Codice identificativo monumento: 2568
Una bella scoperta si viene facendo sul Celio, nel luogo già occupato dalla villa Casali. Si è quivi disseppellito una grande base di statua onoraria, insieme colla testa di un personaggio appartenuta, secondo ogni apparenza, alla statua che su quella base era posta.
La testa è barbata, di buona scultura, e presenta la impronta del tempo dei primi Antonini. Di tale scoperta no, diamo qui un semplice annunzio, riserbandoci a descriverla minutamente nel futuro fascicolo, allorquando saranno progrediti i lavori di sterro. Siccome ricavasi dalla iscrizione, la statua appartenne ad un Manius Poblicius Eilarus, di professione margaritarius, negoziante di perle; e gli fu posta dal corpo dei Den- drofori della Gran Madre e di Atti, in attestato di gratitudine per benemerenze da lui contratte verso quel sodalizio religioso.
Di questo medesimo personaggio era già nota un'altra iscrizione, apposta già ad una edicola di Silvano Dendroforo; iscrizione che si conserva attualmente nel cavedio della casa Corsetti a Monserrato; essendo stata nei passati tempi ritrovata in quelle vici- nanze, secondo può ricavarsi dalle indicazioni locali che se ne hanno (Cf. Corpus laser. Lai. VI, n. 641).
Sembra che il monumento onorario di cui si tratta fosse posto nella stessa residenza del collegio dei Dendrofori; o certo in luogo, nel quale Mauio Poblicio avea edificato una basilica, la quale dal suo cognome fu detta Hilariana; il che è dimostrato da una leggenda in musaico, esistente tuttora nel pavimento.
Siccome ognun vede, la scoperta può riuscire di non comune importanza, sia per gli edifizi di cui si tratta; sia perchè ritrovandosi, com'è quasi certo, la statua, sarebbe quello il secondo simulacro onorario ricuperato insieme con la sua base, dopo quello insigne di M. Celio Saturnino, esistente nel museo lateranense, nella cui preziosa iscrizione è descritto tutto il suo cursus honorum dei tempi di Costantino.
Carlo Ludovico Visconti.
Dallo scavo per la costruzione di un fognolo presso l'ospedale militare al Celio, provengono un grande catino in terra rossa, del diametro di m. 2,24, ed una lucerna fittile ad un becco, senza bollo del fabbricante, con due delfini rilevati nel piatto superiore.
Giuseppe Gatti.
Nel terreno adiacente all'ospedale militare, sul Celio, e propriamente fra l'ala destra del fabbricato e la via di S. Stefano Rotondo, facendosi un cavo per fognolo dinanzi al padiglione n. 16, si è trovato, a tre metri di profondità dal piano di campagna, un avanzo di antico pavimento a musaico, formato di grandi tasselli bianchi e neri.
Allargato lo sterro verso oriente, è stata scoperta, allo stesso livello, una stanza costruita in buon laterizio, larga m. 3,00, e decorata anche questa di pavimento a musaico con figure a chiaroscuro, di cui dirò in appresso. La soglia della porta è di marmo bianco, lunga m. 1,70, larga m. 0,42. Vi sono incavate due coppie di piante di piedi; una coppia è rivolta verso l'interno dell’edificio, l’altra verso l'esterno.
Addossato allo stipite sinistro della porta anzidetta era un pilastrino, costruito in mattoni, sul quale si trovò un bacino lustrale di nero antico, del diametro di m. 0,37. Il labbro, largo m. 0,025, ha due alette sporgenti dalla periferia, una incontro l’altra; e ad eguale distanza da esse vi è un canaletto per versare il liquido contenuto nel vaso.
Di fronte a questo, cioè appoggiato allo stipite destro della porta, era tuttora al posto un grande e bel piedistallo marmoreo, con cornice e zoccolo sagomato, alto m. 1,24, largo alla base m. 0,95 e profondo m. 0,55. Nel piano superiore vi sono le incassature dei piedi della statua che vi fu eretta: e sulla fronte vi è incisa, con caratteri della prima metà del secondo secolo, l’iscrizione onoraria:
MV POBLICIO HILARO
MARGARITARIO
COLLEGIVM DENDROPHORVM
MATRIS DEVM M I ET ATTIS
QVINQ P P QVOD CVMVLATA
OMNI ERGA SE BENIGNITATE
MERVISSET CVI STATVA AB EIS
DECRETA PONERETVR
Del collegio dei dendrofori romani, quibus ex s. c. coire licet, sono già note parecchie memorie epigrafiche; nelle quali principalmente vengono ricordate o cospicue donazioni fatte al collegio dai quinquennali 05 honorem quinquennalitatis, 0 legati che servissero per le spese dei funebri anniversari. Cfr. p. es. Orelli 4075, 4076 (= €. Z. LZ. VI, 1925), 4412. Che anzi, dello stesso Manio Poblicio Hilaro, qualificato parimenti come margaritarius e quinquennalis perpetuus, si ha in Roma un’altra iscrizione, la quale ricorda aver lui dedicato, in unione a’ suoi figliuoli Magno ed Harmoniano e donato ai dendrofori della Mater Deum Magna, un simulacro di Silvano dendroforo (C.I.L. VI, 641).
