Ara Pacis

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Data: -9 / -13

Periodo: impero

Categoria: archeologia

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Codice identificativo monumento: 231

Cronologia

30/1/-9

Inaugurazione dell'Ara Pacis.

1858

Scavi per il consolidamento delle fondamenta di Palazzo Peretti portano al recupero di nuovi resti dell'Ara Pacis. Estratti numerosi frammenti del fregio a girali.

1872

Scavi a palazzo Fiano, portano al ritrovamento di alcuni frammenti dell'Ara Pacis, che vengono custoditi nel cortile.

Fonte: Fotografie Parker. Mappa Formae Urbis, Lanciani.

2/1899

Rimossa la pietra sepolcrale nella tomba di monsig. Poggi; del secolo XVII, presso l’altare maggiore nella chiesa del Gesù, si riconobbe che la lastra di marmo adoperata pel sepolcro è un preziosissimo frammento della celebre ara Pacis Augustae nel Campo Marzio qui rappresentato. È lungo m. 2,31, alto m. 1,41 e presenta mezzo bucranio con ‘due terzi del maraviglioso festone, che corrisponde al festone dell'altro pezzo conservato nel Museo Nazionale alle Terme.

Giuseppe Gatti.

Fonte: Notizie degli scavi di antichità

27/7/1903

Grazie al sostegno del proprietario Edoardo Almagià, vengono avviati nuovi scavi sotto il Palazzo Peretti, per recuperare resti dell'Ara Pacis. Estratti 53 frammenti:

"Alla fine di luglio ad oggi Roma è stata arricchita, proprio nel suo cuore, dalla scoperta degli avanzi di un altro grande monumento antico, l'Area Pacis Auguste, che 1916 anni sono, cioè 13 anni a, C. fu decretata dal Senato a ricordare il pieno e pacifico successo delle imprese di Augusto, reduce vittorioso dalle Gallie e dalla Spagna, e fu consacrata il 50 gennaio dell’anno 9 a. C..

Quell'Ara sontuosa, sulla quale ogni anno sacerdoti o vestali dovevano compiere i grandi sacrifici votivi, aveva forma di basamento piramidale rivestito di gradini di marmo, sopra inalzavasi l'ura propriamente detta. Racchiudevala un recinto marmoreo di forma rettangolare con de porte, l'una sulla fronte, l'altra dal lato opposto. Nel concetto architettonico. e figurativo di tale recinto gli artisti del tempo riproduasero, verosimilmente, la scena delta prima consacrazione. Cosicchè, l'interno dell'ara ricorda nei suoi elementi costruttivi il tavolato, sul quale si inalzano i fusti di legno terminati dai bucrani, tra î quali venivano appesi festoni di frutta.

L'esterno poi rappre senta la procestiine degli amici di Augusto, dei sacerdoti, dei senatori e delle illustri famiglie, facienti sosta ai luoghi sacri, compienti sacrifici, ed avviantisi all'Ara Pacis Auguste coronati di alloro e portanti rami di olivo. Tutta questa scena grandiosa posa sopra un estesissimo fregio a fogliami simboleggianto la fecondità della terra.

Gli ultimi scavi fatti nella via in Lucina caddero fortunatamente sull'asse longitudinale dell'Ara, riuscendosi a coprire una sezione dello zoccolo e della soglia della porta prospiciente verso la via Flaminia (Corso) e una sezione del rialzo piramidale su cui era collocato l'altare. Oggi la topografia e molti frammenti nuovi ed ifnportanti del grandioso monumento sono in luce. La fotografia che ne diamo ne è la conferma."

Fonte: L'Illustrazione Italiana. 1 Novembre 1903.

11/1903

Relazione di Angiolo Pasqui intorno al luogo dell'Ara Pacis:

Nel descrivere le scoperte, avvenute dalla fine di luglio alla metà di dicembre di quest'anno, mi limiterò alla semplice narrazione dei fatti, senza cioè entrare nei particolari o dei singoli elementi, che rivestivano e davano forma al sontuoso edificio, o della distribuzione architettonica e figurativa di questi elementi rispetto a tutto quello che abbiamo trovato stabilmente fisso al suolo e che fu riconosciuto per la vera pianta e per l'ambito del monumento ricercato.

Nondimeno, come saggio delle varie parti disgregate e trovate in rovina tutt'attorno alla pianta, gioverà dare qualche riproduzione, specialmente di quelle che per mole e per venustà interessano fino da questo momento gli studiosi. Sarebbe cosa affatto prematura, anzi impossibile, a motivo della data recente delle scoperte e del poco spazio esplorato, la ricongiunzione dei piccoli frammenti ai grandi blocchi, in una parola la ricostituzione di quella parte dell'edificio esplorato, designandone i punti di contatto, i segni dei posamenti e delle impernature. Indi è che offrendo una prima pianta della zona scoperta, ho procurato che in essa non figurassero i dettagli, pei quali si richiede un lungo lavoro, ma vi si mostrasse semplicemente il perimetro dell'edificio.

Un lavoro più completo dovrà essere svolto in seguito ad altro ordine di osservazioni e di studi; ciò che desidero fare con altre relazioni, nelle quali indicherò il punto preciso del ritrovamento dei pezzi principali, e anche dei pezzi minori che più interessano lo studio artistico, ultimamente scoperti, segnando, come già si è fatto con una serie di rilievi esatti, la loro posizione rispetto alla pianta dell'edificio; dimostrerò i varî punti delle scoperte avvenute nel secolo XVI e delle più recenti del 1859, e mi occuperò delle questioni artistiche e archeologiche, descrivendo, misurando e riproducendo in tutte le parti gli elementi della ricostruzione. A questo ultimo studio naturalmente porterà il sommo contributo tutto quanto ancora cerchiamo e abbiamo speranza di trovare nel proseguimento delle indagini.

La proposta di scavi sistematici coll'intento di trovare il sito e le rovine dell'Ara Pacis fu da me e dal ch. prof. Petersen presentata al Ministero della Pubblica Istruzione il 27 febbraio di quest'anno. Senza frapporre indugio, la Direzione Generale delle Antichità incoraggiò l'impresa, appianò le prime difficoltà e segnò la via da seguirsi. Occorreva che privati e Municipio facilitassero con concessioni proprie le ricerche; e per vero dire non piccolo sacrifizio richiedevasi da loro, ma la nobiltà del proposito, l'aspettazione del pubblico furono validi coefficienti alla buona riuscita delle trattative.

Le indagini dovevano aggirarsi nell'area del Palazzo Ottoboni-Fiano nella via in Lucina. Il sig. ing. M. E. Cannizzaro prese l'incarico di trattare coll'attuale proprietario del palazzo suddetto, sig. ing. Edoardo Almagià, il quale più che alle istanze cedette a un proprio sentimento magnanimo verso tutto quello che è gloria dell'arte e della scienza; diè facoltà di lavorare liberamente nei suoi fondi e volle incoraggiare gli studi intorno al prezioso monumento, non solo rinunciando a ogni diritto sulle scoperte, ma mettendo ancora a disposizione del Ministero una somma cospicua. D'altra parte il Municipio, officiato dal Ministero, permetteva l'esplorazione nella via pubblica, e cedeva i frammenti dell'Ara Pacis che sarebbero stati trovati nel suolo pubblico.

