alate, immolanti tori; tra le Vittorie immolanti sono dei foculi. Due enormi teste di Satiri formano l'antefisse del coperchio.
Rodolfo Lanciani
Nella proprietà già Bonaparte, ora della Banca Italiana, è incominciata la esplorazione di una nuova stanza sepolcrale, la quale si annunzia non meno ricca ed importante dell'altra, scavata nel mese scorso. Si è già ritrovato un primo sarcofago, lungo m. 2,20, largo m. 0,92, alto 0,82, con coperchio alto ra. 0,35, bellissimo lavoro del secolo secondo, di conservazione assolutamente perfetta.
Il coperchio ha il battente ornato di rilievi: agli angoli porta due antefisse, in forma di maschere sceniche. Nello specchio centrale scorniciato, incominciando da sinistra, si veggono scolpiti due Gemetti affrontati, sorreggenti una lancia, e poi un terzo che sostiene una corazza poggiata in terra, volgendo la faccia indietro.
Nel centro havvi un medaglione con testa gorgonica, poggiato su due cornucopi intrecciati, e sostenuto in alto da due Gemetti. Segue dall'opposta parte del clipeo, un Genietto genuflesso col turcasso nelle mani, e finalmente altri due Gemetti che depongono un cimiero suU' abaco di una colonnina. Tutte queste figurine sono alte m. 0,25.
Nel mezzo della fronte del sarcofago si vede im secondo clipeo, con grande e bellissima testa gorgonica dalla folta capigliatura, sorretto da due Vittorie alate, con tunica talare svolazzante: l'una e l'altra sostengono con l'altra mano un vessillo. Sotto il medaglione due figure di nazione barbarica, bracate, sedute in terra , col capo appoggiato alla palma della mano, in atteggiamento di dolore.
Sugli spigoli del sarcofago due putti ignudi, con leggera clamide sulle spalle, sostenenti ciascuno un serto di fogliami, il quale scende loro attraverso la vita, a guisa di balteo. Tra i putti e le Vittorie, in terra, un vaso ricolmo di frutta e di fiori ; nel campo a sin. un albero di quercia, a destra un albero di fico, dai cui rami pendono turcassi. Le descritte figure sono alte m. 0,75,
Scoperchiato l'avello, si rinvenne uno scheletro lungo m. 1,65, e poca terra giallastra.
Presso il sarcofago si è raccolta una stupenda testa-ritratto in marmo greco. Esprime i lineamenti di un uomo nel pieno vigore degli anni, senza barba , e coi capelli tagliati alla foggia del primo secolo dell' impero. Sembra testa di statua.
Nel sarcofago delle Leucippidi è stata rinvenuta una moneta erosa di Antonino Pio.
Proseguiti gli scavi, si rimisero poi in luce altri due nobilissimi sarcofagi.
In uno, lungo m. 2,38, largo 0,98, alto 1,23, è rappresentato il trionfo di Bacco indiano ; e le figure tutte eleganti e di buona scultura, sono distribuite nel modo seguente: Apre il cortèo una baccante con ramo d' alloro nella mano destra, ed un fauno che le sta dietro recante il pedo nella sinistra. Ai piedi del fauno è la nota cista mistica, semiaperta, dalla quale esce il simbolico serpente.
Segue un gruppo, in cui campeggia la figura di Sileno, il quale s'appoggia con tutte e due le mani ad im grosso tirso. Ha in capo una corona d' edera e corimbi. Precede il vecchio Sileno un fauno con pedo nella sinistra, in atto di far camminare un leone ; dietro è scolpita una giraffa (animale anch'esso indicante, che l'azione si svolge nelle Indie), e quindi seguono una menade danzante, suonante il timpano, e due fauni, che appena scorgonsi nel fondo della scena.
Di squisito lavoro, e mirabile per disegno e composizione è il gruppo di due elefanti, coi loro rispettivi conduttori, in sembianza di fauni e portanti nella mano dritta una specie di grosso arpione, strumento anche oggi usato per condurre gli elefanti. Questi camminano di conserva; quello alla destra è ricoperto da una rete, e da una gualdrappa, a cui è attaccato un lituo.
Un vaso, della forma del cantaro, è sul dorso dell'elefante e forma il centro anteriore del sarcofago. L'elefante di sinistra è caricato di un prigioniero indiano, colle mani dietro legate, e del fauno conduttore. Tra gli elefanti scorgesi una pantera. È degno di osservazione il Satiro che segue, sostenente un foculo, posato su d'una sottocoppa, e che può dare un'idea di quel balillus, su cui si portava il fuoco dinanzi agli imperatori ed ai magistrati romani, costume tratto dai re d'Oriente, e forse quindi trasferito nelle favole bacchiche. Quindi nella pompa di Tolomeo precedevano il carro di Bacco molti foculi od incensieri, fumanti di preziosi aromi.
Tralasciando altri fauni e fanciulli del seguito dionisiaco, frequenti in simili composizioni, i serpenti, le baccanti danzanti, le menadi, è notevole il gruppo finale, a sinistra dei riguardanti. Vedesi il carro trionfale tirato da due pantere aggiogate; e il giogo è formato da un vago intreccio di due delfini. Sul carro è Bacco, con corona d'alloro e pelle leonina ; è ritto in piedi, sorregge il tirso colla destra , le redini colla sinistra : dietro sta una Vittoria.