Fra le terre rimosse, a piccola distanza dal piedistallo descritto, si è rinvenuta una testa marmo, alquanto maggiore del vero, che rappresenta un personaggio barbato, il quale nei lineamenti generali e massimamente nel taglio dei capelli e della barba, presenta molta somiglianza col tipo degli Antonini Augusti. È sommamente verisimile, che questa testa appartenga alla statua onoraria di Poblicio Hilaro, eretta per decreto del collegio dei dendrofori, e non è fuor di speranza che il resto della statua medesima, continuandosi l’escavazione, torni nuovamente all'aperto.
Cotesto monumento poi acquista maggiore importanza per la relazione coll’edificio, nel quale è stato scoperto. Imperocchè, sgombrata dalle terre una parte della stanza, sulla cui soglia era il vaso lustrale e la statua di Poblicio Hilaro, si è riconosciuto, che non si tratta di una casa privata, ma della stessa residenza del collegio dei dendrofori, e di un luogo sacro ai misteri di Cibele. Infatti, sul pavimento che ho già detto essere coperto di musaico a chiaroscuro, immediatamente avanti alla soglia della porta, è scritto, entro una grande tabella ansata, in belle lettere nere su fondo bianco:
INTRANTIBVS HIC DEOS
PROPITIOS ET BASILICae HILARIAE
La scrittura è volta verso l'interno della stanza: ed il buon augurio qui espresso era forse simboleggiato anche nelle orme dei piedi incavate sulla soglia, le quali potevano rappresentare il sa/vos ire, salvos redire, acclamato a coloro che entravano od uscivano da quel luogo insigne e venerando. Egli è poi evidente, che la basilica Hilariana fu costruita per i dendrofori dalla liberalità di Poblicio Hilaro, onde dal cognome di lui aveva tolto la propria denominazione. E piochè nella classica epigrafia sono appellate daszlzeae non solo le note grandiose aule quadrilunghe con più navi, ma eziandio talune sale di minor conto, annesse a terme od a templi e sacelli; così è chiaro, che la dasilica Hilariana del Celio era un piccolo edificio congiunto con la residenza del collegio dei dendrofori e con un luogo sacro al culto di Cibele.
A questo mistico culto deve certamente riferirsi la rappresentazione figurata nel mezzo del pavimento della stanza ora scoperta. Sopra una corona listata di giallo e rosso, che occupa il centro della composizione, sta una civetta: una lunga asta traversa obliquamente, da alto in basso, la corona medesima. Poco al disopra della civetta è un altro volatile, forse un gufo; ed altri otto animali sono disposti, come raggi di un semicerchio, sotto il gruppo centrale, stando tutti rivolti, ed in atto d'incedere, verso il medesimo. Essi sono, procedendo da destra a sinistra; un serpe, un cervo, un cane, un toro, uno scorpione, una tigre o pantera, un caprio, un corvo. Quest'ultimo sta sulla cima di un abero.
Finalmente si è osservato, che nell'angolo della stanza, il quale corrisponde sulla destra dell'ingresso, trovasi nel pavimento un pozzetto circolare, costruito internamente in laterizio, e capace tanto da potervi discendere una persona.
In un luogo, ove tutto si riferisce a misteri del culto frigio, con buona ragione si può credere che siffatto pozzetto sia la mistica fossa per i riti del taurobolio e del criobolio; i quali, come la dendroforia, erano proprio del culto di Cibele e di Atti.
Oltre gli oggetti superiormente descritti, e trovati al proprio luogo, sono stati recuperati fra le terre: Una graziosa statuetta di Fauno, adoperata per fontana. La fisura è tutta nuda, e siede sopra uno scoglio, poggiando la mano sinistra su di un'otre, donde scaturiva l’acqua. Con la mano medesima il Fauno stringe una lucertola. La statuetta è acefala, e manca pure di ambedue le braccia. Coperchio cilindrico di osso. Spatola di bronzo. Tegolone, di m. 0,68 X 0,43 col bollo: CAD
Rodolfo Lanciani.