Alla metà di luglio il Ministero avendo tutto predisposto affidava a me la direzione ufficiale delle esplorazioni, col valido concorso del ch. prof. Petersen e colla direzione tecnica del sig. ing. Cannizzaro, a maggiore garanzia delle gravi difficoltà che potevano presentarsi scavando attorno a fondamenti di vecchi fabbricati e in uno strato basso e acquitrinoso.

Il 27 luglio s'incominciarono le ricerche attorno al luogo, ove avevasi ragione di sperare che si nascondessero gli avanzi del monumento. Indicazioni sicure della sua precisa ubicazione non si avevano, e quasi del tutto ignoravasi dove erano avvenute le scoperte più recenti, cioè quelle del 1859, le quali resultarono pei lavori di sottofondazione fatti fare dal Duca di Fiano attorno al vecchio palazzo Ottoboni. Ma indizî più certi, già esaminati e definiti in un programma prestabilito, venivano offerti da alcuni dati topografici che presentava il palazzo stesso.

Richiamava la nostra attenzione l'angolo rientrante del palazzo Ottoboni nel largo di via in Lucina, che non avrebbe avuto ragione di esistere senza che fosse imposto da un ostacolo, da un limite qualunque, quale poteva essere il confine di una proprietà di pubblico diritto, cioè di una proprietà appartenente al fisco. Era facile reintegrare i limiti di questa proprietà e del pari facile reintegrarne la forma, inquantochè, eliminando il fabbricato moderno del sig. Scarlata, che fa angolo saliente opposto a quello del palazzo Ottoboni, si avrebbe una piazzetta quasi quadrata in prossimità della via Flaminia.

I fatti hanno poi confermato che, salvo un piccolo spostamento dovuto o al soprapporsi dei fabbricati o alla dimenticanza dei limiti della proprietà pubblica, l'angolo del palazzo Ottoboni coincide con un angolo del recinto dell'Ara, e di più la parete che prospetta la via in Lucina si può dire che abbia la medesima lunghezza del lato corrispondente dell' Ara.

Ma prima di venire alla esplorazione diretta su questo punto designato, e prima che giungesse l'approvazione del Municipio e degli uffici dipendenti per l'occupazione del suolo pubblico, furono fatti molti saggi d'attorno a detto luogo allo scopo di avvicinarsi per ogni parte alle rovine dell'Ara. Furono quindi incominciati questi saggi nel cortile del palazzo, nelle cantine che si trovano lungo il Corso e via in Lucina e in altre cantine interne più prossime all'abside della chiesa di s. Lorenzo.

Questi saggi si fecero velocemente, passando sopra a ogni altro indizio di fabbricato e di monumento che non avesse relazione coll' Ara. Accennerò ad alcune scoperte, riserbandomi di riferirne a suo tempo più minutamente e con un corredo di rilievi grafici. Nel cortile fu aperta una fossa quadrata larga due metri, la quale raggiunse la profondità di m. 6. Il taglio cadde in un punto che non era stato molestato da scavi moderni. A poco più di un metro di profondità si trovarono due scheletri umani, disposti nella linea della lunghezza della chiesa, coi piedi verso l'abside.

Non avevano intorno alcun oggetto, ma dalla natura del terrapieno ove erano stati deposti, poteva dedursi senza errore che appartenevano al più recente cimitero della chiesa. Infatti, approfondito lo scavo, sotto questi morti, s'incontrò a circa tre metri uno strato con demolizioni d'opere cosmatesche, tra cui tondi e lastre poligonali di serpentino e di porfido per ornamenti parietali, un capitello di piccola colonna, a foglie d'acanto, avanzi di cornici in rosso antico, in palombino ecc. A questi avanzi succedettero altri, facilmente riconoscibili come appartenenti ad edificio sacro, forse alla chiesa stessa di s. Lorenzo, di architettura romanica, di cui molti altri residui si osservano nel cortile del palazzo.

A circa quattro metri di profondità avemmo le prove della stratificazione dell'età barbarica: vi si raccolsero frammenti di un cofanetto di osso a fasce e meandri circolari dentellati nei bordi ed a figure di animali e anche umane, ora appena visibili. A quattro metri s'incontrò il velo d'acqua e fino alla profondità di metri sei da noi raggiunta, il terrapieno era cosparso di detriti di fabbriche e di utensili rispondenti a vari periodi dell'impero. In fondo fu scoperto un tratto breve di muro a mattoni, taluni dei quali ritagliati a triangolo, ben commessi a calce e rivestiti da una parte con opus signinum. Sembra che il grosso intonaco fosse ad intervalli rafforzato e tenuto fermo da sbarre di rame, di cui una si trovò infissa nel muro stesso.

Anche in altri punti della zona esplorata si rinvennero muri di laterizî intonacati di smalto per uso idraulico; erano fondati nello strato più basso della enorme colmata di Campo Marzio in corrispondenza cioè delle opere augustee, e sembra che dovessero costituire i recinti degli edifizî per raccogliere le acque attorno ai medesimi. Mentre si scavava nel cortile, si eseguivano altri saggi nelle cantine interposte tra l'angolo esterno del palazzo Ottoboni e l'abside della chiesa. In uno strato superiore al piano augusteo di circa metri due e mezzo, s'incontrò il pavimento e il recinto di una stanza non molto grande con un lato aperto verso sud e interrotto da un pilastrino di marmo, il quale indicava un intercolunnio di un atrio.

Si potè constatare che il fabbricato estendevasi verso la chiesa. Il pavimento rozzissimo, a grandi tesselli di marmo colorato, era spartito con sei circoli a treccia continua, i quali racchiudevano alcuni meandri a nodo gordiano. Sul pavimento nessun oggetto, eccezione fatta di un grosso frammento di labrum di porfido evidentemente trasportatovi da altra parte di questa casa.

Fatti alcuni saggi da un lato del pavimento, dove mancava il mosaico, si rilevò sotto lo strato d'acqua un altro avanzo di muro a mattoni che elevavasi cen rientro sopra un recinto pure di mattoni, ben costruito e rivestito d'intonaco fatto con calce e pesto di laterizi. Queste due diverse costruzioni più antiche non avevano nessuna relazione con quelle più recenti della casa.

Nel tempo stesso in cui si progrediva coi saggi attorno a questo avanzo di casa, si lavorava nei sotterranei di via in Lucina e da per tutto incontravansi residui di fabbricati. Ci limitammo a seguire, facendo dei semplici solchi in varie direzioni, gli avanzi delle opere che emergevano sopra allo strato d'acqua, sondando, ove era possibile, coi pali di ferro il terreno, e in taluni punti allargando e approfondendo lo scavo.

Trovammo dovunque indizi di fabbricati, alcuni dei quali di età tardissima, corrispondevano ai ruderi che di tanto in tanto si mostrano nelle cantine del palazzo, e che in grandissima parte ne costituiscono, come tanti appoggi, i punti più solidi della fondazione. Lungo queste cantine, che da una parte giungono fino a metà del primo tratto di via in Lucina, non apparve neppure il più piccolo frammento marmoreo dell'Ara Pacis.