Nei fianchi del sarcofago sono scolpiti due grifi affrontati. Il coperchio poi presenta nel grosso battente tre scene della vita di Bacco, cioè la nascita da Semele, la finta nascita dalla coscia di Giove, e Mercurio che dà l'infante ad allevare alle ninfe. Due enormi teste di Satiri formano 1' antefìsse del coperchio.
Non minor considerazione merita il secondo sarcofago, lungo m. 2,15, alto m. 0,80, largo m. 0,88, nella cui fronte è effigiata la conosciuta scena di Bacco nell' isola di Nasso. Cominciando alla sinistra del riguardante, veggonsi due fauni, de' quali uno è con pedo nella destra e siringa pastorale nella sinistra mano. Seguono poi tre baccanti, che portano la loro attenzione su Arianna.
Di queste baccanti , quella pili verso il centro del sarcofago ha a' suoi piedi la cista mistica, donde esce il serpente, l'altre dee hanno il tirso in mano, e sono coronate d' edera e corimbi. Vedesi poscia Pan, in alto, tra due fauni , e piìi in basso Sileno, che tiene per mano un genietto bacchico, con corona a traverso il petto e siringa nell'altra mano. Il gruppo principale è il seguente, composto di Bacco, vestito della solita pelle, e di im fauno cui il figlio di Semole s'appoggia.
Disgraziatamente la testa di Bacco è spezzata, e questo toglie non poco effetto al quadro, così mirabilmente composto ed eseguito. Scorgonsi nel fondo una maschera bacchica, un ariete, ed una pantera. Tra questo gruppo e quello ove campeggia la figura d'Arianna, e di cui ora dirò, è un fauno ed un altro genietto bacchico anch'esso colla corona a traverso il petto, e con una face capovolta nella sinistra.
Arianna è scolpita nella solita maniera, addormentata cioè e mezza nuda. Glauco, cui ella s'appoggia col sinistro braccio, è intento a sollevare il manto che la ricopre, per mostrarla a Bacco interamente nuda, acciò se ne invaghisca. Pan aiuta Glauco nel togliere il manto. Al di sopra di questi personaggi sono scolpite due divinità, probabilmente numi locali di Nasso. L' isola è rappresentata da scogliere, bagnate dalle onde marine, tra le quali guizza il delfino. Tre baccanti in atto di ammirare Arianna chiudono la scena.
Nel fianco destro è rappresentata una menade, con timpano nella mano sinistra, danzante avanti un'ara, sopra la quale arde il fuoco e sono collocate delle offerte: nell'ara e scolpito Pane danzante, sorreggente il pedo. Al di là dell' ara vedesi un simulacro di Bacco barbato con modio in capo, tirso nella mano sinistra e un vaso nella destra; il simulacro poggia su di un piedistallo. Nel rimanente fianco è un fauno danzante, con lungo tirso. Il coperchio di sì importante monumento, non si è potuto trovare.
Rodolfo Lanciani
Lungo il lato sinistro del tronco intramuraneo di via Salaria, poco prima di giungere all'ipogèo dei Pisoni Frugi, nell'area del nuovo quartiere Sallustiano, si è ritrovato un tratto di antica strada inghiaiata. La strada è sostenuta da ambedue i lati con muraglioni di tufa, simili alle opere serviane. Il profilo transversale della strada è a schiena d'asino, col culmine alto m. 0,20 sul piano dei margini. La grossezza massima dello strato di ghiaia è di m. 0,35.
Rodolfo Lanciani
La Gelateria Fassi si sposta da piazza Navona a Via Piave 9/11/13. Cambia nome in Grande Gelateria Elettrica Siciliana.
Inaugurazione del Palazzo del Freddo. La Gelateria di Giovanni Fassi si trasferisce da via Piave a via Principe Eugenio 65.
Durante i lavori sulla rete di distribuzione dell’energia elettrica a via Piave, all'altezza del civico 53, sono rinvenuti alcuni resti dell’antica Via Salaria.
☆ ☆ ☆ ☆ ★
Edificio ENPAS a via Piave
1948 edifici
☆ ☆ ☆ ☆ ★
Sacro Cuore di Gesù al Sallustiano
1914 chiese
☆ ☆ ☆ ☆ ★
Casamento Scipioni
1886 edifici
☆ ☆ ☆ ☆ ★
Palazzo di Via Piave 15
1886 edifici
☆ ☆ ☆ ★ ★
Villa Paolina Bonaparte
1750 ville
☆ ☆ ☆ ☆ ★
Fontane di Villa Paolina Bonaparte
1750 fontane
☆ ☆ ☆ ★ ★
Sepolcro dei Calpurni Pisoni Frugi
sepolcri
☆ ☆ ☆ ☆ ★
Casino di Vigna Borioni
casali
☆ ☆ ☆ ☆ ★
Porta Salaria
porte
☆ ☆ ☆ ★ ★
Sepolcro di Sulpicio Massimo
sepolcri
☆ ☆ ☆ ☆ ★
Sepolcro di Porta Salaria
sepolcri
☆ ☆ ☆ ☆ ★
Villino Ferrari
villini