L'escavazione aperta fortuitamente sul Celio, in luogo occupato prima dalla villa Casali, ed ora dalle grandi edificazioni del nuovo ospedale militare; e continuata per cura della nostra Commissione Archeologica, non senza il cortese concorso del Comando del Genio militare, è stata da qualche tempo interrotta per cause al tutto indipendenti dalla Commissione suddetta.
Giova sperare che quei lavori sieno per essere quanto prima ripresi, trattandosi di scoperte di non comune rilievo; cioè a dire, dello rovine, come sembra, della residenza dei dendrofori romani di Cibele e di Atti; del qual ceto di devoti, portatori di arbusti nelle sacre pompe del culto frigio, pressoché niuna memoria si è conservata fra i monumenti di Roma, sebbene quel culto, cotanto diffuso, vi si fosse stabilito, con tutte le sue feste e cerimonie mistiche, almeno fin dai tempi di Claudio e di Otone, e vi si mantenesse in vigore fino alla caduta estrema del paganesimo, siccome attestano numerosi monumenti epigrafici; fra i quali basta ricordare le insigni are vaticane, prodotte e dichiarate dal celebre Bianchini nel suo Anastasio.
Pertanto, in attesa che quei disteni, secondo il comune desiderio, vengano ripresi, diamo frattanto una breve notizia delle scoperte avvenute finora, che furono già di volo accennate l'anno decorso. Speriamo che si possano compiere in appresso colla intera descrizione della celimontana residenza dei Dendrofori romani, e di qualche altro pregevole monumento che rimane peravventura sepolto fra quelle rovine.
La parte fino ad ora scoperta consiste in una sala di forma rettangola, la quale non è disterrata che per metà; misura finora tre metri in larghezza, e due e mezzo in lunghezza. Le pareti, di mediocre opera laterizia, si conservano fino all'altezza di circa tre metri. Il pavimento (se ne vegga la riproduzione alla tavola I e II) è rivestito di musaico bianco e nero, con rappresentanze figurate nel mezzo, e terminante da un lato con questa iscrizione, dentre un cartello ansato, in grandi caratteri di bella forma, la quale sta a verso non per chi entrava, ma per chi usciva da quella parte:
INTRANTIBVS HIC DEOS
PROPITIOS ET BASILICA
HILARIANAE
Donde apparisce, che la sala di cui trattiamo servia come di passaggio per entrare nella basilica detta Ilariana. Il pavimento è in parte avvallato, come si vede alle screpolature del musaico, perchè al disotto ricorre una chiavica, la quale nel luogo istesso ha un trombino di accesso. Addossata al muro dalla parte sinistra — avuto riguardo alla direzione della sala — e tuttora al suo posto, esisteva una grande base marmorea, ornata di cornici, con questa iscrizione:
MV POBLICIO HILARO
MARGARITARIO
COLLEGIVM DENDROPHORVM
MATRIS DEVM M I ET ATTIS
QVINQ P P QVOD CVMVLATA
OMNI ERGA SE BENIGNITATE
MERVISSET CVI STATVA AB EIS
DECRETA PONERETVR
La base, di marmo lunense, è alta m. 1,28, larga m. 0,96 grossa m. 0,56. Nella quarta e quinta linea si legga: Malris Deum Magnete Ideae et Attis, quinquennali perpetuo. La bontà dei caratteri e la proprietà del dettato, come anche l'uso del prenome Manio coli'antica sigla, e la forma Poblicius in luogo di Publicius sono altrettanti indizi, che ci consigliano di non attribuire questo monumento ad età più recente di quella di Adriano, o poco appresso: e si potrebbe quasi pensare anche a tempo anteriore, se non fosse che barbata è la testa del personaggio onorato, la quale è stata rinvenuta a poca distanza dalla medesima base.
Accennando la notevole scoperta, io già feci osservare, che di questo Manio Poblicio Ilaro, negoziante di perle, si possiede un altro bel marmo, da lui posto nella qualifica testé ricordata di quinquennale perpetuo dei dendrofori, in unione con due suoi figli, addetti medesimamente a quel sodalizio. Esso è il seguente (C.I.L. VI, n. 641):
SILVANO DENDROPHORO SACRVM
MV POBLICIVS HILARVS MARGAR QQPP CVM LIBERlS
MAGNO ET HARMONIANO DENDROPHORIS M D M DE SVO FECIT
E cosa manifesta che questo marmo, di caratteri al tutto analoghi a quelli della base, dovette essere apposto ad una edicala, o nicchia, contenente la statua di Silvano; nume che a buon diritto potea riguardarsi come il prototipo dei dendrofori, a cagione dell'arbusto divelto, suo frequente attributo (et teneram a radice ferens, Silvane, cupressum); ancorché in nessun'altra iscrizione, all'infuori di questa, egli venga invocato col titolo di dendroforo.