Negli strati superiori verso il luogo poi riconosciuto dell' Ara, e verso il lato opposto e ben lontano rispondente alla piazza in Lucina, si osservarono avanzi di pavimentazione a grandi lastre di travertino, che io ritengo opera medioevale, per la ragione che allo stesso livello in due punti della cantina stessa, e a contatto di quel rozzo pavimento furono scoperti i muri di piccole stanze intonacati, costruiti con frammenti di pietre e di marmi di tutti i tempi.

Altro luogo adatto e disponibile per uno scavo sistematico era quello interposto tra l'abside della chiesa e l'angolo rientrante del palazzo Ottoboni. Quivi furono rivolto le nostre ricerche e furono quasi per intero scavate due piccole cantine, le più prossime alla chiesa.

Il 1° agosto, a poca distanza dall'inizio degli scavi, addossato alla parete di fondo della cantina più interna, si scoprì un blocco di marmo deturpato a colpi di mazza, tirato quasi a superfice della cantina. Si riconobbe subito per un frammento appartenente ai rilievi figurati dell'Ara, poichè nella parte che si mostrava libera era visibile la patera e qualche foglia del ricco festone.

Dopo che fu isolato apparve nella faccia opposta l'avanzo della rappresentanza del lupercal con parte della figura di un pastore, la cui rustica veste era annodata al petto, appoggiato a lungo pedo e inclinato verso sinistra, verso cioè un vecchio tronco d'albero, il ficus ruminalis, vittato in basso, in uno dei cui rami sfrondato rimangono posati i soli artigli dell'aquila (fig. 1).

Male non ci apponemmo rilevando dalla posizione del blocco che questo doveva essere spostato dal luogo della rovina dell'Ara, e forse in un tempo non molto antico, inquantochè ne emerse subito la ragione. Allargato lo scavo attorno al medesimo si scoprirono due rozzi muri di una stanza, e, nello sterro, numerosi rifiuti della lavorazione di marmi.

Tra questi alcuni avanzi di conche in terracotta, debolmente smaltate a vernice cenerognola, che potevano riferirsi al secolo XIII o XIV. Quivi aveva stabilita la sua bottega un modesto scalpellino, e l'avanzo dei marmi consisteva nel detto blocco dell'Ara, in un grande stipite o scalino, e in pezzi grandi e piccoli, taluni scorniciati e appartenenti a edificî romani di vario tempo, predominanti quelli di età tarda, inoltre in una rozza testa, grande al naturale, di forme virili, appena abbozzata, lavoro inqualificabile se del basso medioevo, ovvero del tempo del detto marmorario; la cui scoperta nelle vicinanze dell'Ara fece la stessa penosa impressione della scoperta di una fornace di calce in prossimità di un importante monumento.

Ma ben presto potemmo costatare che al tempo del marmorario l'Ara era tutta coperta e ben protetta dallo strato d'acque in modo che può supporsi che il pezzo surricordato cogli avanzi delle figure fosse stato tolto da uno strato superiore dove trovavasi accavallato sulle rovine, come d'altronde sarà avvenuto di molti pezzi dell'Ara, ritrovati nel secolo XVI.

Approfondendo lo scavo entro la cantina anzidetta, si scoprirono due antichi muri quasi paralleli, che costituivano una specie di intercapedine: trovavansi già sotto lo strato dell'acqua e correvano nella direzione dell'abside. Tra questi due muri si rilevò uno scarico esclusivamente formato con detriti di laterizî e di vasellame romano, dalle anfore vinarie, dai vasi aretini alle lagene ed ai rozzi boccaletti dell’età barbarica, il tutto tramezzato da avanzi di terra bruciata e di carboni. In mezzo a questo tritume era stata gettata una scheggia di marmo con una testa di uomo giovane in profilo, a destra, coronata di alloro, evidentemente spettante ai rilievi dell'Ara, coi quali corrisponde e per le dimensioni e per l’arte (fig. 2).

Il ritrovamento dei due pezzi descritti c'indusse a vuotare del tutto la cantinetta limitrofa, che, trovasi più verso l'angolo del palazzo Ottoboni. Qui mentre seguitava la linea dello scarico di vasellame notato fra i due muri dell’altra cantina, perdevasi ogni traccia dei frammenti di marmo o come deposito della bottega del marmorario come rifiuto della lavorazione.

Spiegammo poi come la rovina dell'Ara, che pure doveva trovarsi a breve distanza da quel cavo, non poteva giungere fin là, e semplicemente perchè s'intrometteva tra l'Ara e questo cavo un alto muro a mattoni, che dovette formare ostacolo all'estendersi della rovina in quel punto. Finalmente il 17 d'agosto, ottenuta la concessione dal Comune, e ottemperato a tutte le formalità, si pose mano alle indagini sul piccolo largo di via in Lucina, formato dall'angolo rientrante del palazzo Ottoboni.

I primi saggi ebbero per scopo di seguire la linea della sottofondazione fatta nel 1859 dall'architetto Erzoch, il quale, pure non indicando il punto preciso dove le dette sottofondazioni erano state eseguite, narrava con lettera del 6 giugno 1859, diretta al duca di Fiano, che aveva estratti alcuni pezzi di marmo con bellissimi ornati e che sotto alle opere murarie aveva lasciati altri grandi frammenti con uguali rilievi.

Da prima fu aperto un cavo accanto all'ingresso del palazzo, cioè tra questo e la porta del negozio Garassino. Si constatò subito presenza di una sottofondazione di data recente e fu abbastanza per confermare il supposto da noi fatto, che cioè tutto l'angolo era stato girato da opere di consolidamento dal prefato architetto Erzoch.

Nell'ambito quindi di quest'angolo si dovevano ritrovare i pezzi veduti e lasciati dal medesimo nel 1859. Si dovette sospendere subito il cavo iniziato a causa di provvedimento d'indole tecnica, e con animo risoluto si segnò una grande trincea da aprirsi fino in fondo, senza interruzione. La medesima doveva correre dalla parete, che si presenta in fondo a questo primo tratto della via in Lucina, verso il Corso Umberto I, a due metri di distanza dalla parete laterale, ove apresi la porta del palazzo: La trincea resultava lunga m. 11, larga sulla strada m. 2,25.

Appena approfondita di poco più di un metro e mezzo, riapparve lungo la parete di prospetto la sottofondazione di lirzoch come avevamo preveduto. Fino a questa profondità, e anche più avanti, le terre di riempimento non presentavano nulla di interessante. Si trovavano di quando in quando pezzi di marmo sagomati con cornici, che avevano appartenuto a edifici d'epoca tarda, mescolati poi con sterro che accennava a un riempimento del basso medioevo. In un angolo, più verso il Corso, vennero fuori tre pezzi di un sarcofago, sui quali restano gli avanzi di due figure e di una colonna a strie spiraliformi, lavoro molto trascurato del secolo III o IV d. Cr., e nient'altro che meriti speciale menzione.

A m. 3,60 di profondità s'incominciò ad incontrare lo strato d'acqua. Gli assaggi col palo di ferro accennarono subito sotto questo strato la presenza, a diverse altezze, di ostacoli solidi e grandi, che non fu difficile determinare per marmi e per tufi. Questi si costatarono specialmente nella parte più vicina alla sottofondazione indicata, cioè a capo del cavo, e si manifestavano come congiunti, a una profondità uniforme e costituente una specie di spianata, la quale più verso la metà del cavo veniva improvvisamente a mancare e segnava così un limite diretto.

