Viene costruito un ponte provvisorio in ferro in attesa della costruzione del vicino Ponte Vittorio Emanuele II: "Questi lavori di ampliamento importeranno una spesa di circa un milione e mezzo, e verranno intrapresi dall'Ufficio del Tevere, che ne ha fatto il progetto, non appena a cura del Municipio si sarà provveduto all’apertura del nuovo ponte in ferro, pressochè ultimato a sinistra da Castel Sant'Angelo. Detto ponte, ch'è veramente una stonatura nell'ambiente artistico dov'è posto, fortunatamente non è che provvisorio, ed è composto di due ponti in ferro, eseguiti nell'officina di Savignano, che scomposti verranno poi gettati in due punti della campagna romana attraverso Îl Tevere. Si rimedierà così al forzato passaggio per la città, delle masserie e delle mandrie di bovi, obbligati a portarsi da un punto all’altro dell'agro romano, o nel salire ch'essi fanno a montagna. Però nel vedere a pochi passi più in basso le impalcature ed i piloni già fuori d’acqua del ponte Vittorio Emanuele o Trionfale che sia, viene fatto di dimandare so non era meglio attendere ancora un po'a restaurare il Ponte Sant’Angelo e sollecitare la costruzione del Vittorio Emannele applicandovi le spese non lievi del nuovo ponte in ferro, che per giunta costerà ancora una buona somma per toglierlo dal posto provvisorio dove è stato messo. Molti di questi controsensi, che chiamerei sperperi, han contribuito alla catastrofe del romano municipio."
Nei lavori per il collettore sulla riva sinistra del Tevere, presso la testata nel nuovo ponte Vittorio Emanuele, e precisamente in via di Civitavecchia, nell'area ove sorsero le case dei signori A. Bosi e conte L. Primoli, segnate coi n. dal 27 al 34, si scoprirono il giorno 20 settembre alcuni frammenti di una grande iscrizione marmorea in caratteri dell' età augustea.
Appartengono agli Atti del Collegio dei XV viri saeris faciiindis e si riferiscono ai ludi secolari celebrati da Augusto nel 737 della città, 17 av. Cristo. Si riuniscono a questo documento preziosissimo i frammenti editi nel C. 1. Z. VI, n. 877 a, h, il secondo dei quali è nel Museo Vaticano. Stabilì S. E. il Ministro Boselli che l'insigne monumento, compiute le indagini pel recupero degli altri p^zzi, fosse affidato alla somma dottrina del eh. prof. Mommsen, per essere edito nella nuova pubblicazione archeologica, alla quale attende la R. Accademia dei Lincei.
Furono iniziate apposite ricerche per il recupero di altri frammenti, e già si ebbero pezzi di altra lapide, pure riferibile al collegio stesso, che contiene il commentario dei ludi secolari celebrati sotto Settimio Severo nel 957, 204 e. v. Ma questi frammenti sono assai deperiti.
Felice Barnabei.
Nelle Notizie dello scorso anno (p. 285) fu annunziato che il giorno 20 di settembre sulla sinistra del Tevere presso il luogo ove sarà la testata del nuovo ponte Vittorio Emanuele, si scoprirono alcuni frammenti marmorei iscritti, che appartengono al commentario dei ludi secolari celebrati sotto Augusto l'anno 17 avanti Cristo. Fu pure annunziato che contemporaneamente cominciarono a rivedere la luce i pezzi di un'altra iscrizione, riferibile essa pure ai ludi secolari, celebrati sotto Settimio Severo nell'anno 204 dell'era nostra.
Istituite indagini per conto del Ministero dell'Istruzione Pubblica, fummo obbligati a sospenderle dopo alcune settimane, sia perchè minacciavano rovina alcune vecchie fabbriche, presso le quali ci eravamo spinti coi nostri scavi, sia perchè furono fatte proteste dall'impresa dei lavori per la sistemazione del corso urbano del fiume.
Ricominciate le ricerche il 9 di gennaio, esse ebbero termine il giorno 4 di marzo; ed in questo secondo periodo fu tutto esplorato il muro antico in cui i pezzi della lapide severiana erano stati adoperati come semplici materiali da costuzione.