Di detto marmo, edito o descritto da molti (cf. C. I. L. ibid.), noi non conosciamo la provegnenza, ma sappiamo soltanto che nei secoli passati esisteva nella contrada di Banchi, o di S. Lucia della Chiavica; e per verità in quella vicinanza o rimasto fino al presente, essendo ora murato nel cavedio della casa Corsetti in via Monserrato n. 20.
Il solo codice pighiano di Berlino lo mette in horto genuensis cuiusdam mercatoris muro insertum; indicazione che nulla viene a dire. Or qui non ha dubbio che si tratti di monumento dedicato in origine nel collegio dei dendrofori; poiché Manio Poblicio si enunzia come quinquennale perpetuo, ma non dice di quale corporazione: il che dimostra che il marmo era posto negli edifizi di quel collegio, nel quale pe' suoi meriti eragli stato conferito il magistero a vita.
E siccome, d'altra parte, il monumento è d'incognita provegnenza; e siccome non è probabile che vi fossero in Roma due sodalizi e due residenze di dendrofori, così ne conseguita che il marmo di Monserrato possa derivare dai luoghi stessi, donde usciva ora in luce la base onoraria del medesimo personaggio : e che probabilmente la edicola col simulacro del nume dendroforo, fatta da Manio Poblicio e da' suoi figli, stesse situata, secondo il consueto, presso l'entrata principale di quegli edilìzi, ove i dendrofori si congregavano per le faccende del culto loro. Così in Ostia un Caio Atilio Basso, apparator M. D. M. fa dono di ima statua di Silvano ai dendrofori di quella colonia
Della statua di questo personaggio si è ritrovata finora soltanto la testa, che fu la prima a venire in luce, e che alla nostra Commissione diede sicuro indizio della opportunità di cavare in questo luogo: essa è di buona scultura, ed esprime con molta vivezza il ritratto di un uomo sui quaranta anni, con barba raccorcia e ricciuta, e con capelli egualmente ricciuti: le folte ciglia e le popille degli occhi vi sono segnate con incisioni. Il suo sguardo è volto a sinistra: ha la fronte corrugata, le labbra tumide e alquanto sporgenti. Il rimanente della figura, in quel poco disterro che si è fatto, non si è potuta ancora ritrovare: ma giova sperare che riassumendo i lavori si otterrà di ricuperarla.
Dirimpetto alla base di Ilariano, e addossato al muro dalla parte opposta, si scoperse un basamento di muratura, assai più piccolo della base: questo sembra avesse servito a sostenere la graziosa statuetta acefala di giovine Satiro trovata ivi presso, che già altrove descrivemmo (Bull. 1889, pag. 493), e che diamo riprodotta nella tavola istessa. Stava questa per ornamento di una fontana, situata, come sembra, in quella sala, e che potea servire per l'abluzione delle mani.
Il Satiro siede sopra una rupe, e con la mano sinistra superstite, appoggiata sopra di un otre, tiene afferrata una lucertola, attributo ben conveniente al rustico semideo. L'otre è perforato, per ammettere il tubo donde l'acqua sgorgava. Si trovò pur quivi una specie di catino in marmo nero, fatto a guisa di un mortaio, ma di forma assai larga e poco profonda.
Secondochè dimostra la direzione della leggenda in mosaico, da cotesta sala passavasi nella basilica, costruita probabilmente a spese del facoltoso negoziante di perle, e perciò dal suo cognome detta Ilariana. Dopo la iscrizione in musaico era un gradino di marmo, e venive poi la soglia di una porta, formata pure di una lastra marmorea lunga m. 1,78 X 40 X 8, sulla quale sono, segnate di graffio anziché incise, quattro piante di piedi, due rivolte in avanti e due in addietro, come per denotare l'andata e il ritorno.