Oltre questo limite il fondo del cavo appariva frastagliato come se fosse costituito da un cumulo di marmi. Infatti abbassato con grandi precauzioni il livello dell'acqua e proceduto allo sterro fu ridotta allo scoperto una parte di una platea costruita con grandi parallelepipedi di tufo, ben connessi, senza aiuto di calce, ma tenuti insieme originariamente da grosse anse di legno che incastravano in appositi vuoti a coda di rondine.

Questo primo strato scoperto non solo posava sopra altri strati ma ancora accennava col proprio limite ad un rialzo circondato da riseghe per appoggio di gradini, come viene indicato nell'unica tavola, che rappresenta la pianta di queste scoperte (lett. b).

Era evidente che questa platea doveva avere lo scopo di sopportare una specie di zoccolo, pure di tufo, formato da blocchi alti m. 0,60, dei quali uno si trovò in situ, posato normalmente ai filari della platea e segnato in giro con un grosso listello, il quale accennava ad altro ordine di riseghe e quindi di appoggi di un rivestimento marmoreo (tav. lett. a). La figura 3 riproduce l'aspetto di questo rialzo di tufo a gradini, in taluni punti regolarizzato da gettata di opus signinum.

Il 9 settembre, cioè dopo venti giorni di lavoro continuo nel detto cavo, lavoro che richiese potenti mezzi di sbarramento a motivo della profondità raggiunta, pescando nel fondo acquitrinoso, proprio sulla fronte del rialzo accennato e dove pei saggi del palo di ferro sembrava assicurata l'esistenza di frammenti di marmo, si estrasse da prima un pezzetto di cornice con gola a baccellature incavate e con toro a meandro circolare continuo, appartenente a basamento, ma che però non trovava riscontro tra gli elementi architettonici già noti dell'Ara, e poi un grosso frammento con girale fasciato di fogliame e con tralcio d'ilex, il quale evidentemente apparteneva al grande fregio inferiore del recinto. Questa scoperta assicurava il ritrovamente di altri pezzi e il riconoscimento dell'Ara intorno a quel luogo. A ricordo dell'auspicio che ne traemmo, riproduciamo qui il prezioso frammento (fig. 4).

Con maggiore vigoria, e guidati da un indirizzo più sicuro, continuammo le ricerche, approfondendo il cavo nella parte libera e abbassando il livello dell’acqua a mano a mano che. si scendeva. Già per tutto il fondo del cavo apparivano i frammenti grandi e piccoli dell'Ara accumulati in rovina e in tale strato che non sorpassavano di altezza il piano del rialzo di tufo descritto. Veniva così ad essere determinato lo strato archeologico intorno alle rovine dell'Ara; per la qual cosa fin da quel momento si pensò di risparmiare la remozione dell'enorme cumulo di terra sovrastante alla detta rovina, e di esplorare quindi per mezzo di piccole gallerie tutta l'estensione. del monumento.

Molti pezzi grandi, ornati di cornici e di fogliami si mostravano nei fianchi del cavo e vi si approfondivano; altri si estrassero insieme ai piccoli frammenti nel mezzo del cavo stesso, appartenenti tutti all'ordine inferiore ed anche ai pilastrini colla candeliera o agli ornati, eccezione fatta di un piccolo frammento, dove rimane la fronte coronata di una figura virile appartenente al fregio superiore. Uno dei primi pezzi estratti rappresentava la parte centrale di un fregio con nascimento a foglie d'accanto da cui escono i girali (fig. 5). Questo pezzo, che si collega con altri trovati poi, va a riunirsi e completarsi col grande ornato delle RR. Gallerie degli Uffizi e compone così una breve parete tra la porta e un angolo.

Altri elementi preziosissimi occupavano il fondo del cavo, o di poco sporgerano dal suoi fianchi. Volgendosi verso il rialzo, nel mezzo del cavo, apparivano tre frammenti di stipite, riconoscibili per la modanatura della mostra con tre pianetti e con gola rovescia; sulla dritta un grosso pezzo della parte inferiore dello stipite destro della porta troncato alla cornice con candeliera benissimo conservata (fig. 6); e sulla sinistra altro grande frammento di ornato unito al pilastrino d'angolo, nel quale per la prima volta ricorre nascimento della candeliera (fig. 7).

Questo frammento, che doveva appartenere all'angolo sinistro della fronte del recinto, come ancora si rileva dai piani di congiunzione della parte posteriore, ha sullo spigolo una traccia di restauro della sottile cornice, il cui tassello venne fissato con una serie di pernetti metallici. Venivano così a moltiplicarsi giornalmente le prove che su quel luogo doveva trovarsi l'edificio ricercato. Eravamo giunti ad una profondità considerevole, a circa m. 5 dal livello stradale, raggiungendo la quota m. 11 sul livello del mare.

Gli assaggi collo spillo d'acciaio e col palo da mine avvertivano su molti punti del fondo del cavo un piano marmoreo uniforme, ne delineavano il limite alla distanza di circa m. 3,30 dal piede del rialzo di tufo descritto. Questo limite correva trasversalmente alla nostra trincea, cioè era normale e parallelo al Corso per quanto fu possibile stabilire in quel breve tratto segnalato. Oltre questo limite, cioè più verso il Corso, detti assaggi costatavano, con poca differenza dal piano descritto, un altro piano, ma di travertino, il quale sembrava che si collegasse ad alcuni scalini pure di travertino (tav., lett. i, l) già apparsi in fondo al cavo insieme con uno spigolo di muratura a mattoni (fig. 8, cfr. tav., lett. m).

Per qualche giorno rimanemmo col desiderio vivissimo di approfondire e di scoprire, presentendo che le costruzioni indicate avessero una qualche relazione colla pianta dell'Ara Pacis, ma il desiderio veniva frenato dalla necessità d’impedire l’invasione dell'acqua, di guidare una sorgiva piuttosto abbondante, di assicurare le pareti del cavo sotto la sbarratura di legname per tutta quell’altezza appunto che «costituiva lo strato archeologico.

Verso la metà di settembre si riprese a spurgare il cavo e si mise allo scoperto tutto il fondo. Ne risultò che i marmi e i travertini già avvertiti costituivano una parte dell’edificio desiderato, in modo che fin da quel momento potè determinarsi una parte della pianta e la sezione (tav., lett. c). Al piede del rialzo centrale, sulla destra, apparve un pezzo di gradino di marmo (tav., lett. n), il quale posava quasi in situ presso una traccia ovvero piccolo battente segnato sopra il pavimento di marmo. Questo, costruito con grandi lastroni, era largo m. 1,11, e si limitava dalla parte opposta al gradino a un posamento o zoccolo rialzato tanto all'esterno che all'intorno (tav. lett. d).

Esternamente però questo zoccolo si approfondiva di più, ed era a contatto col piano di travertino (lett. i) piuttosto rustico e male connesso. Al piano di travertino si collegava, come abbiamo detto una scala di otto gradini pure di travertino, la quale era compresa tra due muri a mattoni, che formavano gli sguanci della scaletta, e giravano poi tutto attorno allo zoccolo di marmo ricordato. Nel vuoto della scala, sopra al terrapieno e ad una altezza notevole dal piano di travertino, fu trovata una copertina dell'angolo di un muro, pulvinata sopra, larga alla base m. 0,90. Doveva essere la copertura di un angolo del detto muro a mattoni, come in altro punto di questo scavo troveremo confermato.