I pezzi della prima lapide, che sì riferisce ai ludi augustei sono otto. Cinque di essi appartengono alla parte a sinistra di chi guarda; e si riconnettono fra loro, e così riuniti misurano l'altezza di m. 3,02. Contengono 168 linee di minuto e chiaro carattere. Dal verso 51 al verso 66 si ricollega con la fine del primo ed il principio del secondo pezzo il frammento scoperto nel secolo XV, conservato ora nel Museo Vaticano (C. I. L. VI, 877 d). Nei versi 96 e 97 si ricollegano due altri frammenti, i quali ci fanno conoscere la precisa larghezza della lapide che è di m. 1,12. Nel verso 136 si ricollega un altro grande frammento in cui abbiamo di bel nuovo tutta la larghezza della leggenda. Era questa incisa entro una cornice nel prospetto di un blocco o di un cippo marmoreo squadrato. ;
I frammenti dell'altra lapide che si riferisce ai ludi severiani sono 105. Anche questi dovevano costituire un cippo 0 colonna quadrangolare come quella dell'età augustéa. Vi si notano i resti della cornice che chiudono lo scritto, il quale continuava da uno dei lati, ove, a quanto pare, la cornice superiore doveva essere riportata.
Ma mentre per la prima lapide la grandezza dei frammenti rese facile il dimostrare come fra loro si riconnettevano, per questa severiana la difficoltà di ricomporre le minute parti è stata veramente immensa, e per alcuni pezzi si dovè per ora tinunciare ad ogni ulteriore tentativo. Ne fu spartito l'apografo in undici frammenti principali ed in altri frammenti minori.
Una relazione sopra questo rinvenimento, accompagnata da un rapporto dell’architetto sig. D. Marchetti, precederà la illustrazione della lapide augustea, che sarà : edita dal ch. prof. T. Mommsen'néi Monumenti pubblicati dalla R. Accademia dei Lincei. RE o | labpigù Hera Presso la testata medesima. del tiuovo ponte Vittorio Emanuele furono pure re: cuperati alcuni frammenti di una lastra di bigio, che riuniti misurano m. 0,87 in larghezza, m. 0,38 in altezza. Il ch. Bormann vi riconobbe un titolo onorario ad Agrippa Postumo, ‘nato nell'anno 742, ed ucciso per ordine di Tiberio nell'anno 767. Vi si legge: M. AgriPPAE M f | AuguSTI N
Il titolo si riferisce all'età che precedette l'adozione. del. nipote fatta da Augusto, nel 757 di Roma (3 e. v.), quando il giovane Agrippa aveva 15 anni, Furono puré quivi scoperti varî pezzi di laterizî coi noti bolli di fabbrica: a) PRIWIGENI DOMITIOR SE. È ripetizione esatta del bollo €. LL. XV, I, n: 10000 71 f. d) CN DOMITI DIOMEDIS Riproduce la marca ib. n. 1103 2. c) CALLISTI DV DOMITIORVM Ripete il bollo ib. n. 992 c.
Si recuperò anche il seguente frammento di titolo sepolcrale di m. 0,12 x 0,075 x 0,045: AQV A ...|... PED LXII
Felice Barnabei.
I lavori per la sistemazione del tronco urbano del fiume hanno rivelato, in modo chiaro e preciso, dati importantissimi sul ponte e sull'attiguo mausoleo, siamo in grado di tornare sull'argomento, correggendo anche talune inesattezze che dal limitato scavo e dall'angustia di tempo derivarono.
I lavori in corso, avendo tagliato e sezionato le varie parti del ponte, ci hanno permesso di rilevarne ogni più minuto particolare, sia dal lato tecnico, sia da quello storico-archeologico.
Rimane solo a conoscere la lunghezza totale del ponte, non essendo ancora tornata a luce la testata dalla parte del Campo Marzio, la quale celasi al di là dei cavi aperti per le nuove costruzioni, in parte sotto l’attuale piazza di Ponte, in parte sotto le case che prospettano la detta piazza.
Ma anche ignorandone la lunghezza, può intanto sicuramente stabilirsi il numero dei fornici, dei quali alcun altro non può trovarsi tra la testata sinistra ed il primo fornice minore, poichè, tanto la piccolezza di questo arco, quanto la forte pendenza della rampa escludono tale possibilità.
Gli archi erano adunque in numero di otto, decrescenti in ampiezza man mano che si accostavano alle sponde; ed il ponte, contando un arco di più dalla parte del Campo Marzio, non presentava un insieme architettonico, simmetrico e regolare.
Era interamente costruito con travertini, tranne gli intradossi degli archi, formati con blocchi di pietra gabina, congiunti con perni rettangolari di ferro, rivestiti di piombo, affinchè la dilatazione del ferro non producesse la rottura dei blocchi. All'istesso modo erano collegati i travertini che formavano le armille. Le fondazioni erano in calcestruzzo, fatto con scaglie di tufo.
Degli otto archi ora riconosciuti, sei solamente erano prima visibili; altri due minori erano rimasti sepolti sotto la moderna rampa sinistra e la piazza adiacente.