Di siffatte orme di piedi se ne veggono parecchie in lapidi antiche, e talvolta anche accompagnate da iscrizione votiva; ma siccome la nostra, per quanto io mi sappia, è la sola che sia stata trovata in situ, cosi da questa ci è lecito forse congetturare qual fosse in origine l'uso e la destinazione delle altre. E perciocché i piedi in quelle due opposte direzioni accennano chiaramente slW'ììiis reditus, non sarebbe strano, che Manie Poblicio avesse fatto esprimere quel segno sul limitare, in memoria e per gratitudine agli dei di una qualche sua peregrinazione venuta a buon fine; cosa che per la natura istessa del suo traffico gli potea con facilità intervenire.
A causa della sospensione dei lavori accennata in principio, nulla si è potuto scoprire della basilica: se non che nel primo disterro, per la costruzione del fognalo si trovò, al pian regolarità nè disegno: il che farebbe supporre, che prima di entrare nella basilica si avesse a passare per un cortile, od altro luogo scoperto. Gittiarno ora una rapida occhiata sulle rappresentanze del pavimento a musaici, di cui diamo il disegno cavato da un lucido eseguito dall' ispettore sig. Antonio Arieti.
Vi si vede un gruppo simbolico di animali, che formando cerchio convergono tutti verso una corona posta nel centro, con una lancia attraverso, e sulla quale posa una civetta. La corona è formata da una benda colorata di rosso, e guarnita di un serto di alloro: e si noti che questa benda è l'unica parte del musaico dipinta di altro colore dal bianco e dal nero, ed è perciò manifesta l'intenzione di farla vieppiù risaltare. Questa corona sarebbe, secondo me, quella dell'iniziato nei misteri di quel culto: essa è di colore vermiglio, forse per adombrare i riti cruenti del taurobolio e del criobolio; e credo sia posta sopra una lancia per denotare che dovea conquistarsi col sostenere intrepidamente le prove della iniziazione.
La civetta che sta sopra la corona mi sembra animale simbolico di Cibele, in virtù di quei concetti che, assimilandola alla Minerva attica, furono cagione che le si appropriasse il titolo di Minerva Berecinzia: la civetta inoltre, come simbolo della notte, poteva ricordare ai misti quelle dottrine dell'antichissima teogonia, che nella notte ravvisavano la madre universale; e Cibele, infatti, non era in sostanza se non una immagine mistica della natura, come Atti lo era del Sole.
Che la civetta fosse un simbolo consueto nel culto frigio, lo dimostra il fatto che questo volatile è rappresentato anche nel pavimento del sacrario metroaco di Ostia, da me divulgato, insieme con queir insigne complesso di memorie del culto suddetto, che si scopersero negl edifìzi dei dendrofori e cannofori ostiensi. Gli altri animali sono: due leoni, o piuttosto due leonesse; uno scorpione, un becco, un cervo, un serpente, un corvo, ed una colomba posata su di un ramoscello di alloro.
Alcuni di questi sono noti ed hanno un significato più o meno sicuro nel culto frigio, come lo scorpione, i leoni, il corvo, il toro, il sespente: altri, per quanto io mi sappia, noi sono, come il caprone, il cervo, la colomba. Non oso accingermi a tenteme la spiegazione.
Dirò soltanto che, come il vetusto idolo della Diana efesina, altra allegoria della natura, era decorato di numerose figure di animali che supponeansi prodotti e nutricati da lei, così può darsi che quelli, che nel nostro pavimento fanno contorno alla mistica civetta, vogliano significare la virtù produttiva ed altrice della natura medesima, personificata in Cibele. Siccome però io veggo, che tutti quegli animali stanno in atto di simultaneo concorso verso la corona, mi nasce anche il sospetto che possano adombrare i varii gradi d'iniziazione, mediante i quali ottenevasi la ènomsiu dei misteri.
Comunque si fosse, le cose scoperte nella piccola parte disterrata di queste rovine accenderanno sicuramente egli eruditi il desiderio di vedere continuata e compiuta questa importante escavazione.
Carlo Ludovico Visconti.
Proseguite le indagini nell'area del nuovo ospedale militare, al Celio, incontro alla stanza ove si trovò il piedistallo della statua di M. Poblicio Hilaro, è stata sterrata un'altra stanza, larga m. 7,30 X 3,50, che in parte conserva il pavimento a musaico grossolano, bianco e nero. Nel mezzo vi sono le tracce di una costruzione, la quale formava una specie di vasca quadrilunga e profonda m. 0,70 sotto il piano della stanza medesima.
Grazie al ritrovamento di un’iscrizione sulla base di una statua e da una testa-ritratto ritrovati all’interno, si è potuto scoprire che la basilica fu costruita da Manius Publicius Hilarus, ricco mercante di perle e seguace del culto di Cibele.