L'ultimo gradino della scala dista dallo zoccolo di marmo m. 2,37. Sopra questo zoccolo e a destra, volgendosi verso la scala, è indicata con rozzi segni la posa di uno stipite colle sue membrature contornate dalla tinta giallastra che ha preso il marmo nei punti che rimasero per lungo tempo allo scoperto (tav., lett. e, f). Quasi a contatto del segno dello stipite vedesi scavato un rozzo canaletto, lavoro certamente posteriore alla buona costruzione dell'edificio, e che aveva scopo di condurre le acque dal pavimento interno alla platea esterna di travertino.

Il segno della posa dello stipite corrispondeva perfettamente ai frammenti del medesimo tolti da quella vicinanza e dispersi nel cavo. Eravamo quindi caduti collo scavo proprio nell'asse longitudinale del monumento, poichè ogni rimanente dello zoccolo scoperto rappresentava la soglia di una porta; e ne forniva una prova indiscutibile la grande dimensione dei blocchi di cui formavasi detta soglia e la mancanza per tutto quello spazio delle aggrappature di metallo, e, sopra ogni altra cosa, la presenza di una tabula lusoria incisa per tutta la larghezza dello zoccolo presso il canaletto.

Questo giuoco consiste in tre file di dodici cerchietti ciascuna, disposti sei sopra e sei sotto tre grandi cerchi, in due dei quali laterali, sono incisi due phalli e in quello del mezzo due lineette ad angolo. Con questo ritrovamento fortunato veniva a determinarsi la linea da seguire nella esplorazione, ma in pari tempo aumentavano le difficoltà tecniche, poichè si aveva ragione di supporre che il recinto dell' Ara penetrasse tanto in lunghezza quanto in larghezza sotto i muri del palazzo Ottoboni.

Succedettero giorni di lavoro indefesso e faticosissimo: si aprirono sui fianchi del cavo principale due gallerie coll'intento di seguire la linea di base e le riseghe del rialzo a strati di tufo, si armarono provvisoriamente queste gallerie e si difesero con gettate e con iniezioni di cemento, fino a che dovettero essere protette da regolare muratura. Ad ogni passo trovaronsi rovesciati gli avanzi marmorei del recinto, e così incastrati fra di loro e in tanta quantità che il loro volume superava quello della terra estratta da queste gallerie.

In quella aperta sulla sinistra del cavo, fu notevole soprattutto la scoperta di un rilievo su lastrone di marmo, con parte superiore di un personaggio velato, accompagnato da altra figura e da quattro littori (fig. 9) e altro frammento pure di lastrone con parte inferiore di figura vestita di corto mantello che scende fin sopra il ginocchio. Il fondo di questa galleria rimase chiuso da un grande blocco appartenente all'ordine inferiore del recinto, conservato per tutta la sua altezza, caduto di traverso in modo che era visibile la sua faccia interna spartita a bugne.

La base del rialzo di tufo resultò larga circa m. 7. In fondo allo stretto cunicolo sul fianco destro del cavo, cioè in direzione del lato sud del palazzo, apparvero tra un cumulo di grandissimi frammenti i pali di castagno della fondazione del fabbricato moderno internati tra gli squarti delle rovine marmoree ovvero arrestati e spuntati su queste.

Prima di procedere oltre, si aprì sullo stesso fianco un'altra galleria parallela a quella ricordata collo scopo di seguire il piano dello zoccolo e parte del pavimento interno dell'Ara. La terra, e con essa i frammenti che rimanevano interposti tra l'una e l’altra galleria, sarebbero stati poi rimossi e sostituiti dalla muratura necessaria pel sostegno delle volte e, in conseguenza, del grave terrapieno sovrastante.

Appena inoltrati in questa nuova opera, un poco fuori dello zoccolo e gettato verso la platea di travertino, si scoprì un importante frammento, in due pezzi, con parte dei fianchi di figura femminile ammantata e seduta verso sinistra (fig. 10). L'atteggiamento della medesima si distacca dalle pose espresse nei rilievi del fregio superiore dell'Ara ed ha il solo raffronto nella figura seduta della Tellus del rilievo fiorentino.

La galleria s'inoltrava sempre seguendo l’andamento dello zoccolo, e, come era prevedibile, mise allo scoperto la posa dello stipite opposto all’altro già ‘indicato (tav., lett. f.). La porta resultò larga m. 3.60. Sulla soglia presso lo stipite ritornarono due tabulae lusoriae l'una sovrapposta all'altra e di tempi molto differenti. Accanto ai segni graffiti di questo stipite si presentarono, sopra il basamento di marmo, grandissimi frammenti della parte inferiore del recinto, due dei quali, l'uno appresso all'altro, si spingevano sotto la fondazione del palazzo.

Questi pezzi appartenevano alla breve parete a destra della porta e si completavano cogli altri, che erano stati lasciati in fondo alla galleria precedente. Veniva quindi a confermarsi l'opinione nostra, poco sopra enunciata, che cioè gli avanzi del recinto e quindi la rovina del monumento si dovevano estendere ancora oltre i muri del palazzo Ottoboni.

A tale scopo e nella certezza di trovare il limite del recinto, cioè l'angolo a destra della fronte che prospettava la via Flaminia, fu aperto un cavo stretto, nell'interno del palazzo, nel punto corrispondente alle due ultime gallerie. Anche qui si presentarono serie difficoltà, inquantochè trovammo la fondazione molto avariata e | posata sopra pali di castagno, che si erano consumati e ridotti friabilissimi.

Occorsero opere di sottofondazione e precauzioni grandissime prima di potere attraversare i muri e mettere in comunicazione il nuovo cavo colle gallerie già fatte e provenienti dalla strada. Come avevamo previsto fu trovato in fondo a questo muovo cavo l'angolo del recinto, e fu quindi scoperta una parte dello zoccolo che formava il lato destro. A poca distanza da quest’ angolo, sullo stesso lato destro dello zoccolo, si trovò tagliata una fossetta con fori da un capo e dall'altro, avente scopo di condurre via le acque dall'interno all'esterno del monumento.

Presso quest'angolo e sopra lo zoccolo si trovarono rovesciati molti frammenti del recinto decorati di fogliami. Notevole fra tutti il frammento deturpato dal fuoco e dai colpi di mazza con avanzi di un trofeo formato da uno scudo ellittico appeso e su cui'appoggia una lancia, e l'altro scoperto propriamente presso l'angolo dello zoccolo con avanzo di una figura acefala di bambino togato con bulla appesa al collo per mezzo di una tenia, con mano sinistra al petto e con anello nell'anulare. Dietro a lui rimangono gli avanzi del manto di una donna (fig. 11).

Il piccolo cavo fatto nell'interno incontrò i medesimi frammenti riconosciuti in fondo alle due gallerie che provenivano dal cavo principale della. strada. Si poterono isolare i due pezzi grandi che erano caduti sullo zoccolo stesso, e non senza difficoltà e fatica si liberarono e si estrassero. Si aggiungevano a quest’ornamento altri due pezzi con gran parte del nascimento a gruppi di foglie d'acanto e con stelo. centrale e complemento dei girali a fogliami e dei rosoni, in modo che tutti e quattro i pezzi riuniti formavano più che mezza parete compresa tra la candeliera dello stipite e il pilastrino d'angolo (fig. 12).