Per tutta la lunghezza corrispondente alle tre grandi arcate centrali, il piano del ponte si mantiene perfettamente orizzontale; gli altri due tratti che costituivano le rampe, avevano forte inclinazione, con pendenza del 15°.
Questo indica a quale basso livello si trovassero le parti adiacenti al ponte, e come facilmente andassero soggette ad essere inondate, tanto che si indicava nel medio evo, col nome di Canale di Ponte, l’attuale via di Banco Santo Spirito.
La parte della rampa sinistra, ora disseppellita, quella a valle, misurava m. 26,40 di lunghezza ed accennava, come si è detto, a proseguire fin sotto le case che fronteggiano la piazza.
Due fornici aprivansi in questa rampa: l'uno di m. 3,50 di larghezza e m. 1,27 di freccia; l'altro, minore, largo m. 3, con m. 1,40 di freccia. Le fondazioni posavano su di una platea di calcestruzzo, alla quota di m. 9,78 sull'idrometro di Ripetta.
La costruzione è identica tanto nella facciata a monte, quanto in quella a valle. Tre pilastri, o contrafforti, formati con blocchi di travertino, aggettavano sulle fronti, due dei quali trovavansi ai fianchi del fornice minore; il terzo più verso la sponda. Questo, nella parte rivolta a monte, era meglio conservato.
La rampa era coronata in alto da un fascione, pure di travertino, alto m. 0,74 e sporgente dalle fronti per m. 0.30. Questi piccoli fornici, assai superiori di livello agli altri, erano destinati passaggio alle acque, soltanto in occasione di grandi piene.
L'eccellente conservazione di questa rampa è dovuta al fatto dell'esser stata per qualche secolo sotterra; non ci si trovarono infatti modificazioni od alterazioni apportatevi col volger del tempo, come riscontrasi invece essere avvenuto sulla rampa destra, la quale, come vedremo, è sempre rimasta parte integrante del ponte.
La larghezza totale e costante, computata tra i due fascioni, può calcolarsi di di m. 10,95 circa, dei quali, m. 4,75 per la carreggiata e m. 6,20 per le due crepidini. Queste, erano costituite da grandi massi di travertino, di differenti dimensioni, collegati ‘con robuste grappe di ferro rivestite di piombo, della forma così detta a coda di rondine.
I massi più lunghi, che giungono sin quasi a metà delle crepidini, aggettando per m. 0,30 fuori dalle fronti, ne formavano anche i fascioni. Dai massi minori era ricavato lo scalino pel quale scendevasi al piano carreggiabile, il cui pavimento Spa formato su Polli poligoni di lava basaltina. Questi poligoni non furon però trovati al posto primitivo, ma riportati, sin dai tempi medioevali, ad un livello superiore all'antico di circa m. 0,30, ottenuto con uno strato di semplice terra. ed in qualche punto anche con muratura.
Il selciato, fu impostato al piano delle crepidini, sopprimendosi così lo scalino; e tale dovette mantenersi sino alla fine del secolo XV, come più sotto diremo. Lo stesso riscontrasi dal lato opposto del ponte, ove abbiamo conservati anche i parapetti, dei quali non un frammento si rinvenne sulla rampa sinistra, dove invece, sui travertini delle crepidini si notarono solamente gli incastri dei perni che ne tenevano ferme le lastre o specchi.
È facile lo intendere, che soppressa la rampa sinistra, in seguito all'accorciamento del ponte, ne furono smontati anche i parapetti.
Sopra il selciato, che abbiamo detto costruito nei tempi di mezzo, ne fu poggiato un terzo, circa al livello odierno, che stimo debbasi attribuire alla metà del XV secolo, ai tempi di Nicolò V, e ciò per le ragioni seguenti.
È noto anzitutto il tremendo disastro descritto dall'Infessura, avvenuto l'anno 1450, allorchè centosettantadue persone perirono per essersi rotti, per la calca, i parapetti del ponte. Nicolò V fece allora riparare il ponte, ed aprirvi un nuovo accesso dalla parte del Campo Marzio, spianando tutte le case prossime alla testata del ponte stesso. innanzi alla quale fu fatta la nuova piazza, detta allora di S. Celso.
Tutte queste opere portarono di conseguenza, l'innalzamento dei piani stradali; tanto che il nome di Canale di Ponte fu surrogato da quello di via del Banco di Santo Spirito; e col nuovo piano stradale dovea necessariamente esser coordinato anche quello del ponte.