Mentre si procedeva a togliere tutto lo strato di terra, e con esso i frammenti grandi e piccoli, che occupavano gli spazi interposti tra le gallerie, e mentre si veniva a sostituire questo strato colle necessarie murature e colle difese delle volte, si procedeva a nuove ricerche nell'interno del palazzo, nel punto rispondente alla parte posteriore del recinto. Per fare questa nuova indagine fu prescelta la cantina situata nell'angolo saliente del fabbricato, e oggi occupata come magazzino dal sig. Rode. Anche qui, giunti alla profondità della falda acquosa, si dovette provvedere al prosciugamento.

Durante il lavoro di sterro, in un cavo aperto trasversalmente, e dove con molta probabilità si supponeva ricorresse il lato posteriore del recinto, furono scoperti sotto la fondazione del palazzo un frammento grande con greca e due frammenti pure di grandi dimensioni appartenenti allo stipite di una porta. Questi ultimi pezzi non potevano essere stati trasportati dalla parte opposta dell'edificio, ma dovevano trovarsi in corrispondenza di una seconda porta. Infatti approfondito lo scavo fu discoperto un tratto dello zoccolo su cui erano segnate in rilievo le sagome dello stipite (tav. lett. g).

Avevamo quindi una porta sulla fronte corrispondente alla via Flaminia, cioè sul lato est del monumento, e altra porta di uguale misura sul lato opposto. Inoltre non fu difficile seguire il piano dello zoccolo e scoprire l'angolo che trovavasi sulla destra di chi si presentava a detta porta. Tra l'angolo e i segni della posa dello stipite era incavato un canaletto per l'uscita delle acque, simile a quello scoperto in un fianco. Lo scavo in questa parte fu limitato, e mancò anche il tempo per estenderlo nella cantina limitrofa. Nondimeno fu messa a nudo quasi la metà dello zoccolo con parte dell'ingresso, a cui corrispondeva per tutta la larghezza una gradinata con cinque larghi e bassi lastroni di marmo, limitati da spalletta smussata (tav. lett. h).

Attorno a questa gradinata, in tempo più recente, fu sovrapposto all'antica platea uno strato di blocchi di travertino (tav. lett. i) uguali a quelli notati sulla fronte opposta. Inoltre furono circondati i gradini, lasciando soltanto una stretta apertura sul dinanzi, e il recinto marmoreo, addossandovi alla distanza forse di cm. 55 un muro di mattoni simile a quello che fiancheggia la scala di travertino corrispondente alla fronte (v. fig. 8). Questo muro, in alcuni punti (tav. lett. m) conservato in tutta la sua altezza di m. 1,88, era coperto in gran parte da grossi travertini pulvinati.

Lo scavo in questo punto è stato tanto interessante da offrire la vera forma del recinto: ha quindi stabilito, che su questo lato opposto alla fronte est eravi una porta d'accesso; che la pianta del recinto e conseguentemente quella del rialzo interno aveva forma quadrilatera, larga sulla fronte m. 11,625, lunga sul fianco m. 10,655; che le monete di Domiziano rappresentano l'Ara Pacis veduta da questo lato, e che questo lato poi tanto per la sua posizione rispetto alla via Flaminia, quanto per la presenza del canaletto che serviva all'uscita delle acque e che non si riscontra nella fronte opposta, ma solo nei fianchi, quanto per il recinto a mattoni che in età posteriore lo chiuse così dappresso, non poteva esser considerato come la faccia principale del sacro edificio.

Occorre notare che per tutto il cavo fatto nell'interno di questa cantina non fu raccolto alcun frammento importante, ma evidentemente il terrapieno era stato rimosso in tempi moderni collo scopo di sottofondare a mattoni tutto l'angolo interno del palazzo, lavoro che deve essere stato eseguito senza dubbio dal precitato architetto Erzoch nel 1859, per cui debbono essere venuti in luce in quel punto alcuni dei frammenti conservati oggi nel Museo delle Terme.

Cogli ultimi scavi era stata messa allo scoperto gran parte della pianta; avevasi più che metà della fronte rispondente alla via Flaminia una piccola parte del fianco nord e l'angolo della fronte posteriore fino alla metà della porta. Restava tuttavia a completare la fronte e il fianco sud del monumento fino fino all'incontro dell'angolo estremo del palazzo.

Fu aperta nel lato sinistro del cavo una galleria in corrispondenza dello zoccolo, e appena di poco approfondita, avvenne la scoperta in situ di un frammento della base sagomata appartenente alla candeliera laterale della porta. Presso questa preziosa testimonianza trovammo un frammento di lastrone, appartenente a cornice finale, smussato sopra e ornato di leggere modanature, cioè di gocciolatoio, di gola strigilata e di ovoletti intagliati con grande perfezione (fig. 13).

Di tale cornice, che per ora non possiamo con sicurezza riferire all' Ara, si ebbero in varî punti dello scavo altri avanzi. Le scoperte di preziosi frammenti si succedettero per tutto il percorso della galleria fino all'angolo dello zoccolo. In questo tratto si trovò rovesciato un grande pezzo di lastrone con girali, che racchiudono un gruppo di foglie di edera; altro grande frammento, nei cui motivi ornamentali trovano luogo i pampini ed un grappolo di uva; un frammento piccolo con parte della foglia laterale del solito nascimento a foglie d'acanto, e inoltre un grande numero di pezzi piccoli, i quali appartengono tutti all'ordine inferiore del recinto.

Forse il più interessante dei frammenti trovati presso l'angolo suddetto è quello rappresentante una voluta, lavorata tutta intorno e posata sopra una gola rovescia, la quale certamente sta ad indicare un pilastrino (fig. 14). Un particolare degno di esser notato in questo pezzo è la totale mancanza della foglia o di altro ornamento nella parte più saliente della voluta, il che spiega che questa parte non era in vista; inoltre è degno di nota l'avanzo di un corpo prominente nella parte anteriore dove si distende una grande foglia non internamente finita, e su cui sono visibili due attaccature forse delle ali spiegate di un'aquila. È molto probabile che questo ornamento costituisse un acroterio d'angolo, quale schematicamente apparisce nelle monete colla rappresentanza dell'Ara Pacis.

Voltato l'angolo, trovammo il grande blocco, il quale ostruiva, come abbiamo detto a suo luogo, la prima galleria mostrandosi dalla parte del bugnato. Fu quindi possibile l'isolamento e l'estrazione, e allora rilevammo che anche nella parte più nobile e corrispondente all'esterno del recinto questo blocco era conservato in tutta la sua altezza, e per tutta la sua superficie risaltavano i bellissimi ornati di girali, di fogliami, di vilucchi e di mazzi d’edera.