Ciò ottennesi facilmente con la soppressione della rampa sino al terzo arco (il primo ch'era sino ad oggi visibile); di guisa che il ponte, così raccorciato, venne ad avere la testata presso quel terzo arco.
Pel livello della carreggiata si costruì una muratura a tufi e calce, ed a questo lavoro pel nuovo selciato, devesi riferire la nota del 1450 che salda il selciato del ponte Agniolo (di Iachomino) Lombardo; ed altra nota, del 1451, salda, a m° Antonio di Pietro Iohanni romano, il pagamento per acconcione allo sperone (?). A garantire la nuova piazza fu provveduto con una sostruzione, o meglio, con un muraglione, di notevole spessore, costruito tumultuariamente coi materiali che trovavansi sul posto, compresivi varî frammenti di sculture marmoree.
Dalla parte del Trastevere il ponte ha mantenuto la lunghezza che aveva in antico, quasi coincidendo la testata originaria con l’attuale; vale a dire, terminava poco al di là del fornice minore, al quale congiungesi il bastione esterno fatto costruire da Urbano VIII. Anche questo ultimo fornice presenta la medesima costruzione, cioè intradosso di peperino, chiave ed armille di travertino.
Le crepidini, formavano una curva alla testata del ponte, accennando a continuare lungo il margine della strada parallela al corso del fiume, la quale servì a mettere in comunicazione i quartieri transtiberini col ponte.
Lo scalino, dal quale scendevasi alla carreggiata, porta le traccie del grande attrito prodotto dalle ruote dei veicoli, nell’ istessa guisa che le crepidini, assai logore, fanno conoscere la continua frequenza della gente che valicava il ponte. La conservazione di questa rampa è in generale meno buona di-quella della rampa opposta; la costruzione originaria, tranne in qualche parte, vedesi alterata dai successivi restauri.
La testata aveva termine con due pilastrini, poggiati sugli estremi massi delle crepidini, di forma rettangolare, alti m. 1,32 compreso lo zoccolo e la cornice superiore. Che in origine questi pilastrini sorreggessero statue decorative, non stenterei a credere, poichè, in quello situato alla sinistra di chi accede al ponte, è ricavato superiormente un incastro quadrato, di m. 0,30 di lato, del quale non saprei altrimenti indicare l'uso. Tolte, o meglio cadute ed infrante le statue, fu soppresso l’incastro, mediante un tassello marmoreo.
A questi pilastrini (altri dei quali ricorrer dovevano per tutta la lunghezza del ponte) resta ancora congiunto, da ambo i lati, un lastrone scorniciato, di travertino, dello spessore di m. 0,24, alto quanto lo stesso pilastrino, e terminato da una base di m. 0,42 di altezza.
Questi avanzi relativi agli specchi o lastre che formavano i parapetti, sono di non poca importanza per lo studio dei particolari tecnici ed architettonici del ponte. La struttura e forma dei parapetti ci era però nota e per disegni e per documenti.
Questi parapetti, in parte già restaurati sotto Nicolò V, furono grandemente danneggiati in seguito alla spaventevole inondazione del 1598 la quale, secondo le notizie contenute nel codice vaticano 8259, carte 342-349, fece cadere « al ponte di San Angelo quasi tutti li parapetti d'ambe le parti che erano fatti di grossissime pietre travertino ». A questi danni riparò subito Clemente VIII.
Alla testata antica, ora esattamente riconosciuta, faceva capo il muraglione di sponda, che conteneva le acque del fiume e proteggeva la via che metteva agli accessi del ponte. La scoperta di questo muraglione è della massima importanza, e ne debbo la notizia all'assistente sig. Andrea Cuboni, cui sono debitore di altre sagaci osservazioni. Il muraglione, come rilevasi dai pochi avanzi rimasti, era a scarpa, rivestito esternamente di opera reticolata, in tufo ed era munito di banchina alla base della scarpata.
La presenza di questo muro d'ala è una conferma che, nel punto ove sono stati trovati i due pilastrini era precisamente la testata del ponte, oltre la quale, come gli odierni lavori hanno in modo positivo fatto conoscere, niun altro fornice esisteva.
Luigi Borsari.
Il consiglio comunale approva la messa in dimora di due filari di platani, uno per ciascuno dei lungotevere. I primi a essere piantati sono quelli tra Ponte Umberto e Ponte Margherita.
Completata lo smantellamento del ponte degli Alari. Il materiale in ferro viene riutilizzato per la manutenzione e i restauri al Ponte dell'Industria all'ostiense, al Passerella della Magliana e per costruire un nuovo ponte all'altezza di Tor Boacciana all'Isola Sacra.