In un fianco, che era tagliato con piano di posa, vedevasi segnata con graffito la linea del lastrone che vi aderiva; e per questo fatto veniva a chiarirsi che non solo nell'ordine superiore i lastroni accoppiati si alternavano con blocchi e formavano così tutta la larghezza’ del recinto, ma ancora nell'ordine inferiore ripetevasi la medesima struttura. Dietro a questo grande frammento ne furono tolti altri due, i quali con esso combinavano in modo che riuniti venivano a formare un blocco largo m. 1,57 (fig. 15).

Nell’isolare questi blocchi grandi osservai un fatto che merita speciale considerazione. Tra le fessure dei medesimi pezzi, i quali posavano sopra allo zoccolo del recinto, raccolsi i frammenti di un piatto della seconda metà del 1400, con ornamento di foglioline e meandro e con Jesus in monogramma nel mezzo, il tutto dipinto a reverbero d'oro, come le maioliche antiche di Gubbio e di Urbino.

A tale profondità non ho altrove riscontrato traccia di oggetti o di vasi di quell'epoca, ma solo vasellame del V e VI sec. caratterizzato da impressioni di palmette o di croci dell’età giustinianea. Ora per giustificare la presenza di quei frammenti di maiolica italiana bisogna supporre che nel secolo XVI siano stati fatti gli scavi a grande profondità anche in mezzo alla strada, prima cioè che si facessero i cavi necessarî per la fondazione del palazzo Ottoboni e di altri fabbricati.

Tra i frammenti di maggiore importanza, che si trovarono attorno agli ultimi pezzi descritti, sono meritevoli di nota quelli con avanzi di figure, alcune di personaggi, alcune pure di littori, che componevano due grandi lastroni uguali nello spessore (cm. 37) a quello che abbiamo riprodotto nella fig. 9. Altri pezzi appartenenti al fregio superiore del recinto, ma che però fino ad ora non si ricongiungono, vennero in luce presso la spalletta della prima galleria nello spazio compreso tra questa e le riseghe del rialzo di tufo.

Sotto un ammasso poi di scaglie con ornati e con parti dei festoni e dei bucrani era seppellito un grande frammento di fregio a figure caduto di traverso lungo pavimento interno. Prima di poterlo liberare da tutti i frantumi addossativi e di poterlo estrarre fu necessario spingere la galleria fino al limite estremo cioè fino alla sottofondazione del palazzo. In questo ultimo tratto apparve un blocco, caduto dall'alto e rimasto nel senso normale sul pavimento interno, conservato in tutta la sua altezza di m. 1,55, e per una larghezza di circa m. 1,40.

Il giorno 8 novembre alla presenza dell'On. Orlando, Ministro della Pubblica Istruzione, s'incominciò ad isolare e spogliare dalla terra quel marmo ed apparvero subito sei figure perfettamente conservate, di cui le prime, sulla destra di chi guarda, rappresentano due flamines colla laena e l'albogalerus, simili a quelli del grande rilievo fiorentino e ugualmente procedenti da destra a sinistra. Questa scoperta desta un interesse speciale, inquantochè stabilisce definitivamente la vera disposizione, sui due lati del monumento, dei numerosi rilievi, nei quali erano rappresentati i vari personaggi che prendevano parte alla sacra processione.

Isolando il detto rilievo nella parte posteriore si riconobbe la metà di un bellissimo festone, ben conservato, attaccato al corno del bucranio. Questo marmo grandissimo è in parte preso sotto la fondazione del palazzo; può quindi essere uno dei pezzi segnalati dall'arch. Erzoch nel 1859. Intanto per la sua grandezza e per la sua positura non sarà possibile di condurlo fuori dalle nostre gallerie, senza che si faccia un lavoro speciale di rinforzo all'angolo del palazzo, e in conseguenza una nuova apertura in comunicazione col piano stradale, dalla quale direttamente si potrà estrarre il prezioso rilievo. Il che forma il voto di tutti quelli, che in questi ultimi giorni hanno visitato lo scavo.

Non senza gravi difficoltà a motivo della sua posizione e della sua grandezza fu isolato e tratto fuori il grande rilievo che abbiamo indicato come quello che era caduto di traverso, e precisamente colla parte superiore nascosta dietro al grande rilievo descritto. Apparve allora una nobile figura, dal petto, dalle braccia e dai piedi nudi, col solo manto tirato sopra la testa, con fronte coronata d'alloro, in profilo a sinistra, barbata e nelle sembianze leonine di Giove (fig. 16). Sostiene colla sinistra uno scettro sottile e distende il braccio destro sopra un'ara rappresentata da un rustico sasso, che nel blocco non entra per intero, ma che trova il suo complemento nel rilievo del Museo delle Terme, sul quale è la rappresentanza del sacrificio ai Penati.

La figura nobile di uomo d'età matura, improntata al puro tipo dell’arte classica, simboleggia probabilmente il Senato, mentre alcuni pochi resti di altra figura vestita con ‘chitone talare ed a lunghe maniche, con mantello allacciato sulla spalla destra, appoggiata al lungo e niodoso bastone, accennano ad altra figura che segue la prima e che forse simboleggiava il Popolo.

In così breve spazio esplorato in questo primo periodo di scavi, e che appena rappresenta un quinto della probabile estensione delle rovine, abbiamo potuto constatare la presenza di molti e grandi marmi presi sotto le fondazioni del palazzo, abbiamo tratto fuori trentacinque pezzi grandi, dei quali molti si riuniscono insieme, e un numero veramente considerevole di scheggie di tutte le dimensioni e tutte con avanzo di ornamenti e di figure; inoltre una quantità del pari considerevole di nuclei spogliati dei loro ornamenti. Lo zoccolo di marmo finora scoperto è tutto quanto libero e visibile, (come pure sono liberi la fronte fig. 17) e il lato sinistro del rialzo centrale, il cui limite è stato pure riconosciuto dietro allo strato superiore di tufo (tav. lett. a), sul quale probabilmente posava l'altare.

Tutto il materiale raccolto è custodito presso il luogo degli scavi, e i pezzi principali vengono ammirati di continuo dagli studiosi e dagli artisti nel cortile del palazzo, concesso con tanta cortesia dal proprietario sig. ing. E. Almagià.

Fonte: Notizie degli scavi di antichità

2/1937

Il Consiglio dei Ministri in occasione del bimillenario della nascita di Augusto decreta la ripresa dello scavo a palazzo Peretti, per recuperare gli ultimi resti dell'Ara Pacis con l'impiego di nuove tecniche.

9/1938

Nell'ultimo giorno del Bimillenario Augusteo, si conclude lo scavo e restauro dell'Ara Pacis. Il lavoro di ripristino delle parti mancanti. La ricomposizione dei frammenti, avvenne nel Museo delle Terme, è stata affidata all'artista Odoardo Ferretti:

"Dopo un anno di scavi condotti fra difficoltà, che nel 1903 fecero arrestare le ricerche per il pericolo statico del palazzo Almagià è ora furono superate con prodigiosi accorgimenti tecnici, e dopo un anno e mezzo di studio e di- lavoro per la formazione delle parziali strutture e la ricomposizione nella loro unità, è oggi avvenuto quanto allora dicemmo: la metà è attinta vittoriosumente.

In vicinanza dell'Augusteo l'Ara Pacis è risorta, purtroppo ancora mutila inevitabilmente in qualche parte della decorazione, ma integrata nella già nota forma architettonica. E immaginandola sul suo luogo di origine, avanzando da occidente e cioè dal Campo Marzio vediamo il piccolo edificio marmoreo di forma cubica e fi cielo aperto, con un podio, che si supera per una scala comoda © ampia di dieci gradini, e su di esso le pareti divise in due piani coperti della più fine e nobile decorazione scolpita. Ha due fronti, ognuna con una porta quadra di m. 3,60 di lato, l'una a ovest (Campo Marzio) l’altra a est (Via Flaminia), e due lati continui (nord e sud), che racchiudono l'altare, il quale occupa quasi tutto lo spazio interno: tra le pareti del recinto e il primo gradino di base gira un corridoio di appena m. 110 di spazio.

Guardato d'angolo e a distanza il magnifico recinto coi suoi rilievi figurati e il suo vaghissimo ornamento di base a motivo vegetale, con la sua patina di scavo pare un grande cofano di avorio preziosamentè intagliato. C'è infatti dentro la gemma, che non doveva-essere di pregio artistico (purtroppo oggi in grande parte perduto) inadeguato alla custodia: ce ne assicura il confronto, che possiamo fare tra questa e il piccolo fregio a figure di una fiancata dell'altare, unico ma mirabile pezzo di esso ricupèrato integralment

Il pregio maggiore del recinto è all'esterno, dove gira tutt'intorno una fascia alta m. 182 d'un unico partito decorativo floreale, che, in ogni scomparto, sorge da un cespo di acanto di pi digiosa vigoria, e dalle due parti di uno stelo, che forma l'asse mediano, si sviluppa una serie orizzontale di volute di base, da cui per tralci ascendenti e tortuosi altre volute si espandono a tutta la superficie: su piccoli fiori aperti în capo a steli minori sono figure di cigni ad ali spiegate. Dall'acanto, che sboccia in rosoni di varie specie, escono qua e là ramoscelli di alloro e tralci di vite con pampini e.grappoli: e tra questa fantasiosa esuberanza vegetativa vola qualche farfalla, è posato qualche uccelletto, strisciano bruchi: sul terreno corrono lucertole e un serpe ‘guizza a divorare i nati implumi di un nido nascosto sotto le foglie ritorte di un nascimento di acanto.

L'uniformità del piano inferiore non è più in quello superiore, dove il pregio d'arte si eleva nella forma e nel significato: è {l campo delle composizioni figurate a soggetto ideale e a soggetto storico. Sulle due fronti erano due quadri ai lati delle porte; e i principali, che illustravano i miti delle origini di Roma erano sul prospetto più importante, quello sul Campo Marzio. Purtroppo se n'è rvato uno solo, a destra, che rappresenta Enea, il quale fà un sacrificio ai Penati sopra un'ara rustica.

La maestosa figura del personaggio col manto sul capo, che ne esprime la dignità sacerdotale e il petto nudo, che gli conferisce il carattere eroico e quasi soprannaturale, quella, forse del fido Acate, dietro a Lui, anche essa idealizzata, il gruppo dei camilli che portano le offerte e adducono dalla grotta la scrofa, vittima designata, compongono sul fondo paesistico nel quale non mancano le querce, sotto cui si deve compiere la sacra cerimonia, un capolavoro di profondo significato ideale e altissimo valore plastico. Del corrispon. dente quadro di sinistra, che rappresentava in uno schema, poi largamente ripetuto, il Lupercale, non è conservato che un frammento della figura di Faustolo appoggiato a un bastone sotto l'ascella destra, la testa mirabile (già assai nota come uno dei migliori saggi dell'Ara) di Marte con qualche altro frammento della sua figur:

Sul prospetto di levante ai lati della porta prospiciente la via Flaminia, erano due quadri che avevano in una figura dominante, una rispondenza schematica: il quadro della Tellus e quello della Roma. Quest'ultimo, purtroppo, come sull'altra fronte il quadro del Lupercale, è andato quasi tutto perduto: da due frammenti ricongiunti della figura centrale si è potuto dedurre il tipo artistico della personificazione. Della Tellus, che è il più famoso rilievo di tutta l'Ara, è ben nota la importanza artistica e rappresentativa, e l'imagine è riportata- sovente a saggio della più evoluta arte augustea.

Dal campo delle rappresentazioni mitiche ed emblematiche, si passa sulla fiancata del recinto ai rilievi storici della processione, che ripetono la cerimonia avvenuta il 4 lu; dell'anno 13 av, Cr. Il corteo si avanza dalla via Flaminia e presso l'ara provvisoria, si spezza in due file per andarsi a disporre intorno ad essa. La fila di destra è la principale e sì inizia con un gruppo di littori che si muovono vivacemente per fare il passo all'Imperatore, îl quale avendo a destra (a poco rilievo sul fondo) il console Quintilio Varo, e a sinistra in primo piano l’altro console, Tiberio, procede lentamente ed è ormai fermo al punto d'arrivo. Seguono in secondo piano figure di nessun rilievo, forse del popolo, o partecipanti coronati di ultimo rango, e in primo piano i principali personaggi storici, sacerdoti, parenti ed amici dell'Imperatore, e quindi i quattro Flamini (Dialis, Martialis, Quirinalis, Augustalis), Livia, Giulia, Antonia, Agrippa e Druso, la Famiglia degli Enobarbi, Mecenate.

La fila di sinistra (che, se non mancassero ancora il primo lastrone conservato al Vaticano e il penultimo custodito al Museo del Louvre sarebbe la meno mutila) ha subito sorte più dura nelle teste, quasi tutte recise e, forse nel Settecento, rifatte alle figure di primo piano, Mentre perciò è impossibile indicar l'uno o l'altro dei personaggi originariamente rappresentati, la presenza di littori e di camilli ci fa sicuri che dovevano essere fra loro magistrati, ministri del culto e non poteva mancare un gruppo di quei senatori, che avevano decretato l'erezione del magnifico Monumento di cui si deponeva in quella solenne cerimonia la prima pietra.

L'altare, che, come abbiamo detto, occupa quasi tutto lo spazio interno, è la novità più inattesa e più importante venuta dall'ultimo scavo, Il ritrovamento di una delle fiancate della mensa e lo studio di un nucleo di tufi squadrati nel mezzo della platea, resero certi della struttura e della grandezza della bellissima mole, che ora completa il monumento.

Il Pontefice Massimo entrato per la gradinata esterna, saliva per l’interna alla predella: con lui salivano gli ‘altri ministri del culto e le Vergini Vestali che sì disponevano come sono ordinati nel piccolo fregio interno della mensa e delle sponde. Al fregio esterno, invece, è rapp: sentata la serie delle vittime introdotte, in piano, dalla porta nord e disposte nel corridoio tra la gradinata dell’altare e parete interna del recinto, rappresentata come lo steccato d'uno stazzo. Qui le vittime erano uccise.

Andarono purtroppo perduti i fregi dello zoccolo sopra quarto gradino e del podio, su cui erano posate la mensa e le sponde: ma a dare il segno della preziosità artistica dell’altare basta questa piccola zona, che ha tutte le finezze e tutti i caratteri stilistici dei rilievi sbalzati da lamine d’argento, a cui l'artista dovette sicuramente ispiranzi."

GIUSEPPE MORETTI

Fonte: L'Illustrazione Italiana. 25 settembre 1938.

23/9/1938

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